di Gianni Carteri* - Nel bel libro Il Novecento segreto di Giacomo Debenedetti , edito da Rizzoli, Walter Pedullà ricorda con partecipe nitidezza narrativa quando Mario La Cava si recava con lui, Saverio Strati e Carmelo Filocamo a Messina a parlare con Debenedetti "che ascoltava e si divertiva a sentire le sue storie di vita quotidiana calabrese. Debenedetti ha conosciuto il Sud, oltre che sui libri di Ernesto De Martino, Tommaso Fiore e Antonio Gramsci, attraverso l'oralità incantatrice e sorridente di La Cava".
Il grande critico di origine ebrea era convinto che "Mario La Cava sta nel suo piccolo paese calabrese come se fosse nella corte del re di Francia. Questo narratore di provincia – aggiungeva - non è per niente un provinciale".
La conferma è venuta un paio d'anni fa da I racconti di Bovalino , editi da Rubbettino, e curati dai bravi e puntuali Milly Curcio e Luigi Tassoni (sono anche i curatori del carteggio Sciascia –La Cava , da poco uscito , sempre per Rubbettino e del quale ci occuperemo in seguito). Come scrive il critico catanzarese nella prefazione i racconti si presentano " come un piccolo capolavoro intraducibile, formato da un insieme di frammenti e di riferimenti, l'uno necessario all'altro, come una sorta di polifonia per un mondo silenzioso, intorno e dentro al quale il narratore gira spostandosi di poco, di pochi chilometri, di poche case, di pochi millimetri nella coscienza".
Da questi racconti ne vien fuori un piccolo mondo antico ,ricco di tante storie da raccontare, di tanti microcosmi che hanno la regalità dei macrocosmi : come l'Anguilla de La luna e i falò anche La Cava ha creduto per molto tempo che la sua Bovalino fosse davvero tutto il mondo. In fondo il mondo è fatto di tanti piccoli paesi .Non si sbagliava poi di tanto. Da qui il suo tendere l'orecchio alle tanti voci di dentro di un'umanità povera, che si muove in un mondo arcaico e chiuso e ben lontana dalla modernità scagliosa e irriverente di oggi.
Ben radicato nella sua Bovalino,l'avvocato riusciva,con grande rapidità di scrittura, a rappresentare una provincia che – come dice Giulio Ferroni –" in quanto provincia, riesce in qualche modo ad essere centro, a confrontarsi con il centro, mantenendo la fedeltà totale al suo stare immerso, al suo parlare di quel mondo . E sono queste premesse che caricano la narrativa di La Cava di grande fascino"
Il fascino di un grande , forse l'ultimo vero meridionalista, che ci fa tornare indietro negli anni, al primo novecento, agli stenti di un vivere angosciante , un mondo popolato da gente povera, spesso perseguitato dalla sventura( è il fonema più ricorrente nel libro) e che aveva bisogno della maga di Siderno " per sopportare i mali della vita con una parola di speranza o per mutare un destino avverso con un consiglio illuminato o per trovare conforto con una bella fantasia consolatrice.
Ben diversa dalle colleghe di oggi non era interessata al guadagno, e non le importava, proprio non le importava, se qualcuno si presentasse con le mani vuote( ...) Certo non era il suo forte guarire dalle malattie; ed ella lo diceva: tuttavia si prestava a dare qualche consiglio; e come era utile più che le ricette dei medici illustri ."
Nel giorno della sua nascita ( nacque l'11 settembre 1908), per chi come me l'ha conosciuto e riceveva anticipazioni sui suoi indimenticabili pezzi per le grandi testate nazionali, è bello ricordare quel suo camminare svelto per le strade del paese, con quel suo sguardo ironico dietro gli occhiali spessi e il suo sorriso sempre chiaro, aperto , il sorriso di chi è rimasto dentro un eterno ragazzo.Lo incontravo spesso nel salottino di Mario Camera, personaggio indimenticabile della vecchia Bovalino, in compagnia del dottor Agostino Ientile , di Ninì Gelonesi e dei fratelli Pepè e Totò Carpentieri . Era quella , spesso , la fucina dei suoi racconti , era lì che l'indimenticabile ingegnere di anime raccoglieva le tante storie riproposte in questo libro.
Scorrono ad uno ad uno i suoi personaggi: ecco comare Consolata che "pareva un tronco spinoso di ficodindia quando andava a buttare la spazzatura nel fosso della marina (...) non era più buona ad altro che a svuotare il secchio della spazzatura e a lavare , con una sommaria pulizia , i panni sporchi del vecchio colonnello suo coetaneo, immobilizzato a letto, dove aveva perduto i sensi ."
L'ilarità lacaviana , così cara a Italo Calvino , trionfa nel bel racconto La moglie del farmacista. Protagonista è Concettina , una bella diciottenne, alta e disinvolta, coi capelli d'oro e da subito oscuro oggetto di desiderio del farmacista. Con una rapida pennellata La Cava entra nel cuore della storia:"Concettina, approfittando della distrazione della mamma, restò incinta. Che fare ormai? L'unica via era piangere sulla propria sventura. Presto la sua vergogna sarebbe stata palese. " Mamma non mi dovevi lasciare sola con lui " .Ma la madre più saggia rispondeva: " No, no, ti deve sposare! ) .
Il finale è sorprendente e ben lontano dalle solite storie di Mario La Cava. Credo che il più bel racconto sia l'ultimo, di sapore sveviano e con venature pirandelliane, a tratti autobiografico :Le contentezze del laureato:
"(...) Damiano pensava che avrebbe preferito fare l'avvocato. Le capacità ce l'aveva. Ma con quali mezzi? Quando avrebbe sfondato ? Ecco che la madre aveva avuto ragione a insistere perché egli imboccasse la strada più sicura degli impieghi."
I racconti di Bovalino esprimono poeticamente , come scrive lo stesso autore,un sentimento tragico della vita e, pur non raggiungendo il livello dei racconti Viaggio in Egitto e altre storie di emigranti (credo l'apice della narrativa lacaviana insieme ai Caratteri e a I fatti di Casignana),aggiungono un altro significativo tassello alla produzione letteraria dello scrittore di Bovalino ,ricordato sul Corriere della Sera nei giorni scorsi da Claudio Magris ed accomunato allo scrittore triestino Giorgio Voghera , che di La Cava fu grande amico :"Credo li accomunasse, pur nella diversità di temperamento e di stile , un'analoga asciutta malinconia nei confronti della vita e delle cose, uno sguardo ironico e comprensivo sul mondo, un istintivo rispetto per gli altri, per sentimenti e valori magari non condivisi o contestati ma sempre con profondo riguardo verso le persone che li professavano . "
Chi meglio di tutti ha colto il senso profondo dell'arte e del messaggio di Mario La Cava credo sia stato Vincenzo Consolo , da qualche mese scomparso e tra i più grandi ed originali scrittori italiani ,che negli anni settanta frequentò a Milano lo scrittore di Bovalino , complici partecipi Ettore Badolato e Leonardo Sciascia : " La Cava appartiene alla razza di quei narratori orali, di quelli che ricevevano le storie e le trasmettevano. E chi conosce, del resto , lo scrittore fuori dalla pagina scritta, di persona, sa che in La Cava sempre il parlare si trasforma in racconto, prende il tono dell'affabulazione. Ma La Cava, è chiaro, al contrario di quei narratori orali ai quali per un verso appartiene, è anche scrittore . Il che vuol dire saper scegliere cosa raccontare, vuol dire uscire da quelle realtà umane chiuse in se stesse verso l'universo, vuol dire dare significato a ciò che si racconta.
*Scrittore, saggista e critico letterario, Gianni Carteri è un profondo conoscitore della Calabria e dei letterati calabresi - di nascita o d'adozione - che l'hanno scelta come patria. I suoi testi su Corrado Alvaro e Cesare Pavese sono considerati un riferimento imprescindibile dalla critica letteraria nazionale. Vincitore del premio "Pavese" per la critica letteraria e del premio "Amantea", per la saggistica, Carteri ha di recente dato alle stampe la sua ultima fatica " Come nasce uno scrittore" (Città del Sole Edizioni), un sentito omaggio a Mario La Cava.
La foto è tratta dal sito www.mariolacava.it