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Celebrazione eucaristica di monsignor Serafino Parisi al Santuario “Giovanni Paolo II” a Cardolo, frazione di Feroleto Antico

“Quando uno è autosufficiente, è autoreferenziale, costruisce per sé un piccolo regime autarchico, per cui tutto deve funzionare in modo autonomo, si chiude dentro questa torre di avorio, si arrocca, praticamente esclude anche Dio dalla sua vita. Lo può anche invocare ma, di fatto, lo esclude”. Questo uno dei passaggi centrali dell’omelia di monsignor Serafino Parisi, nel corso della concelebrazione eucaristica presieduta ieri sera nel Santuario dedicato a San Giovanni Paolo II a Cardolo al termine della quale il Vescovo ha benedetto i pannelli in ferro battuto che raccontano la vita del “Papa buono” posizionati lungo tutto il recinto del sagrato.

Partendo dalle letture del giorno, il Pastore della Chiesa lametina ha invitato tutti ad una riflessione più approfondita sulla Parola per comprendere il verbo significato della preghiera, “soprattutto – ha aggiunto – per ricostruire il nostro rapporto con il Signore e, dunque, la relazione che ognuno di noi ha con sé stesso, la relazione che noi abbiamo con gli altri e la relazione che noi abbiamo con il Signore. La preghiera – ha sottolineato monsignor Parisi – è innanzitutto un mettersi a disposizione di Dio per accogliere il dinamismo inquietante, che non vuol dire che fa paura ma che ci smuove dalle nostre comodità”. Infatti, “a volte, alcune espressioni di preghiera sono semplicemente il solletico del nostro io. Cioè quella preghiera che ci deve dare gratificazione, quella preghiera che ci deve far dire ‘mamma mia come so pregare io, e chi mi batte? Come me non prega nessuno!’. Scusa, che fai di così eccezionale per fare capire che come te non prega nessuno? Qual è il succo? Qual è il risultato della preghiera? Perché se io considero semplicemente le parole che stai dicendo, che ti inorgogliscono, di tutto si tratta, tranne che di preghiera. Il Signore ci sta conducendo su un percorso attraverso il quale noi possiamo davvero arrivare alla consapevolezza di una preghiera autentica che, prendendo in prestito l’immagine di Sant’Agostino, non mi irrigidisce, non una preghiera che mi fa stare come militari, allineati e coperti e questo, magari, mi da tranquillità come se la preghiera fosse la zona di rifugio della mia animuccia”. Il tutto senza perdere di vista che viviamo “nel mondo delle immagini – ha evidenziato subito dopo – e spesso abbiamo la tentazione di mostrarci per quello che non siamo oppure vorremmo far capire più di quello che realmente siamo perché deve passare questa immagine. E questo è un po’ l’atteggiamento che nel Vangelo viene chiamato ‘atteggiamento farisaico’. C’è, invece, chi, pur dentro il proprio limite, cerca di attrarre la consapevolezza dell’offerta di sé, della relazione con il Signore e della relazione con gli altri. Chi questo, per varie ragioni, non riesce a viverlo, vuol dire che sta interpretando una parte”.

“Vi ricorderete – ha affermato ancora monsignor Parisi – che Gesù spesso in riferimento ad alcuni farisei parla della ‘ipocrisia’. Chi è l’ipocrita? L’ipocrita è un professionista dello spettacolo. L’ipocrita nella tradizione greca è un attore e l’attore è quello che sul palcoscenico indossa una maschera, recita una parte e se questa parte la recita bene è meglio ma, comunque, è colui che interpreta un copione. Gesù dice che non può essere così. Perché l’ipocrisia è come una rottura, una scissione tra ciò che tu realmente sei e ciò che, invece, fai apparire agli altri, dici agli altri. Gesù, riprendendo un brano del profeta Isaia, dice che per essere graditi al Signore, bisogna accordare bocca e cuore. Quello che è nel cuore è sulle labbra e ciò che decidono le labbra devono corrispondere a ciò che hai nel cuore. Allora vince la trasparenza, vince la verità, vince la sincerità. Caratteristiche che non appartengono all’ipocrita perché, appunto, nascondendosi dietro una maschera, cerca di dare un’immagine di sé che non è l’immagine reale”.

Da qui il riferimento a Sant’Agostino che “diceva che la preghiera è inquietudine. Devi sentire quella agitazione che innanzitutto ti porta, ci porta, mi porta ad uscire da me stesso, a consegnarmi al Signore. Questa è la preghiera, altro che quattro chiacchiere messe lì una dopo l’altra! La preghiera è quell’inquietudine che mi porta a dire ‘ma io l’esodo dal mio io quando lo compio?’ La preghiera che è relazione con il Signore, come relazione che il figlio ha con il padre, che una creatura ha con il creatore, un fratello con un fratello con una sorella, con gli amici, che è relazione amicale, dialogica, interpersonale con il Signore perché passa attraverso il volto, la carne umana di Gesù Cristo, deve partire innanzitutto da uno svuotamento di noi stessi, della nostra autoreferenzialità, della nostra autosufficienza”.

“Chi si esalta – dice il Vangelo di oggi – sarà umiliato e chi si umilia sarà esaltato. Questa è la preghiera, altrimenti facciamo chiacchiere, ripetiamo delle parole e, fatta salva la coscienza di ognuno, si rischia di dire parole vuote, di pronunciare parole senza senso perché non entrano, non scavano, non arrivano in profondità e se non arrivano in profondità escono semplicemente come chiacchiere vuote di cui il Signore non sa che farsene. Chiediamo, quindi, al Signore questa di essere inquieti, compiendo questo grande cammino di liberazione dalla consapevolezza di essere il centro del mondo per fare in modo che il centro della nostra esistenza sia Dio e attraverso di noi il mondo possa scoprire la bontà del Signore”.

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