“La legalità da sola non serve”. Con queste parole il Vescovo, monsignor Serafino Parisi, ha iniziato il suo intervento alla “Maratona della legalità”, organizzata dal Liceo Scientifico “Galileo Galilei” di Lamezia Terme, sottolineando che “la legalità è un concetto di per sé bello, suggestivo, importante, impegnativo, sul quale si scrivono tante pagine”.
“È un concetto fondamentale – ha aggiunto il Vescovo -, però non è il punto di equilibrio, non esprime totalmente l’idea della giustizia, perché quando parliamo di giustizia parliamo di un fondamento, di un processo di realizzazione dell’uomo che deve essere messo in condizione di potere esprimere totalmente sé stesso. Dentro la tradizione classica, l’idea della giustizia viene rappresentata come un pareggio: i due piatti della bilancia che, ad un certo punto devono corrispondere, devono stare in equilibrio. Quando si parla della giustizia, sostanzialmente, si parla di un equilibrio. Però – ha chiesto monsignor Parisi – , qual è l’unità di misura per la giustizia? Qual è l’unità di misura per farmi dire che una legge sia una legge giusta? Cioè quella legge che, proprio per giustizia, tenga conto, per esempio, della dignità dell’uomo? Quell’idea della giustizia che tenga conto della libertà dell’uomo? Sappiamo che ci sono tante leggi che, per esempio, limitano la libertà. Allora, qual è l’unità di misura? Questo è il vero interrogativo se vogliamo parlare di giustizia e di legalità. Non un concetto di legalità con cui riempire pagine di libri e convegni, ma un concetto di legalità che possa essere capace di esprimere o di dare all’uomo la possibilità di esprimersi pienamente. Questa è la legge perché quella legge sostanzialmente ed unicamente repressiva dice sì la necessità di intervenire in alcuni ambiti, però non dice tutto”.
Quindi, nel sottolineare che, per esempio, “nell’ordinamento italiano è riconosciuto l’istituto dell’obiezione di coscienza e quando c’è l’obiezione di coscienza vuol dire che c’è qualche legge che può contrastare con la mia coscienza”, il Vescovo ha evidenziato che “quando si parla di legalità in modo assoluto si fa una forzatura. L’esempio più classico ed immediato – ha detto monsignor Parisi – è quello delle leggi razziali. Quindi, dal punto di vista della legalità, uno era tenuto a rispettare quelle leggi. Ma la domanda è: questa legge è una legge giusta? E, se non è giusta, che cosa tocca questa legge? Tocca, per esempio, la dignità dell’uomo, la diversità delle espressioni umane, tocca il concetto stesso di umanità. Questo esempio mi porta a dire, allora, che se l’idea della giustizia non favorisce l’espressione piena della visione dell’uomo, questa giustizia può essere detta ingiusta e la legge che nasce da una giustizia ingiusta, dal punto di vista della coscienza, dovrebbe anche non essere rispettata. Oggi – ha proseguito il Vescovo – ci sono tante forme di obiezione di coscienza: ci sono, ad esempio, medici e infermieri che si rifiutano di fare un aborto”. Quindi, pur “non entrando nel merito di questo ambito”, monsignor Parisi ha sottolineato che “c’è un contrasto tra l’idea dell’uomo, la coscienza dell’umanità, al di là del credo religioso perchè ci sono anche persone atee che sono contro la legge sull’aborto, perché c’è un’idea della coscienza e c’è un’idea della giustizia” rimarcando, nel contempo, che “quando si parla della giustizia, si parla di un equilibrio. Però, per equilibrare i due piatti della bilancia, dobbiamo mettere da una parte il peso dell’umanità e dall’altra parte il peso della giustizia”, cioè da una parte “come si quantifica l’umanità e dall’altra come si quantifica la giustizia”.
Partendo dalla “parabola del servo senza pietà” che, nonostante il suo padrone gli avesse condonato i debiti, lui non si comportò ugualmente con il suo debitore, un servo come lui, e questo, poi, gli costò un ripensamento da parte del suo padrone che lo costrinse a restituirgli quanto dovuto, il Vescovo ha fatto notare come, in quel contesto, si sarebbe dovuto “contaminare la norma con la pietas, cioè con un eccesso – che poi eccesso non è mai – di umanità; bastava semplicemente che con l’altro servo si fosse comportato da uomo per aver salvaguardato la vita di quell’uomo ed aver salvaguardato anche nella sua pienezza il senso della norma, il senso della legge. Questa è la giustizia. Qui – ha aggiunto monsignor Parisi – c’è un’interpretazione rivoluzionaria perché si sta dicendo che la norma diventa piena e diventa espressiva di sé stessa, diventa cioè norma giusta, non quando si applica alla lettera ma quando, invece, viene contaminata con la pietas, con l’umanitas” e “quando una norma viene contaminata da questa idea di pietas non è che questa norma perde il suo specifico, ma, invece, è come se la pietas, l’umanitas, l’agape, consentisse alla norma di superare se stessa”.
In altri termini, “il limite che la norma porta dentro di se – ha concluso il Vescovo – può essere superato unicamente se questa norma si apre ad un’altra possibilità, ad un’altra potenzialità. Quando vogliamo parlare di giustizia e quando vogliamo parlare di legalità, penso che bisogna necessariamente unire a questo aspetto quello della umanitas, della pietas della quale sono capaci tutti (credenti e non credenti), ma anche di agape. Contaminarsi con quell’amore che è capace, come ci ha insegnato Gesù sulla croce, di regalare la sua vita, sacrificare la sua vita da innocente perché l’altro, anche i due ladroni e coloro che lo stavano uccidendo potessero vivere. Un ordinamento normativo che almeno idealmente non comprenda questa possibilità, può anche dirsi giuridicamente perfetto ma, a mio modo di vedere, rimane esattamente ingiusto”.