Emessa la sentenza d’appello del processo “Iris”, coordinata dal procuratore di Reggio Calabria, Giovanni Bombardieri e dall’allora aggiunto Gaetano Paci e dall’allora sostituto Giulia Pantano contro la potente cosca Alvaro di Sinopoli.
L’inchiesta dei carabinieri mostrò ancora una volta la forza e il prestigio criminale degli Alvarò, che interagivano con i Pelle-Gambazza di San Luca, i Mollica di Africo, i Rugolino di Catona, Ietto di Natile di Careri, Condello di Varapodio, Callea di Ortì, Morabito, federati ai potenti De Stefano del rione Archi di Reggio Calabria, Scopelliti di Melia di Scilla, senza tralasciare le cointeressenze con altri casati tra i quali i Guadagnino e i Papalia di Delianuova, i Mazzagatti di Oppido Mamertina e Larosa di Giffone.
La Corte d’Appello di Reggio Calabria ha condannato a 9 anni Carmine Alvaro classe 1959, 9 anni per Carmine Alvaro 1971, 15 anni per Raffaele Alvaro, 4 anni e 6 mesi per Antonino Bonforte, 9 anni per Domenico Calabrese, 9 anni per Francesco Rossi, 9 anni per Renato Licastro, 9 anni per Saverio Napoli.
Ruolo centrale nell’inchiesta, quello rivestito da Francesco Rossi, all’epoca vicesindaco e assessore ai lavori pubblici (poi sindaco di Delianuova e consigliere della Città Metropolitana di Reggio Calabria).
L’indagine dei Carabinieri del Nucleo Investigativo ha permesso di documentare compiutamente gli interessi criminali della cosca Alvaro e di quelle che con esse si sono accordate. È il caso, in particolare, della riscossione del “pizzo” per i “lavori di difesa costiera tra Cannitello e Santa Trada ed in particolare in difesa del centro abitato di Porticello” nel comune di Villa San Giovanni, bandito dalla Provincia per un importo complessivo pari a 1,7 milioni di euro, per la ricarica della barriera soffolta già esistente e la realizzazione di nuovi tratti a protezione dell’abitato, particolarmente esposto alle mareggiate e al fenomeno erosivo della costa.
Unico assolto, venendo peraltro dalla pesante sentenza di primo grado a 12 anni, Domenico Rugolino, difeso dagli avvocati Giuseppe Alvaro (nella foto) e Antonio Managò.