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ANPI “Condò” e “Calabria por Cuba” ricordano Che Guevara a 56 anni dalla morte con un incontro pubblico. Il professore Amato: “Il Che vive perché è stato un esempio!”

di Simone Carullo – “Come mai il Che ha questa pericolosa abitudine di continuare a rinascere? … non sarà perché il Che diceva quello che pensava? E faceva quello che diceva? Non sarà che per questo continua a essere così straordinario, in un mondo dove le parole e i fatti non si incontrano e se si incontrano non si salutano perché non si conoscono?”

Conclude così, citando Galeano, il professore Pasquale Amato la sua conferenza sul Che.

A cinquantasei anni dall’assassinio del Comandante Ernesto Guevara de la Serna, per tutti il Che, l’A.N.P.I. Sezione Ruggero Condò e l’associazione “Calabria por Cuba”, che è impegnata in un progetto finalizzato a rifornire di farmaci l’isola caraibica, hanno deciso di ricordarne la vita, più che la morte, attraverso un incontro, tenutosi al “Ciroma”, con lo storico Pasquale Amato, docente di Storia dell’Europa Contemporanea all’Università degli Stranieri di Reggio Calabria.

Ad aprire la serata è stata Maria Lucia Parisi, Presidente della “Ruggero Condò”, giovane sezione dell’A.N.P.I. già molto attiva sul territorio. Ha portato i suoi saluti anche Pietro Baccellieri, portavoce dell’Ass. “Calabria por Cuba”, che ha raccontato la sua esperienza di paziente dell’eccellente medicina cubana, dove però c’è penuria di farmaci, prima di lasciare la parola al professore Amato. Il professore ha aperto il suo intervento con un breve excursus storico sulle vicende politiche hanno spinto gli Stati Uniti d’America a considerare, prima, e trattare, poi, il continente americano come fosse “il giardino di casa”. Dalla dottrina Monroe alla “diplomazia del dollaro, dalla guerra ispano-americana e la spoliazione del Messico passando per la “conquista” di Panama, sul cui controllo del canale gravitavano importantissimi interessi economici, fino alle ingerenze su Cuba.

È in questo contesto che germinano e si temprano lo spirito rivoluzionario e gli ideali di giustizia sociale dell’argentino Ernesto Guevara, che in quell’America asservita e povera aveva viaggiato, insieme all’amico Alberto Granado, a bordo della Poderosa, scoprendo tra le tante piaghe (malattia, miseria, analfabetismo) quella della rassegnazione.

A quel punto Guevara è un brillante medico con la coscienza del socialista e lo spirito del Rivoluzionario. Lascerà la prospettiva di una vita agiata e di una brillante carriera in ambito sanitario per andare a combattere per il riscatto degli ultimi e l’affrancamento del Mondo dalle catene dell’ingiustizia e dell’Imperialismo capitalista. Il terreno di scontro è Cuba, dove governa una brutale dittatura totalmente assoggettata agli USA, quella di Fulgencio Batista.

Uscirà dai boschi della Sierra Maestra Comandante e trionfatore, dopo aver dato in battaglia svariate prove di audacia, ingegno e grande umanità. Decisiva per la Rivoluzione Cubana sarà la Battaglia di Santa Clara in cui le truppe dei barbudos sono guidate proprio da quello che ormai viene soprannominato da tutti il “Che” (dall’intercalare che usa spesso pronunciare).

Il Comandante Guevara sarà Ministro dell’Industria e Presidente della Banca Centrale di Cuba. Pronuncia parole di tuono alle Conferenze dell’ONU. È conosciuto e amato in tutto il mondo. Il successo che avrebbe avuto come medico lo ottiene come politico, ma il Che è un eroe romantico, è un novello Don Chisciotte che “sente di nuovo sotto i talloni i fianchi di Ronzinante, e riprende la

strada con lo scudo al braccio”. Ancora una volta lascia tutto per andare a combattere l’ingiustizia e la sopraffazione. Rinuncia alla cittadinanza cubana, tenta di portare la guerriglia prima nell’ex Congo belga e poi in Bolivia dove, braccato dall’esercito regolare e dalla Cia, tradito dal partito comunista locale, debilitato e ferito, viene catturato l’8 ottobre 1967. Il giorno dopo sarà giustiziato da un soldato ubriaco alla scuola di La Higuera.

Il Che muore a soli trentanove anni, ma non muore davvero o non muore del tutto. Il professore Amato lo dice chiaro e tondo, il ricordo del Che vive in chi lo ha conosciuto e anche di chi non l’ha fatto. In Bolivia, il Paese che gli fu fatale, è pure nato un culto intorno alla sua figura che ne perpetua la grandezza: El Cristo de Vallegrande. In tutto il mondo, dopo il suo assassinio, si solleva un grido di dolore. Nelle piazze si sventola il suo volto e si urla il suo nome. Francesco Guccini ha scritto per lui canzoni memorabili. Il Che, come diceva Eduardo Galeano, continua a rinascere perché è un fulgido esempio di “coerenza” e generosità. Il suo rigore morale lo ha spinto a lasciare tutto e partire, combattere per degli ideali e vincere, e poi di nuovo riprendere la strada maestra per donare se stesso alla causa della Rivoluzione al grido “Patria o Muerte”.

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