La fiumara dell’Amendolea è il corso d’acqua più importante della provincia di Reggio Calabria e nasce nel cuore del Parco Nazionale dell’Aspromonte, a Materazzelli a 1720 metri sul livello del mare. Trovandosi all’interno dell’Aspromonte Geopark, è riconosciuto come geosito internazionale grazie alla certificazione dell’UNESCO di cui gode il nostro territorio aspromontano. I motivi di questa prestigiosa classificazione sono tanti e importantissimi: dalla conformazione geologica delle rocce cristallino-metamorfiche del Paleozoico finoai racconti storici, dagli straordinari elementi culturali fino alle caratteristiche naturalistiche e paesaggistiche uniche.
Si tratta, intanto, del più grosso affluente del Menta e percorrendo i suoi di 38 km di lunghezza incontriamo subito le cascate di Maesano formate da ben 4 salti uno sopra l’altro rispettivamente di 15, 26, 4 e 6 metri ciascuno e dove molti escursionisti si recano per praticare il torrentismo, ammirare la natura e praticare salubri ma impegnative passeggiate. La Fiumara dell’Amendolea è un esempio straordinario di come si svolgano i processi attivi di erosione, trasporto ed accumulo dei sedimenti. Nel suo bacino idrografico sorgono altri importanti geositi come la Grande Frana Colella, la Cascata “U Schicciu da Spana”, la Rocca del Drako e le Caldaie del Latte, senza dimenticare la meraviglia di borghi antichi o abbandonati come Gallicianò e Roghudi. Il suo nome deriva dalla presenza lungo il suo percorso di moltissimi alberi di mandorlo, chiamati mmenduli nel dialetto locale. Proprio all’interno del territorio della fiumara dell’Amendolea troviamo la culla dell’Area Grecanica dove vivono i famosi greci di Calabria, una comunità della minoranza linguistica grecanica, l’antica lingua, fusione tra i dialetti locali e l’idioma greco importato dalle popolazioni stanziatesi all’interno del territorio del versante ionico reggino. Il centro più importante di questa isola ellenofona è sicuramente Bova superiore, esempio perfetto di come l’antico idioma grecanico si sia conservato, grazie all’isolamento dei nuclei abitati, in un territorio attraversato da numerosi corsi d’acqua che hanno talvolta reso impossibili le comunicazioni ed i trasporti. Le antiche fonti, quali Erodoto o Strabone, ci dicono che le fiumare erano un tempo navigabili. Tra tutte, l’Amendolea, l’antico Alèce, citato dal suddetto geografo, ha costituito per lunghissimo tempo l’unica via di comunicazione tra la montagna e il mare in quanto era molto probabilmente navigabile, il che spiegherebbe la colonizzazione greca dell’entroterra e la formazione di centri grecanico come Bova, Roccaforte del Greco, Condofuri e Roghudi. Stando a quanto raccontato dagli antichi scrittori Strabone e Tucidide, l’Amendolea nell’antichità, rappresentava il confine fra la Repubblica Locrese e la Repubblica Reggina sottolineando come l’ultimo tratto della fiumara fosse navigabile. Nel 426 a. c. la flotta ateniese-reggina guidata da Lachète, sbarcò presso la foce del fiume e vinse contro circa trecento Locresi comandati da Pirosseno di Capatone. Strabone racconta anche come la fiumara scorresse in una valle profonda e fosse ricca di trote, anguille e cicale che stridevano piuttosto rumorosamente. Diodoro Siculo, nel libro sulle imprese leggendarie degli antichi, tramanda anche un altro racconto: «Poiché, disse, Ercole era giunto nei territori dei Reggini e dei Locresi, e, stanco del cammino, si riposava, infastidito dallo strepito delle cicale, si dice pregasse gli dèi di allontanarle da quel luogo; esaudita la preghiera, non solo allora, ma anche dopo non furono mai più trovate cicale in quei luoghi”. Un’altra annotazione va fatta riguardo alla recente scoperta a Condofuri, lungo gli argini della fiumara, di una necropoli d’età ellenistica. Grazie al lavoro di alcuni volontari sono state ritrovare diverse tombe dell’epoca greco-romana, alla cappuccina, ovvero destinate per lo più alle classi meno agiate e diffusa soprattutto in epoca imperiale. Questo tipo di sepoltura viene così detto perché, se guardato in sezione frontale, ha la forma del cappuccio tipico dei frati cappuccini. Si tratta di circa dieci tombe che testimoniano la presenza di una necropoli abbastanza imponente situata fuori dalle mura cittadine, lungo la principale via d’accesso, e dove si trovano semplici loculi scavati nella roccia per le persone meno abbienti, ma anche camere funerarie più elaborate, assieme a tantissimo materiale a corredo delle tombe stesse.