di Roberta Mazzuca – “Compa Alessà, tu non ti devi preoccupare, a me mi devono sparare da ottocento metri”. Queste parole, pronunciate da Luigi Fumarola non molto tempo prima della sua morte, rimbombano quasi come un’amara premonizione nella mente e nel cuore di suo padre, Alessandro Fumarola, che ai microfoni del Dispaccio racconta con stringente dolore e pungente verità il tragico assassinio di suo figlio, reclamandone a gran voce giustizia. Un figlio rimasto ucciso, dice, “perché non aveva paura di nessuno, pensava di essere un Dio, non avvertiva mai il pericolo”. Un figlio assassinato non soltanto dalla persona che fisicamente gli sparò con un fucile a canne mozze ma, ancor di più, è convinto suo padre, “dalla persona a lui più cara, che con l’inganno e privo di ogni scrupolo lo consegnò direttamente al suo omicida”. Un figlio non soltanto di ‘compa Alessà’, come Luigi bonariamente era solito chiamare suo padre, ma di questa terra di ‘ndrangheta che, spesso, risucchia con sé figli smarriti da cattivi ambienti e pericolose dinamiche sotto le quali finiscono, loro malgrado, letteralmente sotterrati.
Forse, chissà, è quello che accadde, una notte del 2019, proprio a Luigi Fumarola, 25enne di Bisignano, padre, figlio, fratello, e campione di kick boxing. Un ragazzo, pare, ritrovatosi in situazioni più grandi di lui, dalle quali forse cercava di svincolarsi ma per le quali, invece, ha pagato con la propria vita. Già, perché di questa tragica e terribile storia, finita e cominciata con il ritrovamento del corpo il 15 agosto del 2019, si sa ben poco. Ciò che è certo, solo la morte. Quella di Luigi, quella negli occhi di suo padre, quella lenta, inesorabile e silenziosa di questa difficile terra.
Ucciso, ‘buttato’ in un cofano e gettato in un fossato
Era l’11 luglio 2019 quando Luigi Fumarola, tornato nella sua terra natale a Bisignano dopo un periodo trascorso in Germania, scomparve. Il suo corpo verrà ritrovato il 15 agosto 2019, a un mese dalla sparizione, “da un signore, nostro parente, che andava per fichi d’india”, affermano i familiari. Da quel momento si aprirà un’inchiesta, comparirà la pista della droga, e qualche scarna informazione data saltuariamente alla famiglia, senza però nessun seguito concreto. Luigi Fumarola è morto, assassinato, ‘buttato’ in un cofano e trasportato in via Contrada Mucone, dove il suo corpo verrà gettato e abbandonato. Chi lo uccise? Perché? Cosa successe davvero la sera della sua scomparsa? Restano oggi domande senza alcuna risposta. Supposizioni, dubbi, incertezze, silenzi, e una gran voglia di giustizia. Pezzi mancanti, strane coincidenze, e collegamenti con nomi imponenti della ‘ndrangheta cosentina. Tutto questo ruota attorno alla morte di Luigi, che oggi, nel quarto anniversario della sua scomparsa, chiede, tramite la voce di chi gli ha voluto bene, che il silenzio venga rotto e che al suo assassino sia finalmente dato un volto.
“Se non faccio soldi mi ammazzano”: le angosce di Luigi e la pista della droga
Elementi fondamentali di un intricato puzzle non ancora ricomposto, una serie di inquietanti intercettazioni indirette, facenti capo a grandi inchieste sulla ‘ndrangheta quali “Sistema” o “Reset”. Prima di essere ucciso, difatti, Luigi viene intercettato dalla Squadra Mobile di Cosenza che, proprio in quel periodo, indagava sui traffici di droga nell’hinterland cosentino. E forse in quei traffici rimase invischiato il ragazzo, che “avrebbe garantito per un assegno insolvibile e pagato probabilmente con la vita”. Proprio il 10 luglio, un giorno prima della sua scomparsa, Luigi avrebbe avuto appuntamento con uno spacciatore che, tre anni più tardi, finirà nella rete della Dda di Catanzaro. Lo spacciatore tenterà di chiamarlo al telefono per due volte, senza ricevere risposta. Proverà a ricontattarlo tre giorni più tardi, con altrettante chiamate sul cellulare che cadranno nuovamente nel vuoto. L’ipotesi è, allora, che a quel punto l’apparecchio di Luigi fosse già spento. E lui già defunto. “Un giorno ha detto a sua sorella: ‘se non faccio soldi mi ammazzano’. Era angosciato, aveva la morte negli occhi” – racconta ai microfoni del Dispaccio la sua matrigna, Adriana De Bonis.
“Quel fucile è stato usato per l’omicidio”
Luigi Fumarola viene assassinato a colpi di fucile. Un fucile a canne mozze, precisamente, protagonista indiscusso di altrettante indirette intercettazioni. Fra tutte, quella che coinvolge un ragazzo di Bisignano attualmente ai domiciliari, nel cui armadio verranno rinvenuti cocaina, marijuana, più di 20.000 euro e, curiosa coincidenza, un fucile a canne mozze murato e una pistola. Protagonisti dell’intercettazione sono due fratelli che, a poche ore dalla suddetta perquisizione risultata decisiva per il ritrovamento delle armi e della droga, commentano: “Quel fucile è stato usato per l’omicidio. Hai capito quale, sì?”, chiede uno al suo interlocutore, che risponde: “Si, lo so, non dire più niente”.
L’ultimo accenno sinistro alla vicenda è del 21 luglio 2019. Luigi è irreperibile da undici giorni e tra Bisignano e dintorni, un residente comunica telefonicamente al pusher le ricerche messe in campo in quelle ore. L’interlocutore non si mostra sorpreso, cambia decisamente argomento e gli dà appuntamento in serata: “Poi stasera ne parliamo, ci facciamo una birretta”.
La pistola e il movente: una morte annunciata?
Le domande alle quali i familiari di Luigi chiedono ardentemente risposta sono due: chi lo ha ucciso, e perché. Ed è proprio sul perché che, oltre alla pista della droga, entra in scena una pistola. Ritrovata poi in una scarpata, potrebbe infatti essere uno dei moventi del suo assassinio.
È un amico a dare a Luigi l’arma incriminata, che il ragazzo avrebbe poi ‘scaricato’, non si sa in che modo e contro chi o cosa, e che avrebbe potuto forse portare alla sua morte. Nel paese, però, nessuno ha sentito questi colpi: “Qua a Bisignano mio figlio non ha mai sparato a nessuno. Scaricare dieci colpi di una calibro 22 non può passare inosservato. Secondo me mio figlio ha preso la pistola perché aveva capito a cosa andava incontro, ha cominciato ad andare in paranoia, la sua morte gliel’avevano promessa” – afferma ‘compa Alessandro’.
Difatti, a un mese prima dell’efferato omicidio, un’altra intercettazione rivelerà l’intenzione di “farlo fuori” perché “l’ha fatta troppo grossa”.
La scomparsa: “Quella notte ho sentito due colpi di fucile”
I punti incerti e altamente sospetti sono tanti, come quelli di cui si trova contezza nel giorno della scomparsa di Luigi Fumarola. “Quella sera sono arrivati due ragazzi di Acri a bordo di una 147 nera” – raccontano i familiari. “L’ultimo avvistamento di Luigi è al bar ‘Baraonda’ insieme a dei ragazzi. Aveva una magliettina bianca, dei jeans e delle scarpe rosse. Una volta tornato a casa, ha preso un giubbotto con delle borchie, ed è nuovamente uscito”. Un’uscita che avrebbe dovuto essere ‘veloce’: Luigi lascerà, infatti, finestre aperte, lavatrici in funzione, e i suoi amati cani legati alla buona senza avvisare nessuno, neanche il padre. In quella casa, abbandonata fugacemente come se dovesse soltanto portare fuori la spazzatura, non farà mai più ritorno. “Io quella notte ho sentito due colpi di fucile a pompa” – dichiara Adriana.
“Le ricerche possiamo dire che sono state quasi nulle” – afferma poi Teresa, la zia di Luigi. “Infatti è stato trovato proprio al ciglio della strada, e le terre erano coltivate, quindi le persone passavano da lì. Nessun elicottero, droni nei luoghi sbagliati. C’è stata una sola ricerca vera e propria, dove si è spento il cellulare, hanno scandagliato la destra del Crati e Contrada Imperatore, poi nulla”. In più, proprio il cellulare e le chiavi di casa di Luigi, non saranno mai ritrovate. I familiari aspettano da anni i risultati dell’autopsia. E nel frattempo a far loro compagnia rimane solo un grande e assordante silenzio.
“Non era un criminale. Voglio chi lo ha tradito e consegnato”
“Io conosco mio figlio in un modo, poi ti arriva una notizia del genere e stai male, perché posso garantire che non faceva queste cose. Era, è, un campione del mondo, abbiamo girato insieme tutta Italia, e sentire oggi certe cose fa male. Non era un criminale” – confessa tra le lacrime suo padre Alessandro. “Sono un grande appassionato di sport da ring – prosegue – e a mio figlio ho sempre cercato di dare un lavoro, di piazzarlo, perché era un grande combattente. È arrivato alla selezione dei mondiali, è stato nella nazionale. Era buono, e tutti lo chiamavano, e allora si sentiva una persona così grande. Era affascinato da un certo mondo, sì, ma se tu eri in difficoltà si vendeva la vita. Non mi interessa chi ha premuto il grilletto e lo ha ucciso, ma chi l’ha consegnato, io voglio sapere chi lo ha tradito, perché è quella persona che lo ha ucciso, due volte. Ci sarà sicuramente una sorpresa” – conclude.
Di questa storia, piena di sofferenza, ricca di piste, dettagli, incongruenze, e silenzi, resta solo la morte di un ragazzo e il dolore di suo padre, che orgoglioso ci mostra, al termine della lunga intervista, il ‘museo’ creato in onore di suo figlio. Una stanza piena di ricordi, e piena di Luigi: i suoi premi, i guantoni che usava per allenarsi, le medaglie, gli articoli di giornale sulle sue vittorie, e ancora le sue tute, i suoi zaini, le sue foto. Spicca fra tutte quella di Luigi e ‘compa Alessa’, padre e figlio insieme, sullo sfondo di una tigre: “Si, perché lui era un grande combattente, e non smetterò mai di chiedere giustizia e di fare tutto questo per ricordarlo”.