Nel segno di una vita e testimonianza di appartenenza profonda al Mistero di Cristo.
E’ quella vissuta dal Figlio di Dio, Don Peppe Diana, prete di periferia il quale trent’anni fa, con il suo sacrificio, cambiò la storia di Casal di Principe, centro in provincia di Caserta- dove era nato nel 1958- aiutando, come Compagnia guidata al Destino, le persone vessate dalla criminalità organizzata.
Questa il 19 marzo del 1994, giorno del suo onomastico, lo uccise a colpi di pistola in sacrestia mentre si accingeva a celebrare messa poco dopo le 7 di mattina nella Chiesa locale di San Nicola di Bari.
A lui la Parrocchia di San Girolamo di Castrovillari, in occasione della festa che celebra la ricorrenza del Santo a cui è stata intitolata la chiesa e affidata la comunità religiosa, ha dedicato, la sera di domenica 29 settembre, in un percorso divulgativo ormai consolidato negli anni, una particolare rappresentazione dal titolo “Non è stata la mano di Dio – in memoria di Don Peppe Diana”, opera del Teatro dei Cipis di Molfetta con il bravo attore Corrado La Grasta (creatore di spettacoli e laboratori per ragazzi e da anni guida, con Domenico Facchini — con cui ha scritto anche il libro “E’ un gioco da ragazzi” nel quale la Costituzione viene spiegata con parole semplici— di percorsi scolastici sul rispetto delle regole civiche e sulla cittadinanza attiva).
Uno sguardo attento e pregno di messaggi il lavoro di cronaca teatrale, con supporti documentali e video, portato nel capoluogo del Pollino che, sul filo della narrazione, ben argomentata, dell’immagine di chi si presta ai favori della criminalità per poi dover ripagare anche suo malgrado, tanto da sacrificare, ma inutilmente-come è stato raccontato con dovizia di particolari per ricordare l’assassinio di don Giuseppe Diana-, la mano che doveva armarsi (come dire tutto era compiuto per…), ripercorre, legandole all’Unica Tensione, figure indimenticabili di chi si è reso martire per la libertà e la dignità degli Uomini nel fervente impegno evangelico per il vero umano (come l’arcivescovo di San Salvador, San Oscar Romero, ucciso il 24 marzo del 1980, sull’altare nella Cappella di un Ospedale, dagli squadroni della morte agli ordini del governo per la sua determinazione nel denunciare le violenze della giunta militare del suo Paese, o il beato Don Pino Puglisi, assassinato dinanzi casa sua, nel quartiere Brancaccio di Palermo, il 15 settembre del 1993 dalla mafia per il suo prodigarsi nel sottrarre i giovani dalle grinfie della malavita (viene ricordato ogni 21 marzo), e ancora il Vescovo “scomodo” del Salento Don Tonino Bello deceduto di cancro il 20 aprile del 1993, dichiarato venerabile il 25 novembre del 2021 per l’eredità di amore, compassione e dedizione lasciato, per essere stato irriducibile difensore della giustizia sociale, attento nel servire i poveri, preoccupato per l’incertezza del lavoro e vicino al dolore della gente come fece Gesù).
Il momento, introdotto dal parroco don Giovanni Maurello che ha ricordato il prete-scout campano per il suo impegno civile e religioso a Casal di Principe, ha voluto sottolineare la figura del presbitero che contribuì, con il sacrificio più grande dando la propria vita per l’opera di un Altro, alla nascita di una nuova consapevolezza contro la malavita e di un maggiore impegno civile e speranza nel futuro.
Fattori messi in risalto, a conclusione della rappresentazione, anche dal Vescovo di Cassano allo Jonio e Vice Presidente della Cei per l’Italia Meridionale, mons. Francesco Savino (presente con il vicario generale della Diocesi, Don Nunzio Laitano per testimoniare la portata dell’evento), il quale affermando l’alta impronta educativa di Don Peppe Diana, Uomo che ha abbracciato i dimenticati, ha auspicato accoratamente che presto possa essere avviato il processo di beatificazione al fine di rendere ragione a chi fu testimone, sino al sangue e alla Croce, dell’Amore a Cristo e alla Verità dando la vita per la fede in un contesto ostile e violento. Da qui il richiamo ai cristiani, perché insieme si può, sull’urgenza di svincolarsi dalla passività e pigrizia e di abbracciare coraggio, vero sguardo, unità sostanziale e coscienza per rompere le catene del male e della sopraffazione che l’egoismo dell’Uomo ciecamente crea e alimenta tra le capacità di donne e uomini, ammorbando la vita civile e il bene delle persone, nelle realtà in cui vivono (come le nostre), creando, impoverimento, oppressione, involuzione, perdita dei diritti e della stessa democrazia. Ciò che non viene ottenuto con l’intimidazione e la corruzione la si ottiene con la violenza. Questa la denuncia di Don Peppe Diana e non solo contro la camorra e i territori segnati da queste piaghe.
Ecco allora la sollecitazione che presenta e suscita il lavoro teatrale affinché ciascuno si lasci coinvolgere, stupire e “muovere” abbandonando quell’amarezza e tiepidezza che spuntano dal nostro intimo ogni volta che diciamo “Speriamo!”.
Questo, però, non dipende da noi, dice lo scrittore francese Charles Péguy, ma scaturisce dalla potenza di quella fonte che come un fiume inesauribile, con una forza vigorosa che non è nostra, ma tutta Sua, dalla Sua grazia ci raggiunge ora in Cristo che accade ora di nuovo. Una Presenza palpitante e trasbordante in Don Diana che attraeva e fremeva per il Bene dell’Altro.
Una Vita, quella ricordata, che ancora oggi deve essere un esempio per tutti, rammentando soprattutto- spiegano gli organizzatori- i progetti sociali che Don Peppe portava avanti con grande sacrificio pur di strappare i giovani alla malavita. Per questo venne soppresso, per il coraggio di non tacere, di non piegarsi, di denunciare soprusi e invitare tutti i cittadini e fedeli a ribellarsi contro la camorra. Altro che le falsità – è stato ricordato- messe in giro dai suoi nemici e da chi non voleva vederlo per quello che veramente era e per cui si batteva con la gente senza sosta.
Il documento, poi, scritto insieme ad altri sacerdoti intitolato “Per amore del mio popolo”, letto la notte di natale del 1991 in tutte le chiese di Casal Principe, che è un vero e proprio appello alle istituzioni, a non rimanere indifferenti di fronte a ciò che continuamente accadeva tra l’omertà di molti, fu quello che fece decidere la camorra di ammazzarlo.
Un’alzata di scudi, uno scatto di reni della stessa Chiesa per far emergere il significato umanizzante che il messaggio cristiano può assumere per i singoli e per la comunità intera proprio in nome di un Dio che ha scelto di essere anche vero uomo… Un richiamo forte a cosa desta il Cuore dell’Uomo perché si compia il suo Destino di felicità, giustizia, bellezza e libertà, sempre attuale come sfida alla vita per affrontarla a testa alta, senza paura o titubanza (perché Cristo è con noi sempre) e renderla più rispondente all’esigenza e desiderio di verità del proprio Cuore, come quello di Don Peppe Diana palpitava ricco di promessa per una Dignità umana infinita che la Passione, Morte e Resurrezione di Cristo ha riscattato.