Ha fatto lavorare per qualche anno nel suo negozio, a Torino, uno dei killer di Bruno Caccia, il magistrato ucciso nel capoluogo piemontese per mano della ‘ndrangheta nel 1983. Ora il Tar del Piemonte ha confermato l’interdittiva antimafia spiccata nei suoi confronti nel 2021. L’uomo, un piccolo commerciante, non è mai stato coinvolto nelle indagini sul delitto, per il quale, invece, è stato condannato all’ergastolo (nel 2020) il suo dipendente, Rocco Schirripa, con il quale ha dei legami di parentela.
L’interdittiva era stata adottata dalla prefettura sulla base di quanto emerso nel corso dell’inchiesta Minotauro, sfociata nel 2011 in una serie di arresti. Schirripa, che fu imputato per il favoreggiamento di un latitante, si sarebbe servito anche del telefono del negozio per tenere i contatti con i clan.
Il commerciante, che è stato difeso dall’avvocato Basilio Foti, era stato scagionato dalla medesima accusa di favoreggiamento ma, secondo il Tar, non fu soltanto uno “spettatore inconsapevole” e, anzi, manifestò una certa “familiarità” e “disponibilità”. L’interdittiva antimafia è un provvedimento che ha come obiettivo scongiurare le infiltrazioni della criminalità organizzata nelle imprese. In questo caso specifico, secondo quanto si apprende, non ha comportato la chiusura dell’attività, ma ha imposto una serie di limitazioni.
Schirripa fu arrestato per l’omicidio Caccia nel 2015. In precedenza, nel 1992, era stato condannato all’ergastolo Domenico Belfiore in qualità di presunto mandante.