di Paolo Ficara – “Possibile che in questa città non c’è un imprenditore che si occupi di un simile patrimonio?”. Con questa frase urlata in faccia ad un manipolo di trentenni, il compianto sindaco Pino Mallamo salvò la Reggina nel 1986. Era un altro periodo. Un altro tessuto. Non c’erano i social. Per conoscere qualche notizia, si attingeva a Gazzetta del Sud e a Telereggio.
Oggi non c’è lo stesso tessuto sociale e nemmeno imprenditoriale. Ma soprattutto siamo in un periodo storico particolare, in cui ognuno si alza al mattino e pensa di dover imporre la propria volontà ad una comunità intera. Non giudichiamo la bontà della scelta di Paolo Brunetti, circa l’assegnazione alla Fenice piuttosto che al miliardario Stefano Bandecchi della manifestazione d’interesse a ripartire dalla Serie D.
Però ha avuto e continua ad avere gli attributi.
Brunetti ha quasi tutti contro. Non solo la naturale opposizione politica. Persino i suoi commilitoni. Nonché il collega metropolitano, quello che per fortuna – e lo confermiamo – non aveva potere di firma e, quindi, decisionale. Avrà mille difetti, però non ha ceduto a pressioni giunte da tutti i punti cardinali. Sul politico ci tacciamo, ma la persona appare tutta d’un pezzo.
Sta di fatto che dopo aver democraticamente ricevuto tifosi di vario genere e grado – e qui evitiamo di aprire una discussione che risulterebbe infinita – persino la Fenice Amaranto mette la patata bollente tra le mani del sindaco f.f. del Comune. Reclamando giustamente la documentazione utile per iscrivere in tempo la squadra, entro lunedì 11 settembre a mezzogiorno. Oltre a sottolineare di non aver gradito l’accoglienza da parte della città.
A prescindere da chi avesse vinto il bando, il problema principale è comunque uno. Si inizia con eccessivo ritardo rispetto ad una normale tabella di marcia. Mentre scriviamo, è appena terminato il primo turno del campionato di Serie D. E qui non si ha certezza nemmeno su chi sia l’allenatore.
Col senno di poi, nel 2015 sarebbe stato meglio fermarsi un anno? O ripartire per come è stato fatto, terminando quarti e messi in riga finanche dalla Frattese? Lasciando stare il seguito.
La realtà è una. Caduto Lillo Foti, è venuta meno la figura in grado di gestire la Reggina infischiandosene di Tizio, Caio e Sempronio che la vogliono di mattina cotta, al pomeriggio cruda e la sera mezza e mezza. C’è troppo frazionamento. Non solo. C’è eccessivo livore reciproco. Individuare un’idea o una linea guida che venga sostenuta univocamente da più di 300 persone, in una città di 170.000 abitanti, è una rarità.
Un anno senza Reggina sarebbe una terribile, salomonica ma necessaria soluzione. Chi ruota attorno al vessillo amaranto per interessi personali, sarebbe costretto a fare altro nella vita. I vari frazionamenti tra semplici tifosi non si potrebbero ulteriormente acuire, e già siamo oltre i livelli di guardia. Ci sarebbero nove mesi di tempo per riprendere e ripetere le urla del compianto Mallamo all’imprenditoria locale, oppure per emanare un bando a carattere nazionale. Senza fretta. Previo consulto con il presidente Gabriele Gravina, affinché mantenga anche fra un anno la promessa di “non mortificare una piazza importante”.
La Reggina è un volano per l’economia della città. Ma meglio un anno con l’economia in difficoltà, piuttosto che proseguire ad azzuffarci fra di noi. Chiudiamo l’articolo alle 17:33 e non abbiamo nemmeno sentore di una riattivazione del canale Bandecchi. Tasto off e non se ne parla più.