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“Cortigiana”: quando la sinistra dimentica le sue battaglie!

di Valentina Mallamaci* – Ci sono momenti in cui la critica politica deve lasciare spazio a qualcosa di più urgente: la difesa del rispetto.

Le parole di Maurizio Landini, che ha definito Giorgia Meloni una “cortigiana di Trump”, sono inaccettabili. Non si tratta di un semplice scivolone linguistico o di mero dissenso politico: è un insulto sessista, volgare e squallido. Il termine ‘cortigiana’ non ha bisogno di interpretazioni: evoca l’idea della donna di facili costumi, della figura subordinata che usa la propria femminilità come strumento di potere. È un insulto antico, carico di disprezzo e di pregiudizio. Ed è profondamente triste che a pronunciarlo sia stato proprio un uomo che per anni si è presentato come simbolo di giustizia sociale e parità di diritti per poi cadere nella più retrograda misoginia.

Giorgia Meloni può (e deve) essere criticata nel merito, per le scelte politiche, per la visione, per le decisioni concrete del suo governo. Ma oggi no. Oggi non si tratta di politica: si tratta di dignità.

Landini è precipitato nel girone degli uomini incapaci di argomentare contenuti rilevanti rispetto all’effettivo operato di una donna di potere, tentando di ridurla ad una caricatura sessualizzata. È la pochezza del non sapere affrontare la forza e l’autonomia femminile e allora la colpisce dove pensa di farle più male: nel genere, nella femminilità, nella reputazione.

E purtroppo non è un caso isolato. Questa meschinità attraversa ambienti insospettabili, anche quelli che si definiscono “progressisti”. Ricordiamo il docente universitario che anni fa si scagliò contro Meloni con epiteti irripetibili, o gli “intellettuali” che si riempiono la bocca di diritti, uguaglianza, libertà, ma che nei fatti riproducono le stesse dinamiche di dominio patriarcale che dicono di combattere.

Non c’è nulla di più ipocrita di un uomo che parla di emancipazione ma si sente minacciato da una donna che non può controllare.

Non si tratta di difendere Giorgia Meloni in quanto leader politica, ma di difendere il principio universale di rispetto che deve valere per ogni persona e per tutte le donne, indipendentemente dalle idee, dalle appartenenze o dalle bandiere.

E qui si apre una questione più ampia, e più grave: dove sono oggi le femministe indignate?

Il silenzio, in questo caso, è complicità.

Se la donna è di destra, se il pensiero non si allinea a quello “riconosciuto” dalla sinistra, allora l’offesa diventa tollerabile, quasi giustificata?

Questo non è femminismo. È tribalismo. È doppia morale.

Perché non si può predicare parità, libertà e rispetto quando conviene, e dimenticarli appena si tratta di una “nemica politica”; l’incapacità di applicare in modo oggettivo questi principi, fa perdere di credibilità e su questi temi nessuno può e deve permetterselo. Altrimenti il rischio è che molte battaglie correlate perdano di valore se ci si limita ad una gara di abilità dialettiche mentre si pratica il disprezzo, di fatto, verso il pluralismo democratico e dunque il rispetto delle persone.

La coerenza è la misura dell’etica, non la convenienza.

Un fatto correlato è la foto di gruppo dei leader internazionali riuniti a Sharm el-Sheikh per il vertice sulla pace in Medio Oriente. Al centro ci stava naturalmente il Presidente americano Donald Trump con il Presidente egiziano Abdel Fattah al-Sisi. Ma, in mezzo a oltre venti uomini, Giorgia Meloni era l’unica donna.

Non centrale, d’accordo, ma c’era. Ed era ben presente in una scena che resta emblematica: la solitudine femminile ai vertici del potere mondiale.

Molti hanno definito “sessiste” le parole di Trump nel suo discorso, quando ha descritto il Presidente Meloni semplicemente come “giovane e bella”, invece che riconoscerle capacità e competenza. E sì, anche quello è sessismo, perché riduce una leader politica a un aggettivo estetico. Ma non è più grave di ciò che ha detto Landini… però Landini non è Trump!

Anzi, è forse più rivelatore del problema tutto italiano: perché mentre possiamo aspettarci da Trump un linguaggio che rispecchia la sua storia politica e personale, da Landini no.

Da chi ha costruito la propria immagine su valori di eguaglianza e giustizia, quel tipo di insulto è un tradimento morale prima ancora che politico.

Forse, allora, il vero problema è più profondo: in Italia non si accetta ancora davvero l’idea di una donna che scala il potere più di un uomo… è questo che ha generato lo sfogo informe di Landini?

Non la si accetta a destra, dove la si vorrebbe più docile, né a sinistra, dove la si vuole “liberata” ma solo finché non supera i confini stabiliti dal gruppo. Appena una donna assume un ruolo di comando, diventa “aggressiva”, “mascolina”, o – come in questo caso -“cortigiana”!

E questo dice molto di più di quanto non dica l’insulto stesso.

Chi si definisce progressista dovrebbe ricordare che la vera forza sta nella capacità di dissentire con rispetto, non nel disprezzo travestito da ironia.

Perché il giorno in cui si smette di difendere la dignità dell’avversario, si smette anche di avere dignità per sé.

*Giovane professionista reggina

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