“Con la verità finalmente riconosciuta, guardo avanti con determinazione e alto senso di responsabilità”. Così si conclude il comunicato diffuso dall’imprenditore reggino Rosario Azzarà, protagonista di una vicenda giudiziaria lunga quasi un decennio, segnata da arresti, sequestri, fallimenti e, infine, una piena assoluzione.
Azzarà rompe il silenzio con parole lucide e amare, ricostruendo i fatti che lo hanno visto coinvolto fin dalla notte del 7 dicembre 2016, quando fu arrestato e trasferito nel carcere di San Pietro a Reggio Calabria. Vi rimase fino al 20 dicembre, per poi trascorrere quattro anni agli arresti domiciliari. Contestualmente, l’azienda da lui amministrata, la Ased S.r.l., veniva sottoposta a sequestro preventivo e affidata a due amministratori giudiziari.
Quello che sarebbe dovuto essere un provvedimento cautelativo volto a tutelare i beni aziendali, si è trasformato – secondo quanto racconta Azzarà – nell’inizio della fine per la sua impresa. La gestione dei beni sequestrati, infatti, avrebbe causato in breve tempo il collasso della società, posta in liquidazione nel giro di un solo anno.
“Purtroppo – spiega l’imprenditore – la gestione degli amministratori giudiziari ha portato alla distruzione dell’azienda. Sono stati svenduti attrezzature e automezzi senza perizia tecnica e senza gare pubbliche”.
A seguito del fallimento della società, i collaboratori hanno legittimamente avanzato richieste per il pagamento delle spettanze arretrate. Ma con le risorse aziendali ormai azzerate e i beni sotto sequestro, il Tribunale ha dichiarato il fallimento della Ased S.r.l.. Una volta verificata l’impossibilità di vendere beni vincolati, il Curatore fallimentare ha rimesso la gestione nelle mani degli amministratori giudiziari, i quali – riferisce Azzarà – avrebbero proceduto alla vendita dei beni senza rispettare procedure trasparenti o tecniche.
Una gestione che solleva interrogativi. Come è possibile, si chiede l’ex imprenditore, che il Curatore non potesse vendere i beni sottoposti a sequestro, ma gli amministratori giudiziari sì? Azzarà richiama l’articolo 35 del Codice Antimafia (D.Lgs. 159/2011), che affida all’amministratore giudiziario il compito di conservare e valorizzare i beni sequestrati, non certo di disperderli.
L’assoluzione e il prezzo pagato
Dopo anni di processo, il Collegio Giudicante ha assolto Rosario Azzarà e tutti i coimputati da ogni accusa, ben 17 capi d’imputazione, giudicati infondati. È stato inoltre ordinato il ritorno dei beni nella disponibilità dell’ex amministratore. Ma ciò che resta, denuncia Azzarà, è “solo aria fritta”.
L’immobile che ospitava la sede centrale della Ased, restaurato grazie a un investimento personale di 970.000 euro, è stato messo all’asta dai proprietari, a causa dei mancati pagamenti da parte degli amministratori giudiziari. Nel frattempo, l’imprenditore racconta di essere stato costretto a vendere la sua attività personale e i suoi immobili per evitare nuovi sequestri. Oggi, dice, vive con una pensione di 1.200 euro al mese.
L’impegno verso i creditori
Pur non volendo attaccare apertamente le istituzioni, Azzarà lancia un messaggio chiaro: intende onorare ogni debito e riconoscere ogni spettanza dovuta a ex dipendenti e creditori della Ased, compatibilmente con un adeguato risarcimento da parte dello Stato per quanto subito.
“Non è una denuncia, ma una promessa – afferma –. Una promessa a chi ha creduto nella mia azienda, a chi ha lavorato con me e ha sofferto insieme a me le conseguenze di una giustizia mal gestita”.
Oltre il danno, la dignità
Oggi, Rosario Azzarà si dice pronto a voltare pagina, ma senza dimenticare. Lo fa con un atto di trasparenza, pubblicando il comunicato anche attraverso i suoi canali social e personali. Un gesto che rivela la volontà di riprendersi la propria voce, dopo anni di silenzio imposto dalla misura cautelare.
Conclude con dignità e determinazione: “La verità è stata riconosciuta. Ora mi impegno a ricostruire, nel rispetto delle persone e della legge. Perché la giustizia deve essere anche riparazione”.