di Paolo Ficara – Preg.mo Dott. Francesco Iacopino, per gli amici Franco,
Per Lei ho la reverenza che può appartenere ad un moschettiere verso il Re di Francia. Quindi si immagini la mia posa inchinata, nello scriverLe questa missiva. A prescindere se Lei mi attribuisca la sfrontatezza di D’Artagnan, piuttosto che l’ingenuità di Porthos.
L’idea di prendere carta, penna e calamaio ormai virtuali, per come impone l’immediatezza dell’epoca attuale, scaturisce da un paio di mancanze. La prima, materiale oltre che spirituale. Rovistando tra i miei cassetti, non ritrovo più il mio primo abbonamento alle gare di campionato della Reggina.
Fu un regalo, il più gradito della mia vita, per i miei 14 anni. Regalo di mio padre, Antonio Paolo. Ed in parte di mio nonno Santo Ielo, colui che mi ha trasmesso questa sviscerata passione per una squadra che, lui medesimo, non fece poi in tempo a vedere in Serie A.
Lei non si ricorderà, caro Dottore, ma ci conoscemmo proprio in quell’occasione. Era l’estate del 1995, la Reggina era appena tornata in Serie B. Arrivato con mio padre nella storica sede di via Tommaso Gulli, venne fuori quella curiosità che mi avrebbe poi spinto verso l’arte giornalistica. E le chiesi se fosse vero, che la Reggina stava per prendere il giovane attaccante Marco Veronese dall’Inter.
“Ci stiamo provando, lo vogliono in tanti”. Se memoria non mi inganna, fu questa la risposta. La memoria cerco di esercitarla spesso. Al di là della frase, ricordo il cappellino. Nonché il sorriso sardonico, di chi accoglieva un tifoso adolescente. Lei alimentò una speranza, con quella risposta. Poi Marco Veronese arrivò alla Reggina. Detto fra noi e sperando che il buon Veronese non ci legga, forse sarebbe stato meglio non prenderlo. Se mi accetta tale critica postuma.
Ciò che non mi sfiorava, in quel pomeriggio, era l’idea che a distanza di pochi anni avrei iniziato a fare radio. Chissà se sotto il suo cappellino, o sotto i baffi del resto della triade, si celava già l’idea di arrivare in Serie A. Di sicuro nessuno di noi due poteva lontanamente immaginare, a distanza di 30 anni da quel luglio del 1995, che un tifoso della Reggina si sarebbe dovuto preoccupare della campagna acquisti della Nissa.
La NISSA, Dottore.
O alla D’Artagnan o alla Porthos, spero di averLe toccato l’anima usando il fioretto e non la spada. E veniamo adesso alla seconda mancanza. Altro che spada. La Reggina è stata fatta a fette. Non torniamoci. Ma non mi faccia nominare neanche l’attuale categoria. Mi rifiuto. Non è mancanza di umiltà. Nel mio percorso ho avuto modo di commentare anche gare di Under 15, senza sbagliare un cognome dei ventidue in campo.
Nell’ultima stagione sportiva, mi sono reso conto di arrivare allo stadio senza conoscere i nomi dei giocatori avversari. In qualche caso, ho scoperto sul momento anche il nome della squadra stessa. Ho definito la Reggina come principessa finita dentro ad un circo. Uso il termine più carino, tra i vari già affibbiati a livello giornalistico, per mettere un soggetto e poi un predicato verbale. Sa che non rientro tra coloro che parlano a nuora, affinché suocera intenda.
Anche perché la suocera in questione, sembra sia passata dal negozio Amplifon. Trovandolo chiuso.
Gli attuali occupanti della Reggina sostengono di nutrire profonda stima in Lei, al punto da chiederLe spesso consiglio. Ciò mi sorprende. Ma a questo punto, Le chiedo di dare una mano per colmare l’attuale mancanza. Non solo a me, ma a chi come me avverte tale senso di smarrimento. Non m’interessa se siamo in 10 piuttosto che in 10.000.
Dottore Iacopino, Le chiedo se può elevarsi a portavoce del grido di dolore della gente che vede la Reggina come prigioniera. E che non chiede nulla di particolarmente fantascientifico. Solo di tornare nel professionismo. A Bari, Catania, Palermo, Perugia, Salerno o Venezia, la “fuga” è avvenuta al primo tentativo. Non le ho nominato il Parma, che ha vinto trofei internazionali. Ma la Reggina cosa avrebbe in meno?
Il comune amico Alfredo Auspici, sostiene che questi signori stiano guidando una Ferrari come se fosse una Cinquecento. Per me, è l’esatto opposto. Hanno ridotto la Reggina ad avere la cilindrata di una Cinquecento. Stanno correndo un Gran Premio con tante vetture scassate, ma basta una Panda per essere sorpassati. E nel momento in cui spingeranno oltre i 180 km/h, sbanderanno inevitabilmente.
Dottore Iacopino, solo Lei può riportare a questi signori quel che è il sentimento popolare. Ma qualora fossero sordi – scritto in italiano, dato che l’accezione vernacolare non rientrerebbe nel loro vocabolario – anche ad un malumore collettivo, Le chiedo di tirare fuori tutta la sua pluridecennale esperienza nel mondo del calcio. Prendendo anche la calcolatrice, se è del caso. Dimostrandogli cosa, o quanto serve, prima per vincere un campionato della serie che non nomino. E poi cosa, o quanto serve, per non fare il passo del gambero una volta approdati – vivaddio – nel professionismo.
Dottore, Le sto chiedendo di rivolgersi a questi signori, visto il rispetto che Le portano, per suggerire con altrettanto rispetto di liberare la Reggina. Un altro nostro comune amico come il presidente Pino Benedetto – che ovviamente nominiamo ben sapendo quanto non desideri essere messo in mezzo – sostiene che la Reggina vada ceduta a zero. Disporrà sicuramente di almeno altri dieci numeri di telefono, di altrettanti dirigenti protagonisti negli ultimi anni di compravendite societarie. Li può mettere tranquillamente in vivavoce.
Dottore Iacopino, qualora trovasse tempo e voglia di farlo, risponda non al giornalista. Bensì a quel ragazzino che le chiese di Marco Veronese. E siccome 30 anni fa, di questi tempi, la Reggina era in pieno allestimento dell’organico, preferirei che Lei trovasse soprattutto il tempo di agire.
Il Suo moschettiere