di Alfredo Muscatello – Un evento toccante e autentico ha preso vita al Teatro Cilea di Reggio Calabria: uno spettacolo teatrale messo in scena dalla comunità terapeutica per il recupero dalle dipendenze del Ce.Re.So., frutto di un laboratorio artistico interno che ha coinvolto ragazzi in percorso di riabilitazione, due straordinarie professioniste e una selezione di studentesse delle scuole superiori reggine, team successivamente implementato da un gruppo di teatro intercettato dalla regista.
Lo spettacolo, intenso e vibrante, è stato il culmine di settimane di lavoro e prove, un cammino intimo e collettivo guidato con sensibilità da Renata, regista teatrale, e Agata, educatrice specializzata in danza movimento espressivo. Insieme hanno saputo creare uno spazio protetto e creativo in cui i partecipanti hanno potuto esplorare – attraverso gesti, parole e musica – le radici del proprio vissuto, dando voce alle ombre della dipendenza e alla luce possibile del riscatto.

Alla performance hanno preso parte anche alcune studentesse delle scuole superiori, e alcuni attori di gruppi di teatro che hanno arricchito la messa in scena con la loro presenza e sguardo esterno, costruendo un ponte tra il dentro e il fuori, tra la comunità e il territorio.
L’intero percorso ha rappresentato un viaggio umano prima ancora che artistico. Assistere alle prove – come ho avuto modo di fare personalmente – ha significato osservare da vicino come il teatro e il corpo possano diventare strumenti potentissimi di espressione e consapevolezza. La guida appassionata di Renata e Agata, insieme al costante supporto degli operatori del Ce.Re.So., ha permesso ai ragazzi di aprirsi, di tirar fuori situazioni intime e profonde, con coraggio e autenticità.
Da fotografo, posso dire che attività come la danza e il teatro sono capaci di far emergere stati interiori che spesso rimangono nascosti. La mia lente diventa allora testimone discreta di quel processo trasformativo, capace di cogliere momenti unici e autentici. La prospettiva privilegiata che ho avuto durante questo percorso mi ha dato la possibilità di assistere non solo a una costruzione scenica, ma a un lavoro umano potente, dove la fragilità si fa forza, e il racconto del dolore diventa atto creativo e collettivo.
Il Teatro Cilea era gremito: 820 presenti, di cui circa 700 studenti provenienti da sei istituti superiori di secondo grado della città. In platea, numerose autorità istituzionali e civili tra cui la prefetta di Reggio Calabria, il vescovo, il direttore dell’UDEPE (Ufficio Distrettuale di Esecuzione Penale Esterna), la presidente del Ce.Re.So. e il presidente della FICT (Federazione Italiana Comunità Terapeutiche).

Quello che è andato in scena oggi non è stato solo un esito artistico, ma il frutto di un processo reale, condiviso, fatto di presenza e vulnerabilità. Il teatro, come la fotografia, ha funzionato qui da dispositivo di relazione, uno spazio in cui le persone hanno potuto esprimersi senza filtri e incontrarsi al di là dei ruoli. Da fotografo, ho vissuto questo percorso non come un osservatore esterno, ma come parte attiva di un’esperienza dove l’intimità prende forma, si mostra, si lascia attraversare.
Larry Fink scriveva che “la fotografia è un modo per stare dentro le cose, per entrare in contatto con l’anima sociale delle persone”. In questo progetto, è stato proprio questo contatto a fare la differenza: un’umanità fragile ma potente, che ha trovato nel corpo, nella voce e nello sguardo un modo per esistere davanti agli altri.