“Persino il più lieve bisbiglio può essere sentito al di sopra degli eserciti, quando dice la verità” - Dal film The Interpreter
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Le donne non si toccano neanche con un fiore. Al massimo, con un fiore, si uccidono

di Mariagrazia Costantino* – Il mestiere più antico non è quello che pensate. Il “mestiere” più antico è zittire e maltrattare le donne.  Forse è sbagliato definirlo mestiere, forse è uno di quegli oneri-onori che gravano su chi ha potere. Scommetto che certi uomini non picchiano le “loro” donne solo per pigrizia, non perché lo ritengano inconcepibile o riprovevole.

Nella città di Reggio Calabria – certo succede anche altrove, anche se forse non con la stessa sistematicità – alle donne viene dato il premio di consolazione di essere le “vere” padrone, le vere “regine”. Padrone e regine di cosa non si sa. Forse della casa. Da sempre la loro – la nostra – dimensione ideale.

Qualcuno obietterà che Reggio Calabria è una città sicura e tranquilla, con pochissimi casi di violenza sulle donne. Pochissimi casi denunciati. Perché, forse, e dico forse, qui è una cosa così comune da non essere neanche considerata un’anomalia. Perché i panni sporchi si lavano in quella grossa, oscura casa che è la città.

La realtà è che in questa come in altre città di un Sud ormai cronicamente arretrato e cronicamente inadeguato, le donne contano solo in virtù del loro essere nipoti, figlie, mogli e sorelle di. Non per quello che sono e che sanno fare. D’altra parte in un contesto in cui chi ha il potere di decidere e assumere, non legge i curricula per non perdere tempo e per non rischiare di sentirsi inadeguato, il merito è inutile e dannoso. Tanto più quello delle donne.

Forse siamo le vere regine perché la nostra specialità è quella di farci carico degli impegni più gravosi, di gestire le situazioni più spinose. Penso a Elsa Fornero. Penso alle donne che si devono suicidare, realmente o lavorativamente, per le colpe di altri, mentre i rei non confessi sono a piede libero. Senza vergogna e senza pudore.
Alle donne si fa fare il lavoro sporco. In casa e negli uffici.

Le donne sono esibite come trofei, come oggetti decorativi che ogni tanto si rompono. O vengono rotti.   Ci sono quelli che dicono che un femminicidio in fondo è solo un omicidio. Che la parità esiste già, basta solo guardare meglio. Che le quote rosa sono “innaturali”.
Ci sono i nonni che portano a passeggio i nipoti commentando a voce alta le fattezze delle donne che passano davanti a loro. Guai però se qualcuno si permette di rivolgersi alla loro compagna/figlia/nuora. Perché la donna non va rispettata in quanto tale e in quanto essere umano, ma in quanto proprietà. Siamo come la macchina che nessuno può toccare tranne il legittimo proprietario.

I modi in cui le donne sono sminuite e svilite sono infiniti. Spesso e in primo luogo da altre donne, quando aleggia la presenza (anche solo virtuale) del maschio dominante. A volte mi chiedo se il maschio dominante non sia la società in toto.

C’è sempre una buona ragione per svilire una donna: perché è giovane o non più giovane; perché è troppo bella o non abbastanza; perché è libera (o almeno ci prova); perché non parla a bassa voce; perché risponde a una provocazione; perché si permette di correggere, contestare, confutare; perché osa non dare ragione; perché si permette il lusso di non nascondere la propria intelligenza; persino perché fa figli, anche se il grande classico è quando non ne ha.

Nell’epoca che ha sdoganato l’odio in nome di una presunta libertà di parola (che poi è solo libertà di offendere), la parola “maschilismo” provoca e offende – “triggera” si dice oggi. Per non parlare della parola “femminismo”, che scatena disagio e reazioni che vanno dal conato all’eruzione cutanea.

In questa città, tantissime donne, molte delle quali mogli e madri, vivono come recluse, invecchiano precocemente, si ammalano, muoiono. Si ammalano e muoiono anche per essere state zittite una volta di troppo.

E tu maschio che leggi, sì proprio tu, sei diventato paonazzo? Sei andato in iperventilazione? Ti senti pervaso da un’ondata di sdegno? Stai pensando “non siamo tutti così”? Avresti voglia di insultarmi o di mettermi le mani addosso perché ti senti offeso?
Bene, è a te che mi rivolgo. Mi rivolgo a chi si sente offeso e oltraggiato dalla verità (esserlo dalle menzogne è una di quelle prerogative tutte femminili). E mi rivolgo anche, soprattutto, ai sepolcri imbiancati che annuiranno e diranno “verissimo”, “giustissimo”, perché pensano di essere scevri da colpe, che il problema riguardi qualcun altro.
Il problema riguarda sempre qualcun altro. Così come la soluzione.

E così all’infinito. Aspettando un cambiamento che sarà sempre qualcun altro a dover mettere in atto.

*Sinologa e docente universitaria – Ha un Master e Dottorato in Cinema e scrive di Global Media e Geopolitica

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