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“Interesse personale di Falcomatà, lui vero regista della vicenda”: le motivazioni della Corte d’Appello sul Caso Miramare

di Claudio Cordova – “Non v’è dubbio che con la delibera in esame la giunta comunale di fatto ha disposto l’affidamento dei servizi e dei locali del Miramare al di fuori del perimetro normativo sopra delineato eludendo la procedura ad evidenza pubblica e la valutazione comparativa di specifici progetti prevista per una maggiore garanzia del servizio di valorizzazione dell’immobile di interesse culturale”. E’ solo un passaggio delle motivazioni, depositate in questi giorni, con cui la Corte d’Appello di Reggio Calabria ha condannato il sindaco di Reggio Calabria, Giuseppe Falcomatà, per il cosiddetto “Caso Miramare”.

Nel novembre 2022, infatti i giudici di Piazza Castello Lucia Monaco, Concettina Garreffa e Antonino Laganà hanno confermato la condanna per il sindaco di Reggio Calabria, Giuseppe Falcomatà, attualmente sospeso, a 1 anno di reclusione.

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Il procedimento nasce dopo la grande polemica (anche politica) per l’assegnazione, con affidamento diretto, che la Giunta Comunale fece alla semisconosciuta associazione “Il Sottoscala”, dell’imprenditore Paolo Zagarella. L’affidamento diretto del “Miramare”, struttura di pregio in disuso da anni, sarebbe stata effettuata senza particolari controlli sulla effettiva capacità dell’associazione di impegnarsi in tale compito. Ma, soprattutto, sarebbe avvenuta in virtù del rapporto di amicizia tra lo stesso Falcomatà e Zagarella, compagni di serate danzanti nelle discoteche più “in” della città.

E i giudici della Corte d’Appello di Reggio Calabria parlano di una “evidente violazione di legge finalizzata a favorire l’imprenditore Zagarella”.  Oltre a Falcomatà e a Zagarella erano imputati anche l’ex segretario generale del Comune, Giovanna Acquaviva, l’ex dirigente Maria Luisa Spanò, l’assessore in carica ai Lavori Pubblici, Giovanni Muraca, e gli ex assessori Saverio Anghelone, Armando Neri (attuale vicesindaco metropolitano), Patrizia Nardi, Giuseppe Marino, Antonino Zimbalatti e Agata Quattrone. Condannati per abuso d’ufficio e assolti dal reato di falso, in primo grado. In Appello, i giudici hanno deciso per 6 mesi di reclusione nei confronti dei componenti dell’ex giunta comunale di Palazzo San Giorgio. Per tutti, non menzione della condanna.

Al centro dell’inchiesta dei pm Walter Ignazitto e Nicola De Caria, la delibera della Giunta comunale con cui l’Amministrazione affidava all’imprenditore Paolo Zagarella, titolare dell’associazione “Il Sottoscala”, la gestione temporanea del noto albergo Miramare, da tempo chiuso. Uno dei “gioielli di famiglia” l’ha definito nel corso del suo esame, il sindaco Falcomatà. L’affidamento della gestione della struttura di pregio, notissima in città, sarebbe avvenuto in maniera diretta a Zagarella: questi, infatti, è uno storico amico del sindaco Falcomatà e gli avrebbe anche concesso, in forma gratuita, i locali che avevano ospitato la segreteria politica nella campagna elettorale che porterà l’attuale primo cittadino alla schiacciante vittoria sul centrodestra nella corsa verso Palazzo San Giorgio.

Nel caso di specie la deliberazione di Giunta sarebbe intervenuta in assenza di una cornice normativa locale. La Giunta Falcomatà avrebbe violato alcuni dei principi cardine su cui dovrebbe poggiarsi la Pubblica Amministrazione: quello della pubblicità e trasparenza attraverso una procedura ad evidenza pubblica attraverso la quale l’amministrazione garantisce la conoscibilità a tutti i cittadini delle opportunità che riguardano la Cosa Pubblica.

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Uno dei punti su cui le difese hanno spinto tanto, sia in primo grado, che in appello, è il fatto che il Comune non avrebbe avuto alcun danno economico dalla manovra, né che l’associazione “Il Sottoscala” avesse tratto alcun vantaggio economico. Punti su cui la Corte d’Appello di Reggio Calabria è netta: “La concessione di un bene a canone inferiore rispetto al prezzo di mercato determina un vantaggio economico per il concessionario, a prescindere dalle finalità economiche che egli persegue”. Peraltro, per come emerso, il canone annuale locativo sostenuto anni prima dall’Amministrazione comunale per la locazione di un immobile di pari pregio del Miramare è stato di 300.000: “In tal senso – scrivono ancora i giudici – non vi è dubbio che l’utilizzo a titolo gratuito (od anche a canone agevolato) di beni comunali quali sedi, sale, strutture, determina in sé un vantaggio economico per il concessionario sollevato da un ulteriore costo di gestione e agevolato nel raggiungimento degli obiettivi statutariamente previsti con minore dispendio patrimoniale”.

Tutto architettato, quindi, per soddisfare “l’interesse personale di Falcomatà al risultato della procedura”. Lo scrivono chiaramente i giudici: “Tale situazione se per un verso si traduceva in un immediato vantaggio economico per Zagarella (in danno di altri soggetti esclusi dalla procedura) per l’altro era suscettibile di volgere un tornaconto personale in favore dello stesso Falcomatà, quello di assicurarsi la propria base elettorale ed analogo appoggio politico alle successive tornate elettorali, oltre che un modo di ingraziarsi l’amico dimostrandogli riconoscenza, ricambiando il suo continuo sostegno e la sua incondizionata disponibilità.

Il processo, infatti, avrebbe ricostruito in maniera inequivocabile la risalente amicizia e assidua frequentazione tra i due, (come dimostrato dagli assidui contatti telefonici ben 99 tra maggio e novembre 2015) oltre ad un impegno comune nella organizzazione di serate ed eventi musicali, e il coinvolgimento attivo di Zagarella e dei suoi stessi famigliari a sostegno dell’impegno politico dell’amico Falcomatà. Così, dunque, Falcomatà avrebbe favorito l’amico Zagarella e, soprattutto un’iniziativa imprenditoriale privata, coltivata da un soggetto legato al sindaco da armi di amicizia e suo fedele sostenitore politico. Tranciante, anche sotto il profilo politico, ciò che mettono nero su bianco i giudici d’appello, che definiscono Falcomatà “il vero regista della vicenda”.

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Nel materiale probatorio, spiccano le conversazioni WhatsApp depositate dall’ex assessore Angela Marcianò, recentemente assolta in Appello. Marcianò, grande accusatrice è stata l’unica tra gli indagati a scegliere il rito abbreviato, mentre il resto della Giunta ha optato, compatta, per il dibattimento. E, per i giudici, dalle chat emergerebbe “l’atteggiamento perentorio assunto dal Falcomatà nel voler ad ogni costo portare la proposta di delibera in Giunta convocando ad hoc una seduta urgente ed indifferibile, rimproverando aspramente l’assessore Quattrone per il ritardo fino ad invitarla a presentare le dimissioni, sollecitando, sempre via chat, i presenti ad approvare la delibera. Lo stesso si è dimostrato irremovibile nonostante i plurimi profili di illegittimità della proposta di delibera segnalati dall’assessore Marcianò, tanto da indurre i suoi più stretti collaboratori ad adoperarsi in ogni modo per riformulare il testo eliminando le più evidenti criticità tuttavia senza cambiare la sostanza in modo da soddisfare i suoi desideri”.

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