Le detenute della casa circondariale di Castrovillari hanno incontrato il sostituto procuratore della Procura Generale di Catanzaro Marisa Manzini. Ieri, venerdì 23 dicembre, in un’aula scolastica della sezione femminile del penitenziario, è stato presentato il libro Donne Custodi e Donne Combattenti – La signoria della ‘ndrangheta su territori e persone. Il direttore Mario Antonio Galati ha introdotto l’evento, al quale ha partecipato anche il comandante Carmine Di Giacomo, sottolineando l’importanza della donna nella società moderna. “Il suo ruolo è cambiato, si ha una consapevolezza diversa dell’identità femminile. Questa iniziativa – ha affermato Galati – apre a numerosi spunti di riflessione utili nel percorso detentivo delle nostre ospiti, al termine del quale si troveranno ad affrontare una nuova fase della loro esistenza”. Il magistrato Marisa Manzini, presa parola, ha lanciato alle detenute un messaggio di speranza: “Cambiare vita è possibile”.
“La ‘ndrangheta attribuisce alla donna un ruolo determinante. Non ci sono però personaggi femminili nella gerarchia dei clan, prendono il posto di un uomo che è stato arrestato o ucciso, ma è uno status temporaneo. Negli anni ho incontrato diverse donne, vittime e/o complici delle cosche – ha raccontato Manzini – e posso oggi affermare con certezza che se rifiutassero di avviare i figli al crimine il potere sui territori non sarebbe così soffocante. Mancato sviluppo e disoccupazione dipendono in Calabria proprio dalla presenza asfissiante della ‘ndrangheta”. La carenza di opportunità lavorative è stata infatti uno dei temi ricorrenti portati all’attenzione dalle detenute nel confronto, moderato dalla giornalista Maria Teresa Improta. La maggior parte delle detenute ha fornito un contributo alla discussione raccontando esperienze personali e chiedendo informazioni al magistrato. Toccanti testimonianze e suggestioni alle quali ha puntualmente risposto il sostituto procuratore Manzini, creando un dibattito dall’elevato carico emozionale e momenti di profonda commozione.
La maternità ha ricoperto uno spazio centrale nella discussione nel corso della quale sono state ricordate le storie di “donne combattenti” quali Lea Garofalo, Giuseppina Pesce, Evelina Pytlarz e Tita Buccafusca. “Il tramandare disvalori quali omertà, vendetta, disprezzo per le istituzioni – ha chiarito il magistrato della Procura generale di Catanzaro – è la funzione attribuita dai clan alle madri. Sono loro le “donne custodi” che firmano la condanna al carcere o alla morte dei loro stessi figli quando assolvono il compito di indottrinare i bambini alla criminalità. Voi conoscete meglio di chiunque il valore della libertà e quanta sofferenza comporti l’esserne private. Sapete cosa comporti vivere tra improvvise perquisizioni e ordini di carcerazione. Sono certa che non è quello che sognate per i vostri figli”. Una riflessione che ha colpito gli animi delle detenute presenti. Prima dei saluti, il responsabile dell’area giuridico pedagogica della casa circondariale di Castrovillari, Luigi Bloise che ha contribuito fattivamente all’organizzazione dell’evento, ha ringraziato il sostituto procuratore Manzini la quale ha donato copia del libro alla biblioteca della sezione femminile del penitenziario invitando le detenute alla lettura.