“Se avete preso per buone le «verità» della televisione, / anche se allora vi siete assolti / siete lo stesso coinvolti” - Fabrizio DeAndrè, Canzone del maggio, n.° 2
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Caverna con poltrona

di Mariagrazia Costantino* – Su YouTube impazzano video di content creator che mostrano agli utenti (in verità a guardoni col feticcio di ciabatta e parannanza) la loro “little life” nell’Italia meridionale: Puglia, Sicilia e Calabria. Quest’ultima, in virtù del suo essere remota fisicamente e cronologicamente, ferma a una dimensione storica collocabile tra i Mille di Garibaldi e i Comizi d’amore di Pasolini, gratifica più di altri luoghi quel disperato bisogno di semplicità che tanti, in tutto il mondo, sembrano avere.

Ma tanti chi? Evidentemente chi non ha problemi di sopravvivenza o chi, al contrario, ne ha così tanti da cercare la fuga in un’idea esotica e fasulla di semplicità. Fasulla perché laddove alcune cose sono semplici, altre sono assai complicate. D’altronde, si sa, la coperta è sempre troppo corta, e in quel bilanciamento entropico che impedisce di sprofondare nel caos – tanto vi siamo già immersi – vige il principio di compensazione.

Come cercavo di dire a quell’americana bionda (in tutti i sensi) che voleva trasferirsi nella campagna siciliana, e che sembrò offendersi per una banale, evidentemente scomoda, domanda (perché?), forse la sua era una decisione basata sulla romanticizzazione di un luogo che nella realtà non esiste; forse il subconscio le sussurrava che non era un’idea poi tanto brillante, ma era il suo ego ad aver bisogno di convincersi del contrario: per questo non avrebbe accettato nessun parere che contraddicesse la sua decisione.

Non che non si possa vivere bene, o decentemente, anche in Sicilia e in Calabria. Solo che la piccola, armoniosa vita che ammiriamo tanto su YouTube, non è fatta solamente di mangiate epiche, giornate al mare e passeggiate in mezzo a una natura sempre meno incontaminata. Se hai una colica renale che fai? Se ti rompi una gamba chi ti garantisce che non finirai abbandonato nell’angolo di un pronto soccorso fatiscente per due giorni prima di poter essere visitato? Se non hai parenti e fai un figlio, a chi lo lasci quando devi andare a lavoro, ammesso tu, un lavoro, lo abbia? Non tutti hanno uno stuolo di assistenti e un jet privato come Mick Jagger, che pare trovarsi molto bene nella sua villa di Modica, dotata di tutti i confort e ben protetta da qualsiasi agente esterno. Forse anche troppo.

Mi chiedo quanto bene facciano, a un territorio, queste narrazioni celebrative e la pubblicità basata sull’idea che la vita sia una sagra; a chi giovi l’enfasi nel glorificarne le bellezze, se poi si omettono le cose fondamentali che rendono un luogo veramente vivibile: accesso alle cure e sanità pubblica efficiente, prevenzione, previdenza e aiuto alle famiglie, con la questione asili al primo posto. Tutti problemi di cui Mick Jagger, o uno YouTuber che vive in Canada undici mesi l’anno e torna al paesello dei nonni per fare il video sulle tarantelle, non si devono preoccupare. Loro prendono il meglio dalla vita, prendono solo le ciliegie mature. Buon per loro. Ma noi non dobbiamo credere al loro racconto. Non ce lo possiamo permettere, anche se mi rendo conto che la tentazione sia forte nella terra dei mangiatori di loto.

 

E se le cose non fossero già abbastanza deprimenti, a peggiorare la situazione sopraggiunge quel meccanismo misterioso che spinge i più a convincersi che le cose non vadano poi così male, che bisogna accontentarsi, che i disagi esistono ovunque. Si convincono di questo e per farlo devono convincere gli altri, demolendo e demonizzando sul nascere qualsiasi dubbio o idea che possa aprire anche la minima crepa nella visione edulcorata che adottano senza accorgersene, per poter vivere. O sopravvivere.

Platone ne parlava nel Mito della Caverna: una volta erano le ombre, oggi sono i video di YouTube, che rafforzano una percezione della realtà di per sé ingannevole, anche per colpa dei limiti cognitivi connaturati all’essere umano.

Ciò che tiene insieme sogno – inteso come illusione – e vita vissuta è la nozione di famiglia. Tutti ne hanno una, o l’hanno avuta. Alcuni ne vanno così fieri da esibirla, previo uno strategico editing. Sciascia diceva che ‘avere una famiglia è una condizione inalienabile … ma non credo sia una forma di felicità’; ne Il giorno della civetta scrive: ‘la famiglia è l’unico istituto veramente vivo nella coscienza del siciliano [vale per tutto il Sud] ma vivo più come drammatico nodo contrattuale, giuridico, che come aggregato naturale e sentimentale.’

Torniamo ai video in questione: si diceva che i filoni “little life” e “a casa per le vacanze” vanno per la maggiore. Tra i tanti YouTuber che popolano la rete, copiandosi l’un l’altro come piccoli lemuri, una ragazza ha riscosso un certo successo mostrando le proprie vacanze estive in un paese della Calabria tirrenica e documentando con precisione didascalica colazione, pranzo e cena, giorno per giorno, portata per portata. Sospetto che il termine “vacanza” sia cruciale per marcare la soglia di tolleranza verso eventuali disagi: perché in vacanza è tutto bello, anche quello che bello non è. Così la vediamo in estasi per le prelibatezze preparate dalla dolcissima nonna, matriarca indiscussa (almeno in cucina); le incursioni nei mercatini rionali, sagre di paese, feste del santo. Tutto molto bello e caratteristico, con un tocco di fascino etnografico, specie se visto attraverso lo sguardo di un utente di Seattle o Melbourne, che davanti all’immagine della nonnina che spadella andrà sicuramente in deliquio. Io noto altre cose, tristemente familiari, come per esempio gli uomini che non alzano un dito per cucinare, sparecchiare o lavare i piatti. Il loro compito, evidentemente, è stare seduti e onorare tutti con la presenza loro e delle loro pance, il colletto della polo sollevato a segnalare una (presunta) prestanza, senza contare l’indiscussa (per loro) superiorità intellettuale. Le zie sono curve e tutte prematuramente invecchiate, in quelle vestine a fiori smanicate che sono la divisa di ogni donna di casa.

Mentre tutti fissano le polpette, io riconosco certe dinamiche familiari e famigliari: il pettegolezzo fine a se stesso, la polemica a ogni costo, la corsa a contraddire l’altro/a anche quando dice cose inconfutabili, solo per il gusto di primeggiare; osservo la dialettica invalidante che si basa sul costante svilimento altrui: ma poiché si tratta appunto della famiglia, quell’entità incontestabile e fonte suprema di ogni bene, l’offesa non c’è anche quando c’è, anche quando si ferisce qualcuno. Perché si fa con le migliori intenzioni, che non si sa quali siano veramente ma delle quali, è risaputo, è lastricata la strada per l’inferno. Ciò che vale per le famiglie (quelle tossiche sono la vera specialità calabrese), vale per gli altri e per il territorio nella sua interezza: quello che da fuori può sembrare amore e cura, visto da dentro e da vicino è soprattutto invadenza e prevaricazione.

Tutto questo rassicura molti perché, nella sua semplicità, è sempre uguale a se stesso: una vita semplice, una vita facile. Ma semplice e facile per chi? La sensazione di ordine e di tranquillità che certi posti danno (la Calabria primeggia anche in questo), si basa su un potere silenzioso e inattaccabile, sul privilegio di coloro i quali preferiscono mantenere lo status quo e le tradizioni che fanno comodo a loro.

Finché qualcuno non li costringerà a rimboccarsi le maniche e lavare i piatti sporchi.

*Sinologa e docente universitaria. Ha un Master e Dottorato in Cinema e scrive di Global Media e Geopolitica

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