“Se avete preso per buone le «verità» della televisione, / anche se allora vi siete assolti / siete lo stesso coinvolti” - Fabrizio DeAndrè, Canzone del maggio, n.° 2
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Batman non c’è mai quando serve

di Mariagrazia Costantino* – Fra poco sarà Carnevale, una festa ambigua che non ho mai amato particolarmente. A Carnevale tutto vale… tutto cosa? Un modo di dire che suona minaccioso, per una ricorrenza che mi è sempre sembrata inutile. Diventando più grande l’ho apprezzata di più: ho cominciato a provare nostalgia per la mia infanzia e tenerezza per i bambini mascherati con i loro buffi costumi. Ma quest’anno il Carnevale tornerà ad avere un sapore amaro, perché mi farà pensare al piccolo Ariel Bibas, che amava Batman e adorava indossare il suo costume.

 

Mercoledì si svolgeranno i funerali di Ariel, Kfir e Shiri Bibas. E io, nelle settimane passate, ho pensato che sarebbe stato giusto mettermi seduta a un banchetto in piazza, con le foto dei fratellini insieme alla mamma. Ogni giorno per tutto il tempo che potevo, con il sole e con la pioggia. Ma ho desistito. Mi sono fatta scoraggiare dal pensiero dei permessi necessari e della trafila per ottenerli. Ho immaginato i curiosi accorrere. Perdigiorno e bighelloni intriganti come se ne vedono tanti riuniti in piccoli capannelli, che sembrano avere sempre cose importantissime da discutere ma è sempre del nulla che parlano. Ho paventato i predicozzi che mi sarei dovuta sorbire da parte di chi, dall’altro di una presunta superiorità, avrebbe cercato di spiegarmi qualcosa. O peggio ancora, ho immaginato un esercito di minus habentes dirmi col ditino alzato che non abbiamo prove che quello che dice Israele sia vero (certo), che ci sono di mezzo gli Stati Uniti (ovviamente), che il Mossad e Netanyahu hanno architettato il 7 ottobre durante una partita di risiko (come no). Roba che nemmeno i fedelissimi di Kim Jong-un si sognerebbero di concepire. Deliri inversamente proporzionali al QI: d’altronde è risaputa la tendenza di molti a compensare la carenza di qualcosa con l’abbondanza di qualcos’altro. No. Il pensiero di dovermi sottoporre a una simile tortura mi ha distolto dal proposito iniziale.

Ebbene sì, sono una pavida. Una pigra. Un’ipocrita. Ma io almeno so da che parte stare. La parte giusta? No, perché non c’è giustizia a questo mondo. La parte degli innocenti e degli aggrediti. Che

è l’unica parte possibile da difendere, l’unica da abbracciare. Ma anche la prima a essere tradita e abbandonata. Allo stesso modo, a essere abbandonata è la verità, cioè l’evidenza dei fatti, come sta facendo l’America governata da un uomo corrotto (e bugiardo patologico) con l’eroica Ucraina. Aggredita, invasa, martoriata, eppure ancora in piedi e disposta a combattere con le unghie e con i denti, ma anche senza braccia e gambe, con piccole protesi per i bambini mutilati, mentre noi, “integri” (si fa per dire), grossi, tronfi e imbambolati dai troppi privilegi e dall’oppiacea inerzia di un paese senza futuro, ce ne stiamo a disquisire sull’opportunità o meno dei fantomatici accordi, che secondo i più furbi avrebbero evitato tante vittime. Proprio quelle che Putin – il quale per inciso ha sempre rifiutato qualsiasi accordo – moriva dalla voglia di mietere. E che di fatti ha mietuto, come la morte nera in persona.

Ma oggi non voglio parlare di questo dittatore, inquietante incrocio tra Hitler e Ceaușescu, bensì, soprattutto, dei piccoli Bibas e della loro madre Shiri. Non conoscete la loro storia? Leggetela qui, che a me non regge il cuore. Le foto di loro sorridenti e le risatine nei video in cui appare Kfir appena nato mi perseguitano; il pensiero di come debba sentirsi ogni giorno il padre Yarden mi tormenta. Come ha fatto l’umanità a cadere (nuovamente) così in basso? In realtà, però, c’è qualcosa di inedito che rende tutto ancora più spaventoso: mentre durante il Terzo Reich in mondo “libero” – di cui, sorpresa, l’Italia non faceva parte – era schierato contro i nazisti, oggi quello che pretende di porsi come mondo libero non solo non riconosce più i nuovi nazisti, tornati sotto mentite spoglie per portare a compimento il loro proposito, ma li difende in nome della presunta superiorità del “salvatore bianco”, il cui compito è quello di proteggere (quelli che considera) i “selvaggi.” Nel frattempo, questi “selvaggi”, non esattamente buoni – piuttosto mostri creati dalla Jihad islamica con gli avanzi della civiltà occidentale e gli scarti della modernità – se la spassano e se la ridono tra di loro, compiaciuti del proprio talento nel convincere il mondo che Gaza sia stata martoriata dall’IDF sporco e cattivo e dai sionisti brutti e genocidi.

Martoriata certamente sì, ma da Hamas, che ha scientemente provocato e strumentalizzato gli attacchi di Israele come arma di propaganda. Pensate a quanto debba essere abietta e spietata un’élite che usa la propria comunità come carne da macello da dare in pasto al mondo.

Lo sapete che i fratellini Bibas sono stati strangolati a mani nude e i loro piccoli corpi dilaniati con pietre per simulare un bombardamento (Hamas continua a sostenere questa versione per addossare la colpa sull’esercito israeliano)? Come? Non ci credete perché su Facebook avete letto un’altra versione o un vostro cugino già plurideceduto vi ha detto che non si può credere a quello che dice Israele (mentre una tribù che costruisce campi di concentramento nei tunnel sotterranei è più credibile)? Se pensate che questa notizia sia falsa passate oltre e tornate nelle caverne dalle quali venite: questo non è posto per voi, come non lo è il mondo civilizzato.

Tra quelli scesi in piazza per questa Palestina di cui ignorano la storia e l’esatta posizione, c’è anche chi metteva in dubbio il diritto dell’Ucraina a difendersi. Perché l’invasione della Russia secondo loro ‘non era un’invasione’, ma una legittima iniziativa per arginare l’invadenza della NATO, o persino una “proxy war” combattuta per conto degli Stati Uniti. Gli stessi dovrebbero spiegare anche come mai adesso gli Stati Uniti, per volere o capriccio di Trump, la vogliano abbandonare, l’Ucraina. Viene fuori che anche i complotti, come le bugie, hanno le gambe corte; oppure è solo la memoria dei complottisti a essere sempre (convenientemente) troppo corta.

Io dipingo come innocenti buontemponi quelli che con abili equilibrismi morali e bizantinismi dell’intelletto riescono in un modo o nell’altro a schierarsi sempre con la parte che esercita la violenza e il sopruso; con i prepotenti che sfruttano e distruggono. Ma temo che la realtà sia meno pittoresca e ben più cupa. Qui si tratta di assuefazione al male e alle sue regole che solo una prolungata, inconsapevole esposizione ai regimi mafiosi induce. O forse lo stare perennemente a mollo nel brodo scuro del malaffare, e da questo trarre nutrimento.

 

Si parla di mafie come se ci fosse una vera differenza. In verità la mafia è una sola, declinata in tempi e luoghi diversi. Cos’è la mafia allora? E come fa a diventare così potente da sfidare i governi, affiancarsi e spesso perfino sostituirsi a essi? La mafia è un culto esclusivo creato da uomini (e coadiuvato da donne) per mantenere il loro potere e conquistarne altro attraverso l’accumulo di ricchezze. O se preferite “asset.” Cosa nostra, Camorra, ’Ndrangheta, Sacra Corona Unita, Triadi Cinesi, Mafia russa (con tutte le varianti regionali), Mafia Nigeriana, Yakuza. Poi ci sono mafie più subdole, come ad esempio la massoneria, il Governo russo, il Partito Comunista Cinese e Nord-coreano, alcuni sultanati e le varie tribù riunite sotto l’ombrello della Jihad Islamica: Al-Qaeda, Hezbollah e Hamas.

Gaza è per Hamas quello che Corleone era per la mafia siciliana e San Luca (è tuttora) per la ’ndrangheta: il regno dove testare ed esercitare il proprio potere in modo incontrastato. Le discussioni degli ultimi mesi, sul grado di connivenza dei palestinesi e in particolare della popolazione di Gaza con Hamas, mi fanno sorridere per la manifesta ingenuità. È evidente che chi si pone una domanda del genere non sa cosa voglia dire nascere e crescere in un luogo profondamente connotato dalla presenza mafiosa come Reggio Calabria o Gaza, appunto. Non è questione di bianco o nero questa. Ma di tutte le sfumature in mezzo e ancora di più.

Non è che si sceglie di essere mafiosi o collaboratori di Hamas: ci si ritrova dentro come un pollo o una gallina si trovano dentro quei mostruosi allevamenti intensivi a più piani. La gallina non sa niente del mondo fuori. Non conosce altro. Condurrà una spaventosa vita-a-metà fino alla morte. Nell’allevamento, d’altra parte, non c’è rispetto per la vita. Lo stesso vale per Gaza, organizzata da Hamas come un efficiente pollaio. Pensateci. Se l’allevamento viene distrutto, cosa importa all’allevatore assicurato? Anzi alcune volte sono proprio gli allevatori disonesti a dare fuoco all’allevamento, per riscuotere il premio assicurativo. Ebbene, è proprio questo ciò che è successo negli ultimi mesi a Gaza, laddove il premio assicurativo sono le sovvenzioni che arrivano a pioggia dalle sedicenti (e conniventi) organizzazioni umanitarie. Anche Israele, per motivi diversi, continua a mandare aiuti: consapevole del ricatto e costretta non solo a rilasciare centinaia di prigionieri palestinesi, molti dei quali pericolosi assassini, ma anche – cosa ancora più paradossale – a mandare cibo, acqua e medicine a una popolazione che la vorrebbe estinguere. Israele deve aiutare i suoi carnefici a sopravvivere. “Piccolo” e assurdo prezzo da pagare per poter esistere.

Avete presente i pick-up bianchi Toyota, nuovi di zecca, esibiti durante le parate dell’orrore culminate con la macabra esibizione delle bare dei piccoli Bibas? Un’inchiesta della BBC uscita nelle ultime ore è risalita al percorso fatto dai macchinoni per arrivare nelle mani di Hamas: pare che siano quelli dati in dotazione all’UNRWA (The United Nations Relief and Works Agency for Palestine Refugees in the Near East) ovvero l’agenzia ONU per i rifugiati palestinesi. Rifugiati esattamente da cosa non si sa più, ma è sempre più evidente come attraverso questa Agenzia, l’ONU abbia più o meno indirettamente assecondato e persino finanziato le azioni terroristiche di Hamas. E continua a farlo. Nel mentre, gente come Geppi Cucciari, beniamina della televisione “intelligente” e paladina di uno stile di conduzione grintoso, si è fatta testimonial (involontaria?) di Hamas, intervistando per ben due volte Renad Atallah, la “piccola chef” divenuta famosa per le sue ricette fatte con il contenuto dei pacchi di aiuti umanitari. Ma che tenerezza e che commozione direte voi. E di fatti in studio si sono commossi tutti. Un bel quadretto strappalacrime nella splendida cornice. Peccato che Renad non sia povera o innocente come hanno pensato o voluto farci credere: come emerso da un’inchiesta indipendente – ovviamente anche questa non italiana, perché i giornalisti italiani sono sempre troppo impegnati a farsi intervistare da altri giornalisti – Renad è figlia di un poliziotto al soldo di Hamas e arrestato da Israele durante la prima Intifada, e sorella di Nourhan, autrice di post che glorificano il 7 ottobre e celebrano gli attentati fuori dalle sinagoghe. Lupi travestiti da agnelli. Carnefici che recitano la parte delle vittime per ingannare il mondo occidentale preda dei suoi sensi di colpa, del suo complesso di superiorità e della sindrome del salvatore bianco. Il meglio di Pallywood (la Hollywood palestinese) in azione. E milioni di persone ci cascano con tutte le scarpe. Persone che non sanno cosa sia la mafia, oppure persone che alle regole della mafia obbediscono passivamente, assecondando la sceneggiata. Chi sono le vere vittime in tutto questo pandemonio? In questo orrendo Carnevale? In primo luogo, gli Israeliani dei kibbutzim al confine con la Striscia, quelli che aiutavano i palestinesi a curarsi, che erano solidali con loro (spesso anche in conflitto con le politiche del governo di Netanyahu) e la cui “colpa”, o meglio sciagura, proprio come nel caso di Shiri e Yarden Bibas, era quella di vivere a pochi kilometri dal nuovo Medioevo. Ma lo sono anche (vittime) i palestinesi morti sotto le bombe di una guerra che non hanno mai scelto, quelli poveri, sfruttati e ricattati, che non hanno voce e possibilità di scelta per sé e per i propri figli, sballottati da una parte all’altra come pacchi smarriti che nessuno vuole. Compresa l’anonima donna di cui non sembra importare a nessuno, il cui cadavere è stato consegnato (per sbaglio?) al posto di quello di Shiri Bibas. Che possibilità di scegliere ha chi vive in un simile stato di cattività? Ci vuole un supremo gesto di volontà e un coraggio sovrumano per ribellarsi a una simile condizione. Per passare dalla sopravvivenza alla vita. È richiesta un’enorme forza morale per rifiutarsi di vivere come pedine o parassiti in attesa delle briciole concesse dall’alto.

Tenerli in vita ma non troppo, proprio come fa Kim con la sua popolazione. Sfamarli il giusto: che non si mettano strane idee in testa. Che non gli venga lo schiribizzo di vivere una vita dignitosa.

*Sinologa e docente universitaria. Ha un Master e Dottorato in Cinema e scrive di Global Media e Geopolitica

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