di Claudio Cordova - Le lancette dell'orologio hanno da poco superato l'una di notte, quando tre persone si avvicinano ridendo amabilmente al cancello d'uscita di una villetta estiva a Bocale, zona balneare a sud di Reggio Calabria. Uno dei tre è Lodovico Ligato che in quel periodo è sicuramente il politico reggino più noto: è il 27 agosto 1989. Da buon padrone di casa, Ligato accompagna due amici, ospiti a cena in quella sera di fine estate. Come spesso accade, i metri che separano dall'uscita sono l'occasione per le ultime chiacchiere e degli ultimi sorrisi. Dopo i saluti, però, i due ospiti non fanno neanche in tempo a scomparire nel buio nella notte che dalla stessa oscurità fuoriescono le sagome di due uomini.
Due uomini armati.
Ligato è un facile bersaglio e viene investito da una raffica di colpi, da cui cerca invano di salvarsi, ritornando verso casa. La sua corsa si ferma sul pianerottolo dove si accascia privo di vita, in un lago di sangue. Così viene trucidato, sull'ingresso della propria residenza estiva, il politico più in vista della città, con un passato da Presidente delle Ferrovie dello Stato e da deputato della Democrazia Cristiana.
Al termine dei rilievi, saranno trentacinque i proiettili, provenienti da tre diverse armi, di cui gli investigatori, accorsi in massa nei minuti successivi al delitto, riusciranno a repertare. Ben ventisei colpi raggiungeranno la vittima. Una pioggia di piombo per eliminare Ligato: "Un impressionante volume di fuoco impiegato, assolutamente spropositato per l'omicidio di una sola persona, ad eloquente riprova della perentoria spietatezza dell'esecuzione" scriveranno i giudici. "Escludo categoricamente che mio marito avesse sensazione di un pericolo che lo sovrastava" dirà invece, in più circostanze, Eugenia Mammana, moglie della vittima.
Non è un periodo esaltante, quello della fine degli anni '80 per Ligato. Il 25 novembre del 1988, infatti, scoppia lo scandalo delle "lenzuola d'oro", che, attraverso un'indagine della magistratura, coinvolge i vertici delle Ferrovie dello Stato, tra cui lo stesso Ligato. Secondo gli accertamenti, le forniture di biancheria per i treni notturni, ovvero le lenzuola per le cuccette e i vagoni letto, vennero pagate a prezzi gonfiati e fuori mercato. Sul tavolo, infatti, ballavano i 150 miliardi di lire dell'appalto vinto dalla ditta dell'avellinese Elio Graziano che, alla fine dell'iter giudiziario, verrà condannato a oltre cinque anni di carcere. Anche Ligato, dunque, rimarrà impantanato nel caso e si dimetterà dall'importante ruolo nazionale: "Quando mio marito assunse la carica alle Ferrovie – racconterà ancora Eugenia Mammana - vi era stato da parte del Partito (la DC) un impegno di aiutarlo e sostenerlo. Questo impegno è mancato del tutto nella realtà sia prima che dopo l e dimissioni della Presidenza FF. SS. Mio marito non avrebbe mai agito contro la Democrazia Cristiana. Forse era nei suoi propositi di fare qualche nome di persone ben più di lui coinvolte nello scandalo delle Ferrovie. Mi aveva esternato questo proposito anche senza farmi i nomi che intendeva rive1are. Si trattava comunque di personaggi legati al mondo della politica e della magistratura. Credo comunque che non si trattasse di personaggi legati ad ambienti economici o delinquenziali".
Ma gli anni tra la fine del '80 e l'inizio del '90 non sono anni esaltanti neanche per Reggio Calabria. Anzi, sono gli anni più bui che la città ricordi, almeno dal dopoguerra in poi. A partire dal 1985, infatti, le principali cosche mafiose della città – i De Stefano-Tegano-Libri da una parta e i Condello-Imerti dall'altra – si danno battaglia in una mattanza che durerà fino al 1991 e che, alla fine della contesa, lascerà sull'asfalto circa settecento vittime.
L'omicidio di Lodovico Ligato si incastra proprio in quegli anni.
Un "delitto eccellente" quello dell'onorevole Ligato. Un omicidio che per l'importanza della vittima e per le modalità indirizza subito gli inquirenti proprio sulla pista mafiosa: "I rapporti d i mio marito con la delinquenza organizzata locale – dirà ancora agli investigatori Eugenia Mammana - erano di separazione. Voglio dire che mio marito non chiedeva niente e non dava niente. E' vero che conosceva Paolo De Stefano , il defunto boss di Archi ed è anche vero che sia mio marito che Quattrone (l'on. Franco Quattrone, ndr) appoggiarono l'avvocato Giorgio De Stefano, cugino del boss Paolo De Stefano, nelle elezioni amministrative del 1980... Successivamente tuttavia mio marito si oppose a che l'avvocato De Stefano, nel frattempo eletto, diventasse Assessore".
La morte violenta di Ligato accende i riflettori sui suoi presunti rapporti con la criminalità organizzata, con la 'ndrangheta. Rapporti esistenti, ma, a dire della moglie, limitati solo e soltanto a una semplice conoscenza: "Con Barreca Filippo, di cui si dice che è un personaggio di spicco della malavita di Bocale, mio marito aveva dei rapporti mo1to indiretti, in genere per interposta persona. Più o meno nel periodo di Pasqua del 1989, il Barreca, tramite intermediario che sconosco chi fosse, cercò di intervenire presso mio marito perché si interessasse del maxiprocesso allora in corso di celebrazione a Reggio Calabria. Intendo dire che il Barreca vo1eva che mio marito raccomandasse taluno degli imputati. L'onorevole Ligato licenziò l'intermediario dicendo che aveva i propri problemi di cui interessarsi".
E nell'omicidio Ligato, comunque, la 'ndrangheta c'entra eccome. Al termine di un complesso iter giudiziario, infatti, verranno condannati Pasquale Condello, "il Supremo", Santo Araniti e Paolo Serraino, come mandanti, mentre Giuseppe Lombardo, "Cavallino", verrà ritenuto uno degli esecutori materiali dell'agguato. Ma nel dicembre del 1992, sulla scorta delle dichiarazioni di alcuni collaboratori di giustizia – Alfa e Delta - verranno colpiti da un'ordinanza di custodia cautelare quelli che, per un determinato periodo di tempo, verranno considerati i "mandanti politici" del delitto Ligato: l'ex sindaco Piero Battaglia, Franco Quattrone, Giuseppe Nicolò e Giovanni Palamara. Ma i "colletti bianchi" usciranno dal procedimento molto presto: già il 27 maggio del 1994, dopo che la Cassazione aveva annullato nei loro confronti la misura cautelare, il Gip di Reggio Calabria pronunzierà la sentenza di non luogo a procedere per Battaglia, Quattrone, Nicolò e Palamara.
Un processo difficile e lungo (solo il primo grado conterà ben cinquantadue udienze) che inizia con una durissima polemica della famiglia Ligato che, in contrasto con l'accusa, revoca la propria costituzione in giudizio: "Io ed i miei figli abbiamo avuto conoscenza di atti di questo processo che ci hanno sconvolto. Mi riferisco anche al1e motivazioni di decisioni intervenute in sede istruttoria. Mio marito è descritto come uomo legato a consorterie mafiose e come ingordo ed arrogante ricercatore di ut1ità illecite. La mia famiglia contesta la ricostruzione del tragico evento dell'estate 89, nei termini esposti dallo stesso pm. Tutto è falso e sfregiante dell'immagine di mio marito ed i miei figli, oltre al dolore subito per la perdita del padre non possono patire questa onta asso1utamente falsa, ingiusta e ignominiosa. E nostro convincimento che c'è un solo modo per difendere la memoria dello scomparso, dissociarsi dai teoremi del la pubblica accusa e uscire da questo processo".
Quando viene trucidato davanti alla propria residenza estiva, Ligato ha compiuto 50 anni da nemmeno due settimane: è nato, infatti, il giorno di Ferragosto. Ha appena cinquant'anni, Ligato, ma ha già un curriculum lunghissimo alle spalle. E' stato presidente delle Ferrovie dello Stato, ma, nel novembre del 1988, essendo stato coinvolto nello scandalo delle "lenzuola d'oro" in seguito all'assegnazione, a prezzi esorbitanti, di un grosso appalto per la fornitura di biancheria per i vagoni letto, è costretto a dimettersi insieme con tutto il Consiglio di Amministratore delle FS. Un'uscita di scena da un ruolo di grande prestigio, ma non solo: la carica ricoperta da Ligato, come sarà sottolineato anche dai giudici, non era assolutamente una mera onorificenza, ma una delle poltrone più importanti del Paese, visto il cambiamento che, in quegli anni le Ferrovie dello Stato stavano tentando di attuare. Ligato è stato anche deputato della Democrazia Cristiana e, adesso, a distanza di nove mesi dallo scandalo delle "lenzuola d'oro" ha deciso di rientrare a Reggio Calabria per impegnarsi in maniera attiva nella politica locale. Quelli, a Reggio Calabria, però, sono anni difficili: la città è nel bel mezzo della guerra di mafia tra i Condello-Imerti e i De Stefano-Tegano-Libri. Non solo: in quei mesi il Governo emana il Decreto legge dell'8 maggio del 1989, n.166 che reca la dicitura "Interventi urgenti per il risanamento e lo sviluppo della città di Reggio Calabria". E' il "Decreto Reggio". Ligato, allora, decide di tornare in città e di sfruttare capacità e carisma nell'ambito della politica locale. E' chiacchierato, Lodovico Ligato, qualcuno lo ritiene vicino alla famiglia De Stefano, che del cartello Condello-Imerti è nemica giurata. Si inquadrerebbe in quest'ottica l'omicidio dell'ex deputato DC: uno dei mandanti del delitto, infatti, è proprio Pasquale Condello, "il Supremo".
Per una criminalità organizzata, la 'ndrangheta, che, a differenza di Cosa Nostra, ha sempre mantenuto un profilo più basso, anche con riferimento agli omicidi "eccellenti", quello di Ligato è il primo vero, "grande" delitto: "Mai prima di allora – scriveranno i giudici - e pur nella sequela impressionante di gravi omicidi che proprio in quegli anni insanguinavano la città di Reggio Calabria, oltraggiandone per sempre l'immagine, la furia omicida aveva colpito così in alto; mai prima di allora era rimasto vittima un esponente politico di rilievo nazionale; mai prima di allora era stato "toccato" un rappresentante delle Istituzioni di tanta autorevolezza". Due anni dopo toccherà al giudice Antonino Scopelliti, il cui delitto è, ancora, avvolto da tanto mistero, mentre per un nuovo omicidio "eccellente", si dovrà attendere il 2005, con la morte del vicepresidente del Consiglio Regionale della Calabria, Franco Fortugno.
Insomma, anche a distanza di ventitré anni, la morte di Ligato ha, per la città, un rilievo non indifferente. Tante le cause che hanno avvolto, negli anni, il movente del delitto "eccellente": dalla vicinanza alla 'ndrangheta, passando per lo scandalo delle "lenzuola d'oro", in cui Ligato aveva manifestato la volontà di "fare i nomi", diventando, quindi, un personaggio scomodo, fino ad arrivare a chiacchierare eventuali relazioni passionali esterne al matrimonio da parte dell'ex deputato DC. Tanti i nuclei d'interesse di Ligato, dal punto di vista affaristico: imprese di intermediazione immobiliare, consulenza edilizia, promozione di materiale edile. Difficile, dunque, inquadrare il contesto dell'omicidio di un uomo scaltro e potente, bravo a muoversi a metà tra l'aspetto politico e quello manageriale. Un aspetto rimasto nebuloso nel processo ha riguardato infatti il possibile interesse di Ligato alla convenzione intercorsa tra la società Bonifica – una società di servizi con sede a Roma - e l'Amministrazione Comunale di Reggio Calabria, per l'affidamento della progettazione di rilevanti opere pubbliche che avrebbero dovuto essere finanziate nell'ambito del "Decreto Reggio".
Troppi gli interessi di Lodovico Ligato, che pagherà questa sua sovraesposizione prima ancora che con la vita, con l'isolamento. "L'imbarazzato silenzio attorno all'omicidio" scriveranno i giudici. Stando alle ricostruzioni giudiziarie, dunque, Ligato, che pure avrebbe avuto intenzione di far valere in città il proprio peso politico, sarebbe stato isolato a causa delle chiacchiere sul suo conto, nonché per le vicende giudiziarie che lo vedevano coinvolto: "Ecco allora – scriveranno i giudici - che il peso specifico di quel piombo che aveva stroncato la vita di Ligato aumentava a dismisura nella coscienza dei suoi ex amici, tutti pronti a prenderne le distanze come a scongiurare il rischio che l'inquietante messaggio racchiuso in quella morte potesse in qualche modo nuocere alle loro immagini".
Funerali sostanzialmente deserti e silenzi – interrotti solo da Oscar Luigi Scalfaro e Giacomo Mancini – nei giorni successivi all'omicidio. Nell'indifferenza generale muore e viene seppellito uno dei politici più in vista del panorama meridionale degli anni '80. In compenso, pochi giorni dopo la morte, la politica reggina spezzerà l'impasse in cui era piombata da diverso tempo e provvederà alla nomina del sindaco, Piero Battaglia.