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Barbie, umanoidi ed essere umani

di Mariagrazia Costantino* – Siamo tutti bravi a parlare di emancipazione femminile, soprattutto dalle poltrone di casa o da quelle un po’ scomode delle sale cinematografiche. E soprattutto quando le protagoniste non esistono né sono mai esistite. Come Bella Baxter di Poor Things (rilettura post-metoo di Frankenstein), o la petulante Barbie dell’omonimo film.

Facciamo più fatica ad apprezzare o anche solo capire una donna “divergente” in carne e ossa. Una che esiste davvero e sfida i nostri pregiudizi e preconcetti (non prendetevi il disturbo di negare che voi li abbiate, li avete e non ve ne rendete conto, perché è così che funzionano i pregiudizi).

 

Se Barbie fosse un film veramente rivoluzionario, per emanciparsi davvero Margot Robbie dovrebbe diventare Ilaria Salis, o almeno una donna pensante. Non una bambola umana docile e meramente paga del fatto di poter andare dal ginecologo (yuhuuu…)

Ma più che a quel film insulso che è Barbie, la pigrizia intellettuale con cui il caso di Ilaria Salis viene trattato e discusso in questi giorni, mi fa pensare a Blade Runner, anzi a un ipotetico Blade Runner capovolto, in cui il mondo è ormai in mano a replicanti umanoidi, e le poche persone rimaste in carne, ossa e cuore pulsante sono continuamente braccate e minacciate.

Le immagini di Ilaria Salis sono una delle cose più potenti che mi sia capitato di vedere dopo i dipinti di Mark Rothko e i fotogrammi di Days of Heaven di Terrence Malick.

Non per le catene. Delle catene non m’importa molto, anche se immagino debbano essere un impedimento fastidioso, doloroso persino. Quello che mi ha colpito è lo sguardo di Ilaria, il suo sorriso fiero, schietto e un po’ beffardo. Ma non mi interessa nemmeno sapere se è dentro, umiliata e maltrattata, per un motivo valido o meno. Non so e non voglio sapere come c’è finita a picchiare nazisti in Ungheria. Sembrerebbe uno strano spin-off dei Blues Brothers se non ci fossero implicazioni gravi per entrambe le parti. Mi limito a costatare che in un’Europa degna di tale nome, dovrebbe essere la polizia a impedire ai nazisti di nazistare, non una maestra elementare di Monza dalle origini sarde.

Ilaria Salis è una tipa tosta, si vede. Una coerente, che fa quello che dice. Una che non tutti vorrebbero avere per amica, ma solo perché non te ne fa passare una, anche se poi non si tira indietro quando si tratta di aiutarti. Una che dice e che cerca di fare la cosa giusta, magari non riuscendoci sempre. Una persona giusta e sbagliata come tutti, più di tanti. Una persona vera, cioè dotata di personalità.

Mi piacerebbe prendere un bicchiere con lei. Magari non saremmo d’accordo su molte cose ma sono sicura che un incontro con lei mi arricchirebbe, perché si capisce che ha cose interessanti da dire, in un mondo asfittico di comparse, manichini, pupazzi e zombie che farfugliano sempre le stesse due parole, come quelle bambole col nastro incorporato che ripetevano “mamma, ho fame!”

Come ci è finita lì Salis? Chiunque abbia vissuto o viaggiato per un tempo sufficientemente lungo all’estero, sa che capita spesso che cittadini stranieri vengano arrestati per reati più o meno gravi commessi fuori dal “patrio suolo”. In Cina, la nozione di giustizia, come quella di pena, è molto discrezionale e va “a sentimento”, al punto che periodiche campagne per frenare la “corruzione spirituale” esercitata sui giovani cinesi puri e innocenti da stranieri viziosi e dediti al consumo di sostanze (leggete il tutto con tono ironico), hanno portato a retate, detenzioni ed espulsioni a dir poco arbitrarie.

Scommetto che qualche amante del giustizialismo sommario da film western dirà “hanno fatto bene”: magari è lo stesso che pur di non pagare una multa si farebbe il cammino di Santiago scalzo e che considera un eroe quel delinquente nullafacente che passa alle cronache come “Fleximan”.

Perché noi italiani siamo così, dolcemente complicati (ovvero fin troppo semplici), e le pene severe le chiediamo sempre per gli altri, mai per noi stessi, nemmeno quando ammazziamo un bambino per fare una diretta streaming.

 

Ilaria Salis è una persona, come tale merita un trattamento dignitoso e un giusto processo. Ma è soprattutto un capro espiatorio, donna per giunta, quindi agnello sacrificale perfetto sull’altare dei soliti interessi politici ed economici. Non è altro che un ostaggio Ilaria Salis: il riscatto che Orban chiede è un occhio di riguardo per l’Ungheria sulle procedure d’infrazione volute da Bruxelles per buoni, ottimi motivi, che non sembrano però interessare molto al Governo italiano; e lo sblocco dei fondi europei congelati per gli stessi motivi. Orban in sostanza è un mafioso della peggior specie, che, mentre ricatta, si finge amico e strizza l’occhio ai fascisti europei al potere (“avete visto che bella preda ho catturato? L’ho fatto per farvi un favore, per togliervi un disturbo”), perché evidentemente una “zecca” non gode degli stessi diritti di un qualsiasi cittadino italiano (noto che per far rientrare i due famosi marò colpevoli di omicidio sono stati smossi mari e monti).

Ilaria è come l’Emilia terremotata, tenuta lì ad aspettare perché intrinsecamente colpevole. Ilaria è una cittadina che ha una serie di colpe pregresse che chi conosce il codice di comunicazione fascista comprende bene: è una donna senza un uomo o protezioni di sorta, ed è una donna militante. Per giunta quel tipo di donna che non si piega ai dettami da ventennio che ci vogliono madri e cristiane come Giorgia.

Il caso di Ilaria Salis mette insieme periodi storici che abbiamo imparato (sbagliando) a tenere separati – antichità, medioevo ed era moderna: più che vere epoche, categorie dello spirito che molti di noi, forse tutti, non hanno mai abbandonato e fanno allegramente convivere dentro di sé. Forse è proprio questo il senso della postmodernità che viviamo ma non capiamo: la consapevolezza che passato e presente convivano in noi mescolati, pavimentando la via per il futuro, spaventoso per antonomasia. In buona sostanza siamo cavernicoli in giacca e cravatta, o tacchi, trucco e parrucco. Fredric Jameson, sommo sacerdote del postmodernismo, lo dice dagli anni Ottanta che non abbiamo mai smesso di essere moderni e premoderni. Io penso che siamo molto più simili ai Neanderthal nudi che all’uomo del futuro in tuta e copricapo di stagnola.

Ilaria Salis è finita nelle maglie di un sistema medievale, ma è lei stessa donna del passato e insieme del futuro, perché (se è vero che ha menato) ha pensato che menare fosse il modo per ottenere un futuro di civiltà e progresso, emancipati da ideologie violente e retrograde. Un paradosso insomma, dato che chi ricorre alla violenza lo fa per mancanza di linguaggio, e sebbene capisca che l’ungherese non è la lingua più semplice, sono sicura che quei brutti ceffi lei saprebbe metterli in riga con una sola occhiata.

D’altra parte se lo fa con i bambini, lo può fare anche con dei nazisti mitteleuropei.

*È una sinologa e docente universitaria. Ha un Master e Dottorato in Cinema e scrive di Global Media e Geopolitica

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