“La tragedia avvenuta al largo delle coste calabresi ci dice che quella barca che dovrebbe farci sentire con-sorti, accomunati da una simile sorte, resta per ora una speranza: il mondo continua a essere diviso in transatlantici e zattere, benestanti e disperati, stanziali e migranti per forza”. Lo afferma in una nota don Luigi Ciotti, presidente di Libera e del Gruppo Abele. “Sì perché bisognerebbe smetterla di chiamarle migrazioni: sono deportazioni indotte! – prosegue – Nessuno lascia di sua spontanea volontà gli affetti, la casa, affrontando viaggi rischiosi in mano a organizzazioni criminali e in balia degli eventi atmosferici. Lo fa solo perché costretto da un sistema economico intrinsecamente violento, sistema che colonizza, sfrutta e impoverisce vaste regioni del mondo”.
“Lo fa perché l’Occidente globalizzato, in nome dell’idolo profitto, gli fa terra bruciata attorno offrendogli in alternativa sfruttamento se non schiavitù – sottolinea don Ciotti -. Ed ecco la silenziosa carneficina che si sta consumando da almeno trent’anni sotto gli occhi di un ricco Occidente che finge di non vedere e che, quando non può farlo perché le dimensioni della tragedia lo impedisce, si palleggia responsabilità per poi tornare, passato il clamore, alla sola attività che sembra davvero interessarlo: il conflitto per la gestione del potere”.
“Gestione dalla quale”, aggiunge il presidente di Libera, “sono derivate distinzioni ipocrite, disoneste, come quella tra ‘profugo’ e ‘migrante economico’ – come se la ferita economica e quella bellica avessero una diversa radice – o espressioni disumane come ‘carico residuale’, dove l’essere umano è equiparato una volta per tutte a merce, a valore di scambio”. “Per fermare le deportazioni indotte chiamate ‘migrazioni’ – spiega don Ciotti – non basta allora stabilire accordi economici con Paesi di provenienza il più delle volte complici o addirittura agenti della logica di sfruttamento occidentale”. Occorre ripartire dalla ‘Dichiarazione Universale dei Diritti umani’, occorre ripartire dal valore inviolabile della persona, dal suo diritto a una vita dignitosa, libera e anche liberamente nomade: nomadismo del sentirsi ovunque a casa su una Terra dove abbiamo davvero imparato tutti a sentirci e ad agire come passeggeri di un’unica barca che procede verso il bene comune, a cominciare – conclude – da quello di chi, ancora naufrago, chiede di essere riconosciuto e accolto come persona”.