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‘Ndrangheta, Cassazione conferma regime 41bis per i due maggiori boss del clan Lo Bianco-Barba di Vibo Valentia

Restano al regime carcerario del al 41bis due dei maggiori presunti boss del clan di ‘ndrangheta Lo Bianco-Barba di Vibo Valentia. La Corte di Cassazione, infatti, ha dichiarato inammissibili i ricorsi presentati dai legali di Paolino Lo Bianco, figlio del defunto capostipite Carmelo (alias “Piccinni”) e Vincenzo Barba, detto “il musichiere”, avverso la decisione del Tribunale di Sorveglianza di Roma di ritenere valido per i due detenuti il regime di detenzione speciale previsto per i soggetti ritenuti particolarmente pericolosi per l’ordine e la sicurezza pubblica.

Lo Bianco e Barba sono imputati per associazione mafiosa ed estorsioni nel maxiprocesso “Rinascita-Scott” e sono già stati condannati in primo grado nell’inchiesta “Imponimento”.

Per il primo, la Suprema Corte ha rilevato la corretta interpretazione del Tribunale della sorveglianza secondo la quale le restrizioni in esame erano “pienamente giustificate e funzionali rispetto alle finalità di salvaguardia dell’ordine e della sicurezza pubblica, sussistendo ragionevolmente il pericolo attuale di una ripresa di contatti e di interazioni da parte del detenuto con esponenti dell’organizzazione di appartenenza e della possibilità che Lo Bianco, dalla condizione di detenzione, attraverso le maglie di comunicazione inframuraria ed esterna tipicamente consentite dal regime ordinario di detenzione, possa impartire direttive criminali per ispirare, guidare, governare attività criminose o in ogni modo determinare la commissione di reati”. Il Tribunale evidenziava, inoltre, che le malattie di cui è affetto il detenuto “non si trovano in fase acuta e avanzata, tali da provocare l’interruzione della pregressa antisocialità del soggetto ovvero che incidano sulla capacità e sulla lucidità di mantenere i contatti con l’organizzazione criminale di riferimento”. Il ricorso di Lo Bianco è stato rigettato per inammissibilità in quanto giudicato generico circa “i motivi addotti, trattandosi di riproposizione di temi vagliati in modo adeguato e senza alcun vizio in diritto nella decisione impugnata”.

Anche per Barba stesse motivazioni sia sul piano del pericolo di ripresa dei contatti che sul quadro clinico. Pure nei confronti di Barba il ricorso è stato dichiarato inammissibile “per la genericità dei motivi addotti, trattandosi di riproposizione di temi vagliati in modo adeguato e senza alcun vizio in diritto nella decisione impugnata”.

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