di Claudio Cordova – E’ qualcosa di importante, anzi, di importantissimo, per tutti, che da quando Giuseppe Lombardo è diventato procuratore capo facente funzioni di Reggio Calabria, la Procura abbia ripreso (almeno per ciò che è ostensibile) la sua attività e che abbia ripreso a comunicare. Due operazioni contro le cosche tra le più potenti, la città e il territorio non le vedevano da tempo immemore. E così, ugualmente, due conferenze stampa, in cui, finalmente, si è tornato a parlare di ‘ndrangheta.
L’ultima, l’operazione “Millennium”. Un’operazione “storica”. Ma nel senso che si fa un po’ di storia della ‘ndrangheta e delle sue cointeressenze, dato che si analizzano fatti di cinque anni fa e forse anche più e si ritrovano personaggi politici ormai assolutamente (tra)passati o faccendieri che entrano ed escono da inchieste giudiziarie da vent’anni o forse più.
Già, perché negli ultimi anni Reggio Calabria e la sua provincia si erano trasformate come per magia (o, forse, come per incubo) in Pistoia e la sua provincia, Pesaro Urbino e la sua provincia, Campobasso e la sua provincia. Luoghi tranquilli. Di certo molto di più rispetto a quella che ci è sempre stato detto essere la capitale della ‘ndrangheta.
Per anni, Il Dispaccio e chi scrive (basta fare ricerche online per verificarlo) si è sgolato su come il recente corso giudiziario a Reggio Calabria avesse fatto fare considerevoli passi indietro nella consapevolezza del territorio su quanto la ‘ndrangheta sia IL problema. Per anni, si è smesso di parlare di ‘ndrangheta. Più volte si è scritto del percepito (e, quindi, non necessariamente reale) lassismo giudiziario della magistratura e della totale assenza di empatia e vicinanza con la popolazione.
Ovviamente nella più beata solitudine. Come sempre.
Ora, però, evidentemente il procuratore capo facente funzioni, Giuseppe Lombardo, forse concorda con Il Dispaccio. Avrebbe potuto farcelo sapere prima, non solo ora che è a tirare le fila investigative dell’Ufficio e a orientare la comunicazione.
Da protagonista assoluto.
Non una, ma ben due volte in pochi giorni, ha esortato i giornalisti a raccontare il territorio e, in particolare, a raccontare la ‘ndrangheta. Come se non lo avessimo fatto per diversi lustri. Quando eravamo nelle condizioni di farlo.
Sì, perché, vede, signor procuratore, lei ha detto che voi magistrati siete ancora lì a indagare sulla ‘ndrangheta. E questo, devo dire, rispetto agli ultimi anni, è già una notizia. Ma, come le dicevo anche ieri in conferenza stampa, nonostante gli attacchi governativi alla magistratura, voi avete ancora gli strumenti per fare il vostro lavoro.
I giornalisti che si occupano di criminalità e di giudiziaria, no.
Negli anni, alcune leggi ignobili ci hanno privato della possibilità di raccontare la criminalità organizzata. Non di certo della voglia di farlo. Quella, con tutto il rispetto, signor procuratore facente funzioni, è almeno pari alla sua. E’ la storia del Dispaccio a parlare.
Ma l’applicazione rigida e anche abnorme che, in questi anni, si è fatto delle norme, senza convocare conferenze stampa, senza inviare comunicati stampa o inviandoli privi di nomi, di alcun tipo di dettaglio, hanno certamente complicato le cose a quel giornalismo che oggi lei esorta a raccontare realtà così complesse e pervasive come quelle criminali dei nostri territori.
Le leggi, anche quelle orrende attualmente in vigore, non dicono questo. Applicarle in maniera così restrittiva come si è fatto, è stata una scelta chiara e specifica. Il territorio – in questi anni – ha fatto passi indietro significativi e non di certo per responsabilità della stampa.
E, allora, come detto ieri, chi scrive accoglie l’invito. Lo restituisce, però: continuate a indagare, anche di più rispetto a quello almeno mostrato negli ultimi anni. Insomma, che ciascuno faccia la sua parte. Vedrà che anche il territorio che, come lei dice spesso, non è un territorio normale, ne gioverà di questi esempi positivi, che mancano ormai da tanti, troppi, anni.