A 21 anni dall'omicidio, il giudice Scopelliti non è più solo

scopellitigiudice - di Alessia Candito - Forse sentiva sulla pelle ancora l'odore del mare e la malinconia di un giorno passato al sole, al Lido Gabbiano di Favazzina. Oppure lo turbava quell'inquietudine esplosa qualche ore prima in acqua, quando facendo il bagno aveva scambiato una busta di plastica trascinata da un motoscafo per una bomba a lui indirizzata. O ancora, il pensiero correva già a quell'incombenza familiare che lo aveva portato ad anticipare di un'ora il rientro dalla spiaggia. Non è dato sapere cosa pensasse il giudice Antonino Scopelliti quando il 9 agosto 1991, a campo Piale, nei pressi di Campo Calabro, ha incrociato la strada dei suoi killer.
Avrebbe potuto chiedere una scorta ma – forse – si sentiva sicuro. Faceva sempre lo stesso tragitto, era metodico, seguiva sempre i medesimi orari e percorsi. E c'era chi lo sapeva, lo studiava. E il 9 agosto del 1991 ha agito. Sulla strada per Campo Calabro, due uomini a bordo di una moto scaricano sul magistrato, all'epoca sostituto procuratore generale della Cassazione, una pioggia di proiettili. Due colpi secchi infrangono il vetro e colpiscono il giudice alla testa. Scopelliti perde il controllo dell'auto che sbanda e prosegue per circa dieci metri finendo fuori strada. Dopo aver divelto un cancelletto plana in un vigneto. Una telefonata anonima avverte il posto di polizia di Villa San Giovanni. Gli agenti arrivati sul posto pensano prima ad un incidente stradale, ma basta un'occhiata più attenta al cadavere del magistrato per scoprire i due fori di proiettile.
Sono gli anni della guerra di ndrangheta e a Reggio si spara. I morti ammazzati si contano per centinaia. Le ndrine hanno colpito anche personaggi di peso della politica nazionale, come l'ex chiacchieratissimo presidente delle Ferrovie, Lodovico Ligato. Ma non un giudice. È successo con Ferlaino a Lamezia negli anni Settanta e a Torino Bruno Caccia. C'è ci ipotizza che anche dietro l'omicidio romano de giudice Occorsio potrebbero esserci le ndrine calabresi. Ma Antonino Scopelliti, nel suo lavoro quotidiano non ha nulla a che fare con la ndrangheta. Poco prima delle ferie aveva cominciato a studiare le carte del maxiprocesso di Palermo. Sarebbe stato lui a sostenere la pubblica accusa in Cassazione e – chi lo conosceva ne è sicuro – avrebbe chiesto alla Corte di pronunciarsi per il rigetto dei ricorsi avanzati dagli imputati.
Le indagini, si indirizzano inizialmente su tre direttrici - una pista "locale", una "privata" e "palermitana". La vita del giudice viene passata al setaccio. Amici e parenti lo ricorderanno a tratti nervoso e preoccupato nei giorni precedenti all'omicidio. Un'amica, ricorda una telefonata dai toni sibillini la sera precedente all'agguato e un'affermazione sibillina del magistrato "un'apocalisse, un'apocalisse".
Ma poco a poco, l'unica pista ad assumere consistenza è quella che porta ai dirimpettai di Cosa Nostra che forse – ipotizzano gli inquirenti – potrebbero aver chiesto ai "cugini" calabresi il favore come estremo tentativo di condizionare l'esito del maxiprocesso. Una tesi che Giovanni Falcone – fino a poco tempo prima a capo della procura di Palermo, trasferito, ufficialmente per ragioni di sicurezza alla direzione degli affari penali del ministero di Grazia e Giustizia – esporrà in un brillante articolo pubblicato su La Stampa. "L'eliminazione di Scopelliti è avvenuta quando ormai la suprema corte di Cassazione era stata investita dalla trattazione del maxiprocesso alla mafia palermitana e ciò non può essere senza significato. Anche se, infatti, l'uccisione del magistrato non fosse stata direttamente collegata alla celebrazione del maxiprocesso davanti alla suprema corte, non ne avrebbe comunque potuto prescindere nel senso che non poteva non essere evidente che l'uccisione avrebbe pesantemente influenzato il clima dello svolgimento in quella sede".
Un'intuizione che verrà confermata a breve da diversi pentiti. Il primo a parlare è Gaspare Mutolo, sicario e regista dei traffici di droga con l'Asia per i palermitani, dal 91 primo pentito dello schieramento "vincente" capeggiato da Toto' Riina. "L'omicidio del dottor Antonio Scopelliti sarebbe stato commesso su mandato di Cosa Nostra' e collegato con la partecipazione del Magistrato, in qualità di Pubblico Ministero, al giudizio di Cassazione concernente il maxi-processo", dirà Mutolo ai magistrati. "Ebbi poi specifica conferma ... verso il novembre 1991, periodo in cui ... mi trovavo nel carcere di Spoleto, insieme a Gambino Giacomo Giuseppe "u tignusu", capo del mio mandamento. (...)Nel contesto del discorso con Gambino, io chiesi da chi fosse stato eseguito materialmente il delitto, posto che era avvenuto in Calabria e mi sembrava impossibile, dati i rapporti tra 'cosa nostra' e la 'ndrangheta, che avessero operato i killers di 'Cosa nostra'".
È un personaggio importante Gaspare Mutolo, è stato l'autista personale di Riina e braccio destro di Rosario Riccobono, capomandamento di Partanna-Mondello. I giudici- considerati gradi e frequentazioni criminali – lo considerano autorevole. Ma le sue sono conoscenze apprese de relato. "Il Gambino mi spiegò che l'omicidio era stato eseguito da killers calabresi, ma su richiesta di 'Cosa nostra' e per fare un favore a quest'ultima. In sostanza, l'omicidio del dott. Scopelliti era stato l'ultimo dei vari tentativi, già posti in essere da 'cosa nostra' per far scadere i termini di custodia preventiva" .
Circostanze poi confermate anche da altri pentiti siciliani come Leonardo Messina, Francesco Marino Mannoia, Tommaso Buscetta, Antonino Calderone e Giuseppe Marchese, il rampollo dell' omonima "famiglia" mafiosa di Corso dei Mille. Ma soprattutto dai primi collaboratori calabresi, come il boss di Pellaro, Filippo Barreca. "Aggiungo ancora che l'intervento dei siciliani, oltre gli interessi iniziali di cui ho parlato, fu ulteriormente motivato strada facendo, dalla sopravvenuta loro esigenza di eliminare il giudice Scopelliti per motivi connessi al maxi-processo di Palermo. Tutte le attività criminose di qual si voglia natura, devono passare al vaglio della cupola che ne autorizza l'esecuzione o la vieta".
Parla anche il collaboratore Annacondia " Se vi fu un accordo con forze esterne alla 'ndrangheta (mi riferisco in particolare alla mafia siciliana) io non ne sono a conoscenza in termini di dettaglio, pur essendo perfettamente a conoscenza del fatto che la mafia siciliana intervenne per cercare di pacificare la guerra di mafia in Calabria. Ribadisco che la circostanza che alle ultime riunioni Pasquale Condello non abbia portato con se nè i Saraceno nè Giovanni Fontana, nè lo stesso Antonino Imerti, depone comunque per l'ipotizzabilità di decisioni gravi, che potevano anche riguardare l'eliminazione del Giudice Scopelliti da assumere proprio in quelle riunioni e da portare a conoscenza del minor numero di persone possibili: nei patti di pacificazione era compreso qualche accordo particolarissimo che soli pochissimi avrebbero dovuto conoscere".
Anche Giacomo Ubaldo Lauro - caratura criminale internazionale e uomo di peso del cosca Imerti – sa dell'omicidio Scopelliti. Un delitto maturato nel contesto delle difficilissime trattative per porre fine alla seconda guerra di ndrangheta, che da oltre sei anni insanguinava Reggio Calabria e il suo hinterland. Anche lui però apprende le cose per via indiretta. "Del delitto Scopelliti ho avuto occasione di parlare nei primi mesi (gennaio- febbraio) del 1992 ed esattamente con Saraceno Salvatore e Trapani Giovanni... Concordemente mi hanno risposto che il delitto non era ascrivibile al nostro gruppo e che anzi era stato determinante nel senso di indurre il mio gruppo a stipulare la pace mafiosa...". Affermazioni ripetute a più riprese dal pentito di fronte ai pm, ai quali Lauro spiega anche il contesto in cui è maturato "Il delitto Scopelliti ci ha indotto a venire a patti con la cosca De Stefano - Tegano -Libri ... perchè ha determinato un intervento di tutti, e ... intendo non solo la 'ndrangheta calabrese ma anche la mafia siciliana ed il crimine organizzato canadese legato ai calabresi". In Procura arrivano anche due esposti anonimi che confermano le dichiarazioni dei pentiti e accusano i De Stefano della regia dell'omicidio.
Tanti indizi, pesantissimi, poche prove. Ma i pm vanno avanti e il 3 aprile 1993 chiedono al GIP del Tribunale di Reggio Calabria l'emissione di provvedimenti restrittivi della libertà personale a carico dei componenti della "cupola" palermitana e dei calabresi Giorgio De Stefano, in qualità di referente privilegiato di "Cosa nostra", Antonino, Antonio e Giuseppe Garonfolo come esponenti della ndrina di Campo Calabro e collegata ai De Stefano, e nei confronti del presunto killer, Luigi Molinetti . Il 20 aprile successivo il pm accoglierà la richiesta per tutti gli inquisiti, salvo che per Giorgio De Stefano. Ma quattro anni dopo, la vicenda processuale si chiuderà con un nulla di fatto: il 14 novembre del 2000 la Corte d'Assise d'appello di Reggio Calabria assolve Bernardo Provenzano, i fratelli Giuseppe e Filippo Graviano, Raffaele Ganci e Nitto Santapaola dall'accusa di essere stati i mandanti dell'omicidio. Per loro, il pg Fulvio Rizzo aveva chiesto la conferma dei sette ergastoli che erano stati comminati loro in primo grado, nel dicembre del 1998. Altre otto assoluzioni - Totò Riina, Pippo Calò, Bernardo Brusca, Pietro Aglieri, Antonino Geraci, Salvatore Buscemi, Salvatore Montalto, Giuseppe Lucchese alla sbarra nel processo di Reggio per la morte del magistrato - erano state confermate in Cassazione.
"Ogni processo è un processo di liberazione della verità. Del magma, delle apparenze. Il giudice lo compie in solitudine. Il giudice quindi è solo, con le sue menzogne che ha creduto, le verità che sono sfuggite...", scriveva il giudice Scopelliti in un diario personale ritrovato dopo l'omicidio dai familiari. Scopelliti era solo mentre preparava il maxiprocesso in Cassazione, in un periodo storico in cui le sentenze garantiste di Carnevale segnavano lo spartiacque fra i magistrati graditi o meno alle ndrine. Antonino Scopelliti è rimasto sempre più solo, dopo la sentenza che ha sancito che dieci anni di indagini non sono state sufficienti a dare un nome e un volto a mandanti e esecutori del suo omicidio.
Ma oggi un altro pentito potrebbe gettare luce su una pagina della storia calabrese e nazionale rimasta ancora oscura. Una pagina che potrebbe essere riscritta come primo atto di quella strategia di attacco allo Stato messa in piedi dalle cosche siciliane e culminata nelle stragi di Capaci e via D'Amelio. Un'interpretazione avallata dalle rivelazioni che il pentito Nino Fiume ha appuntato nelle centinaia di pagine di memoriali riempiti durante la detenzione. Memoriali oggi secretati ma che hanno permesso al pm della Dda reggina, Giuseppe Lombardo di riaprire l'inchiesta sulla morte del giudice. Un'inchiesta ancora top secret ma che promette di fare rumore.
Eppure, qualcosa è trapelato. Nel corso delle ultime udienze del processo Meta ha parlato Fiume, ha raccontato dei tentativi di abboccamento dei mafiosi siciliani, che avrebbero tentato di coinvolgere i cugini calabresi nella strategia stragista, ha ricordato il no rotondo di Peppe De Stefano alla proposta - "un magistrato da noi si avvicina con amicizia o lo si delegittima" era il Vangelo del giovane ma determinatissimo boss – ma ha asserito anche, senza incertezze, che il giovane erede di Don Paolino non ha potuto dire di no alla "cortesia" chiesta dagli uomini di Cosa Nostra. La ndrangheta reggina – rivela Fiume – non si è tirata indietro quando si è trattato di uccidere il giudice Antonino Scopelliti. "Giuseppe De Stefano - dice sicuro il pentito in pubblica udienza -mi disse che i killer che uccisero il giudice Scopelliti erano due calabresi. Devo dire anche che De Stefano mi disse che i Garonfolo erano contrari a quest'azione". Due sicari professionisti, i migliori in città, scelti forse dall'uno e dall'altro schieramento secondo le regole dettate da Mico Libri " uno dei nostri uno dei loro", per l'azione che secondo molti ha chiuso le ostilità della seconda guerra di mafia. Fiume "rischia" addirittura di fare i nomi dei soggetti che De Stefano gli avrebbe indicato in passato, ma viene stoppato dal pm Lombardo che oppone il segreto istruttorio. Ci sono – è evidente – indagini in corso. E a breve della storia giudiziaria dell'omicidio Scopelliti potrebbero essere scritti nuovi capitoli.