L’acromegalia è un marcato ingrossamento delle estremità e delle parti del corpo che sporgono verso l’esterno, come il naso, le orecchie e il mento. Se si è affetti da acromegalia da adulti, si può notare solo all’inizio che le scarpe non entrano più o che un anello è diventato troppo piccolo, questi potrebbero essere segni di una malattia. Insieme al dottor Domenico Tromba, endocrinologo e consigliere dell’Ordine dei Medici di Reggio Calabria, cerchiamo di capire meglio quali sono i disturbi e come poter curare tale patologia.
“I sintomi non compaiono improvvisamente, ma si sviluppano lentamente, in modo così insidioso che quasi non ci si accorge dei cambiamenti esterni del corpo – spiega l’endocrinologo Tromba -. L’acromegalia è una condizione rara, grave e invalidante, caratterizzata dal progressivo ingrossamento delle ossa acrali (della testa, delle mani e dei piedi), delle labbra e di alcuni altri organi, con conseguenti alterazioni metaboliche che comportano un rischio per la vita dei pazienti. Questa patologia è causata da una sovraproduzione di ormoni della crescita nella ghiandola pituitaria e, quasi sempre è determinata da un tumore benigno dell’ipofisi. “Benigno” significa che il tumore non forma metastasi. L’ipofisi si ingrandisce e aumenta il numero di cellule che producono ormoni e, di conseguenza, produce una quantità eccessiva di ormone della crescita”.
Solo molto raramente si considerano altre cause come fattori scatenanti dell’acromegalia, ad esempio un tumore neuroendocrino del polmone, del pancreas o una mutazione genetica che porta ad un eccesso di produzione di ormone della crescita. Esistono anche forme familiari in cui esiste una predisposizione genetica allo sviluppo di adenomi ipofisari.
“Le persone affette da questa patologia hanno spesso problemi cardiovascolari, dolori e l’eccesso di ormoni può avere un effetto stressante sullo scheletro e sugli organi interni – aggiunge il dottore -. Anche la tiroide è fortemente interessata negli acromegalici. Il carcinoma tiroideo rappresenta il 3,1%di tutte le neoplasie di questi pazienti e nel 4,7% si tratta di un carcinoma papillifero”.
I pazienti con acromegalia non trattata, infatti, hanno un tasso di mortalità pari a circa il doppio rispetto a quello osservato nella popolazione generale e una riduzione media dell’aspettativa di vita di circa 10 anni. Chi soffre di tale patologia rischia di sviluppare fratture vertebrali, anche quando i valori di densità minerale ossea all’esame della mineralometria ossea computerizzata (MOC) sono solo lievemente ridotti o, addirittura normali.
“L’acromegalia è nota per essere caratterizzata da una progressiva deformazione delle connotazioni somatiche e da un ampio range di complicanze sistemiche. I pazienti si accorgono che i lineamenti del volto diventano grossolani e il processo inizia generalmente prima dei 40 anni, anche se il riconoscimento della malattia può essere molto tardivo – aggiunge il dottor Tromba -. Col passare del tempo, aumenta inoltre, il rischio di sviluppare disturbi visivi, complicanze cardiache e reumatiche, ipertensione e cancro del tratto gastro-intestinale. Si riscontrano anche altre alterazioni di tipo metabolico, come ridotta tolleranza al glucosio e diabete. In alcune donne, si osservano galattorrea, irregolarità mestruali o amenorrea, mentre circa un terzo degli uomini con acromegalia sviluppa disfunzione erettile”.
In conclusione, lo specialista reggino ribadisce che “attualmente, il trattamento farmacologico di scelta si basa su analoghi della somatostatina quali octreotide e lanreotide, che sono disponibili in formulazioni ad attività ritardata, efficaci fino ad un mese dopo singola somministrazione. La rimozione selettiva del tumore ipofisario con la chirurgia è considerata una terapia di prima linea per la maggior parte dei pazienti, mentre quelli con comorbilità che impediscono la resezione chirurgica sicura e quelli con tumori non resecabili possono essere trattati con la terapia medica primaria. I tassi di remissione dopo la resezione chirurgica dipendono dalle dimensioni e dal grado di invasione dell’adenoma ipofisario e dall’esperienza del neurochirurgo”.