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Questo (vescovo) passa il convento

di Claudio Cordova – È una riflessione dell’orrore, quindi è assolutamente coerente citare Giulio Andreotti: “Una smentita è una notizia data due volte”. Se poi la smentita non smentisce nulla, anzi, scava ulteriormente la fossa della vergogna, allora, l’orrore stesso raggiunge l’apice.

Dopo ore di silenzio (che, come vedremo, comunque, sarebbe stato più dignitoso), la Diocesi di Reggio Calabria-Bova ha partorito, chissà dopo quale qualificato consulto, la nota di commento alla notizia che, ieri, Il Dispaccio ha dato in esclusiva. Si parla dell’orrenda nomina che l’arcivescovo Fortunato Morrone ha pensato bene di regalare a don Carmelo Perrello, prete prescritto per pedofilia, ad amministratore parrocchiale di S. Maria di Buon Consiglio di Concessa in Reggio Calabria.

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Una notizia che, come spesso accade, è stata ripresa da due o tre organi di stampa. Non di più. Il sogno di ogni mafioso, di ogni lestofante: essere sputtanato dal Dispaccio. Alcuni soggetti (certamente non tutti) dell’imbelle classe giornalistica reggina, infatti, preferirebbero prendere buchi per 366 giorni l’anno, piuttosto che riprendere una notizia (vera) lanciata dalla nostra testata.

Chat di Luca Palamara docet. Pubblicate, come sempre, in beata solitudine, senza che per nessuno diventassero una notizia.

La smentita della Diocesi di Reggio Calabria-Bova non smentisce nulla. Anzi. Dimostra insipienza e insensibilità. Scegliete voi l’ordine.

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Insipienza perché parla (in maniera ignorante o in malafede) di archiviazione delle accuse a carico di don Carmelo Perrello, accusato, sulla scorta delle dichiarazioni di un giovane di nazionalità rumena, di atti sessuali con minorenne. Peraltro dietro compenso di denaro.

Niente di più falso. Niente di più errato.

La posizione del prete di Bagnara Calabra, infatti, non è stata archiviata, cosa che, come sa chiunque abbia superato a voti bassi la terza media, significa una sorta di dichiarazione di non colpevolezza. Invece, anche una ragazza di 24 anni, che studia, facciamo un esempio, Pedagogia, conosce bene la differenza tra archiviazione e prescrizione.

Uno status cui, se fosse stato davvero certo della propria innocenza, don Carmelo Perrello avrebbe potuto rinunciare. E, a quel punto, il Gup, pur riconoscendo il tanto, tantissimo, tempo trascorso dai fatti contestati avrebbe dovuto far prevalere (in maniera sacrosanta) la non colpevolezza di qualsiasi imputato. Va da sé che, invece, il prete non ha rinunciato alla prescrizione e l’ha ottenuta, dato che i drammatici fatti raccontati dal giovane sarebbero avvenuti una dozzina d’anni prima rispetto all’effettivo inizio del procedimento penale.

Insomma, per spiegarlo come se aveste quattro anni: per ottenere un’archiviazione, servono i fatti (o la loro assenza). Per ottenere una prescrizione, basta una calcolatrice.

Fin qui l’insipienza.

Ma la nota della Diocesi, manifesto del burocratese, è anche una sublimazione dell’insensibilità di cui è capace l’essere umano. Nelle poche (grazie a Dio, visto la risibilità delle argomentazioni) righe stese giù dall’Ufficio Diocesano si trascura – in maniera vagamente ignobile – di ricordare che la vittima (permetteteci di sottolinearlo, la vittima) dei presunti fatti, si sarebbe suicidata poco dopo aver raccontato tutta la vicenda agli inquirenti.

Ieri, per delicatezza, si era evitato di entrare troppo nei dettagli. Sì, perché, per chi scrive, il rispetto dell’essere umano – di qualsiasi essere umano –  viene prima di qualsiasi cosa. Ma, vista la gravità della presa di posizione della Curia, che usa come scudo presunte consultazioni romane sul tema, occorre far capire di cosa si sta parlando. “Nessuno mi è mai venuto in bocca, solo tu hai questo privilegio”. Questo è il contenuto di una delle chat che la Polizia Postale rinviene nel corso della perquisizione a carico del presule, in questo caso intercettato con un giovane, ma maggiorenne.

E, allora, appare di evidenza palmare come si sia anni luce lontani dagli insegnamenti che la Chiesa dovrebbe sostenere, dalla sensibilità che tanta sofferenza meriterebbe, invece di trattare la questione con una freddezza burocratica inaccettabile.

Perché – giusto per fuoriuscire dall’orrore citando il Poeta – “un bel tacer non fu mai scritto”.

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