di Claudio Cordova – I punti di forza sono quelli di sempre. E, ormai da anni, riescono ad andare oltre la potenza di fuoco, la capacità militare. La forza delle mafie – e nello specifico della ‘ndrangheta – sta nella propria struttura assai compatta, sta nel legame con i territori, nella capacità di colludere con il mondo dell’economia e delle Istituzioni. Non solo in Calabria, non solo in Italia.
E’ il quadro che traccia la Direzione Investigativa Antimafia, che ha depositato la propria relazione semestrale in Parlamento. La DIA parla della ‘ndrangheta come di “assoluta dominatrice della scena criminale anche al di fuori dei tradizionali territori d’influenza con mire che interessano quasi tutte le regioni (Lazio, Piemonte e Valle D’Aosta, Liguria, Lombardia, Trentino Alto Adige, Veneto, Friuli Venezia Giulia, Emilia Romagna, Toscana, Marche, Umbria, Abruzzo e Sardegna)”. Sono in tutto 46 i locali di ‘ndrangheta censiti al Nord. 25 in Lombardia, 16 in Piemonte 3 in Liguria, 1 in Veneto, 1 in Valle d’Aosta e 1 in Trentino Alto Adige.
Ma sono parimenti inquietanti le proiezioni e le ramificazioni che le ‘ndrine hanno, non da oggi, in luoghi come il Belgio, i Paesi Bassi, la Germania, l’Austria, la Slovacchia, la Bulgaria e Malta. Ma anche luoghi europei meno esplorati sotto il profilo affaristico dalle inchieste, come la Spagna, la Francia e, soprattutto, il Regno Unito.
Per quanto concerne, invece, i Paesi fuori dal Vecchio Continente, oltre al Sud America e l’America Latina, per il traffico di droga (Colombia, Perù, Argentina), la presenza, importante e influente, delle ‘ndrine è segnalata nei luoghi ormai “classici”: Stati Uniti, Canada e Australia. Interessante, però, come la relazione della DIA punti l’attenzione anche su nuove tratte del business, come quelle dell’Africa occidentale, in Paesi quali la Costa d’Avorio, al Guinea-Bissau e il Ghana. Questi Paesi vengono definiti dalla DIA “snodo logistico sempre più importante per i traffici internazionali di droga”
Tutto ciò, evidentemente, non sarebbe stato possibile senza la connivenza dei “colletti bianchi”, attraverso la corruzione pagata con denaro sonante. Solo come extrema ratio, infatti, la criminalità organizzata utilizzerebbe ormai la pur enorme e indiscussa forza militare. La strada è ormai quella consolidata: stringere alleanze con mondi diversi, per fare affari molto meglio. Attirando molto meno l’attenzione degli inquirenti rispetto agli atti violenti e ai fatti di sangue. Le investigazioni, infatti, avrebbero documentato “la capacità della criminalità organizzata calabrese di proporsi a imprenditori in crisi di liquidità dapprima come sostegno finanziario, subentrando poi negli asset e nelle governance societarie per capitalizzare illecitamente i propri investimenti”.
Nella relazione della DIA trovano posto le principali cosche delle province calabresi, capaci di trafficare ingenti quantitativi di droga, ma anche di condizionare l’andamento della Cosa Pubblica. Tanto sul territorio di appartenenza, quanto altrove. Scrive ancora la DIA: “L’attività di prevenzione antimafia condotta dai prefetti, nella regione di origine e in quelle di proiezione – ha disvelato l’abilità delle ‘ndrine d’infiltrare le compagini amministrative ed elettorali degli enti locali al fine di acquisire il controllo delle risorse pubbliche e dei flussi finanziari, statali e comunitari, prodromici anche ad accrescere il proprio consenso sociale”.
In generale, per la DIA, il pericolo, concreto, che le mafie possano mettere ancora una volta le mani su ingenti fondi pubblici è enorme: “Una indubbia capacità attrattiva è sempre rappresentata dai progetti di rilancio dello sviluppo imprenditoriale nella fase post-pandemica e dall’insieme di misure finalizzate a stimolare la ripresa economica nel Paese compulsate anche da finanziamenti europei tramite i noti fondi del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR)”.
Se, quindi, stando a quanto messo nero su bianco dalla DIA, Cosa Nostra patirebbe l’assenza di leadership, la ‘Ndrangheta sarebbe quindi padrona indiscussa. Non è un caso che, la criminalità organizzata calabrese trovi il primo spazio, anche in termini cronologici, nelle 460 pagine depositate dalla DIA. Proprio per la capacità di colludere con le Istituzioni, ma anche di controllare il traffico di droga in porti come quelli di Gioia Tauro (per la Calabria) e quelli di Genova, La Spezia, Vado Ligure e Livorno per l’alto Tirreno.
Dal quadro della DIA, emerge dunque una ‘ndrangheta capace di riprodursi anche in territori diversi rispetto a quello di origine: “Le cosche tentano di replicare i modelli mafiosi originari facendo leva sui tradizionali valori identitari con proiezioni di ‘ndrangheta che fanno sempre riferimento al “Crimine” quale organo di vertice deputato a dettare le strategie, dirimere le controversie e stabilire la soppressione ovvero la costituzione di nuovi locali”.
Emblematico, in tal senso, il ruolo di Roma, da sempre “città aperta”. Nel Lazio per la DIA “non emerge una realtà criminale in grado di imporsi o prevalere stabilmente sulle altre”. Nella Capitale, le indagini avrebbero “documentato la costituzione di veri e propri organismi mafiosi propri delle regioni di provenienza, quali, ad esempio, ‘locali’ di ‘ndrangheta” – le diverse organizzazioni “cercano, per quanto possibile, di evitare occasioni di conflittualità nella consapevolezza che il raggiungimento di un punto di equilibrio possa costituire un fondamentale fattore di sviluppo e di profitto comune, talvolta superando anche contrasti in atto nei territori di origine”. Proprio a Roma, le indagini avrebbero documentato la formazione e l’esistenza di un locale di ‘ndrangheta distaccato e riconducibile alle cosche della Piana di Gioia Tauro.