di Claudio Cordova – “Permangono gravi elementi di criticità e, conseguentemente, di incompatibilità, in seno all’ordinamento giuridico, tra talune forme associative e lo Stato democratico, così come segnalato da questa Commissione parlamentare di inchiesta anche nel corso della precedente legislatura”. Queste le conclusioni cui è arrivata la Commissione Parlamentare Antimafia presieduta da Nicola Morra nella relazione “Rapporti tra la criminalità organizzata e logge massoniche, con particolare riferimento alle misure di contrasto al fenomeno dell’infiltrazione e alle doppie appartenenze”. Si tratta della sezione n.20 della relazione finale, realizzata dalla senatrice Margherita Corrado.
La Commissione riprende il lavoro già effettuato, alcuni anni fa, dal gruppo di lavoro di Rosy Bindi. E il focus, nei rapporti tra criminalità organizzata e massoneria non può che essere la ‘ndrangheta: “Quel che emerge anche dalle indagini più recenti è il vivo interesse da parte della ‘ndrangheta, di cosa nostra, ma anche di autonomi comitati di affari vicini a tali ambienti criminali, di infiltrarsi nel tutt’altro che impermeabile sistema massonico, al fine di curvare i cardini di solidarietà, obbedienza e riservatezza tipici delle associazioni a carattere iniziatico ai fini illeciti e alla realizzazione di disegni criminosi di ampio respiro”.
La massoneria, dunque, come grimaldello per penetrare in stanze che dovrebbero essere inaccessibili. Un tavolino, non solo ideale, ma assai materiale, in cui boss mafiosi e colletti bianchi si trovano a decidere dei destini delle comunità, per i fini delle organizzazione “tesi all’acquisizione, gestione o comunque al controllo di attività economiche, appalti e servizi pubblici alla manipolazione del voto nelle consultazioni elettorali e all’inserimento di propri referenti nei gangli della pubblica amministrazione e nelle assemblee elettive locali”.
La relazione richiama anche diverse inchieste di varie autorità giudiziarie. Tra cui quelle di Reggio Calabria “Gotha” e “Ndrangheta stragista”. Proprio su quegli anni di transizione, ecco un passaggio: “Prima che prendesse avvio la strategia stragista voluta da cosa nostra ed appoggiata dalla ’ndrangheta, va detto che in taluni ambienti massonici collegati con la destra eversiva era stato elaborato un nuovo progetto politico di tipo separatista-secessionista, in collegamento e in parallelo al fenomeno in ascesa del federalismo settentrionale propugnato dalla Lega Nord”.
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Nella relazione è richiamata anche la tesi sostenuta da Giuliano Di Bernardo, Gran Maestro del Grande Oriente d’Italia dal marzo del 1990 all’aprile del 1993, secondo il quale i massoni calabresi hanno sostenuto i movimenti politici separatisti che si stavano diffondendo in quegli anni in tutto il territorio nazionale cercando di coinvolgere anche il Grande Oriente. Tutto in un progetto scaturito dalle trame della P2, la loggia di Licio Gelli, che avrebbe di fatto continuato il proprio operato anche dopo lo scioglimento. Di Bernardo ha pure sottolineato come Licio Gelli disponesse di « una base molto forte » all’interno del G.O.I. e che intendeva essere riammesso nell’obbedienza. Approfittò così della sua elezione a Gran Maestro per chiedergli di rientrare formalmente nel G.O.I., prospettandogli persino – tramite un suo emissario – la possibilità di ottenere in cambio del denaro. Tali profferte furono respinte, tuttavia Gelli – ricorda Di Bernardo – verso la fine del 1991 e la primavera del 1992 ritornò a contattarlo, prospettandogli questa volta la consegna di quello che lui presentava come il vero elenco della P2 in quanto quello sequestrato dalla magistratura era solo parziale.
Le dichiarazioni del Gran Maestro si saldano non solo con quelle dei collaboratori di giustizia siciliani Tullio Cannella e Gioacchino Pennino, ma anche con quelle dei collaboratori calabresi Filippo Barreca e Cosimo Virgiglio e attestano l’esistenza di sistemi criminali occulti (massoneria, servizi deviati e appartenenti alla destra eversiva) che misero a disposizione dei vertici di cosa nostra e ’ndrangheta un progetto di rinnovamento politico che si snodava attraverso i movimenti autonomisti, espressione di sfiducia verso la vecchia classe politica, ed era rivolto al raggiungimento del comune obiettivo di « impossessarsi dello Stato ». Secondo Virgiglio le famiglie di ’ndrangheta che si raccordavano con la massoneria erano i Molè–Piromalli, i Mancuso, i De Stefano, gli Arena di Isola di Capo Rizzuto, i Barbaro, i Morabito, i Latella, i Pelle, gli Strangio ed altri.
I collaboratori Filippo Barreca e Giacomo Lauro hanno parlato di una sorta di « superloggia » creata sia a Reggio Calabria che a Catania. A tali logge avrebbero partecipato esponenti di vertice e della criminalità organizzata calabrese e di quella di cosa nostra; in tal modo sarebbero riusciti ad avere un flusso continuo di comunicazioni e avrebbero potuto instaurare un rapporto di collaborazione e di connivenza con le istituzioni arrivando così a gestire la res pubblica.
“Il collante del sistema era quindi la massoneria deviata, con cui da sempre – stando a quanto dichiarato dai collaboratori – sembrano essere strettamente legate a stretto filo ’ndrangheta e cosa nostra” scrive la Commissione Parlamentare Antimafia. La Commissione, quindi, arriva a queste conclusioni: “Sulla base di tali apporti dichiarativi è, dunque, possibile affermare che all’interno della massoneria abbiano gravitato certamente per lungo tempo soggetti appartenenti alle organizzazioni criminali che, in collaborazione con esponenti politici ed appartenenti a settori istituzionali deviati, hanno sinergicamente indirizzato la strategia stragista”.
La Commissione parlamentare Antimafia punta l’attenzione sull’inadeguatezza della “disciplina vigente e sulla necessità di introdurre nuove previsioni che siano capaci di fronteggiare i pericoli esistenti e garantire il corretto funzionamento dei pubblici poteri, in un quadro normativo piuttosto complesso perché vincolato dall’esigenza di salvaguardare libertà, diritti e principi costituzionali, tutti, di elevato valore”.
Sulla base degli atti d’indagine, la Commissione Antimafia paventa inoltre “l’esistenza di rapporti tra esponenti di vertice delle organizzazioni criminali sia calabresi che siciliane ed i servizi segreti possa ricondurre a convergenti dichiarazioni di numerosi collaboratori di giustizia, alcuni dei quali (81) hanno precisato che si trattava di contatti assai risalenti nel tempo da cui erano derivati ad alcuni esponenti di vertice di famiglie di ’ndrangheta indubbi benefici”.
Tra le proposte della Commissione, “l’introduzione di una disciplina, a livello nazionale, che preveda limitazioni ulteriori per coloro che svolgono delicate funzioni pubbliche (magistrati, appartenenti alle forze dell’ordine ed in genere coloro che svolgono pubbliche funzioni di particolare rilievo) prevedendo il divieto di prendere parte, a qualunque titolo, ad associazioni che comportano un vincolo di obbedienza assunto in forme solenni, nonché in associazioni fondate su giuramenti o vincoli di appartenenza, attesa l’incompatibilità dei vincoli così assunti con gli obblighi di soggezione solo alla Nazione, che la Costituzione gli attribuisce”. Per tali categorie di soggetti andrebbe, inoltre, presa in considerazione “l’introduzione di un obbligo normativo” che “preveda la dichiarazione della propria affiliazione a qualunque sodalizio, sia esso riconosciuto o meno, e qualunque sia il fine perseguito, trattando i dati così immagazzinati secondo le garanzie sancite dal Codice in materia di protezione del dati personali”.