di Gianni Carteri* - E' limitatissimo il corpus poetico di Cristina Campo, questa devota creatura curvata " da molte nevi" ma "allegra come falò per colline d'oblio"; sempre tesa sul " quadrante dei giorni" ad insegnare alla sua anima un "passo d'addio". Magari inciso nella pietà di un verso o nelle favole più miti che disegnano parole strane, dando alla vita la sensazione che tutto "mirabilmente si dispiega" oltre il tempo , tra "aeroporti di luce e di piogge."
Una creatura che è "atomo di fuoco" e che passa talvolta per le strade del mondo febbrile e indomabile , alla ricerca di una chiesa senza tempo per penetrare "nel roveto crepitante" di un Calvario teologale , curvato talora da venti di modernità inaccettabili pur se mascherati nell'odorosa nube di una lingua che non è più la sua lingua madre.
Si capiranno solo così le sue crociate di sangue, accanto ad uomini o prelati discussi, mendicanti il vecchio Verbo che ab origine mundi rendeva più dolce, quasi una liberazione invocata, la Tigre Assenza che per tutti , con lieve mani , ha uno sguardo .
Le icone orientali diventano un rifugio di "imperiale fragranza" per fare di notte giorno e traversare "augusti deserti" totalmente rapiti da quel Dio che "non parla nel vento ,nel tuono, parla in un piccolo alito" e ci vela il capo per il terrore .
Leggendo i versi di Cristina Campo le si perdona tutto: quando afferma quasi invasata la presenza di elementi satanici in Vaticano o auspica con dolorosa forza un ritorno sic et simpliciter alla tradizione come elemento di catarsi rigeneratrice di un cattolicesimo che ha smarrito la purezza delle origini . Ella sa penetrare nel sangue più profondo restituendoci la grazia dei giorni antichi quasi del tutto scomparsi o rifiutati.
Forse la Campo ebbe il merito , pur con atteggiamenti estremi e radicali ,di vedere anzitempo il satanico cuore del mostro della modernità più sventurata, che mirabilmente gli uomini lasciavano dispiegarsi incantati e senza porre limiti o argini , convinti di vivere senza tempo.
C'era chi vide , come lei , il maligno Saturno entrare nelle case , oscurando il veritiero e biblico volto del Signore degli eserciti che col suo sguardo "infinitamente abbattuto non si stacca mai dalle scarpe degli uomini ."
E' questa l'idea che mi sono fatto di questa filocalica donna mediterranea, osteggiata dalla critica militante che la ignora spavaldamente e recensita dal solo Ceronetti quando "Passo d'addio" venne pubblicato da Scheiwiller nel 1956 e ribubblicato con l'aggiunta delle sue traduzioni poetiche in "La Tigre Assenza" nel 1991 presso Adelphi .
Il passo d'addio si combina col tempo che per chi è predestinato alla poesia è un tutt'uno con l'eternità.
E anche la morte diventa norma e scopo della vita come amava ripetere Simone Weil che diviene di fatto la sua ispiratrice .Come scrive la brava Cristina De Stefano in "Belinda e il mostro- Vita segreta di Cristina Campo", pubblicato da Adelphi, da lei " impara molto :l'attenzione, ossia la capacità di avere uno sguardo reale sul mondo (...), la necessità di radicarsi nel cielo per afferrare ogni attimo di vita sulla terra ."
Creature tormentate che ti entrano dentro con violenza, che non riescono ad avere un rapporto non problematico col mondo .Lei così amante della bellezza, anzi ricreatrice di bellezza attraverso i versi e una scrittura che in sintonia inseguono sempre la perfezione per diventare ,come annota Giovanni Tesio, "confessione e preghiera, itinerario esistenziale e mentale, luogo di metamorfosi e rigenerazione."
Creature, quelle come Cristina Campo, che vivono perennemente tra due mondi e capaci di capire quanto altero dolore e santa umiliazione sono richiesti all'uomo per comprendere "con quanti denti il Maestro e Signore talora ci morde."
A Cristina Campo si perdona tutto o quasi , anche certi contraddittori e inquietanti comportamenti che l'ultima biografia mette in luce . Tutto svapora da subito leggendo le sue pagine che hanno sempre una purezza sconcertante. La seguiamo passo passo tra i Musei Vaticani per capire il senso delle sue "concave notti senza passi"; tra i poveri che lei chiama "i senza lingua"; tra gli incensi dei riti gregoriani , talora nascosti tra le rovine di monasteri romani dove in silenzio si canta "praeceptis salutaribus moniti";nella quiete quasi buia della chiesa di Sant'Antonio Eremita , dove Cristina scopre i gioielli del rito bizantino –slavo, con tutto un corollario di gesti solenni , di paramenti , di parole pronunciate con una melodia e un arcano accento di lingua antica.
La sua geografia interiore è segnata da tre tappe fondamentali:l'infanzia di Bologna, la giovinezza di Firenze , la maturità di Roma.
Quest'ultima all'inizio non le piace. Scrive : " Questa città mi aggroviglia le idee. Da tre anni soffro di agorofobia e queste piazze enormi , lo stesso immenso respiro della città, mi fanno un male indicibile." Pian piano , camminando solitaria e talvolta disperata, impara ad amarla e pensa di fondare sul Tevere una "nuova colonia etrusca e marciare su Firenze, liberarne i giardini, le campagne , il fiume ..." –
A Roma si crea nuove amicizie. Quella brevissima e intensa con Corrado Alvaro "un bruttissimo ometto"che potrebbe farle da padre . In "Lettere a Mita ", tutte indirizzate all'amica del cuore Margherita Pieracci ,traspare con quanto amore Cristina Campo assiste lo scrittore di San Luca ormai alla fine della sua esistenza : non smetteva mai di incantarla con la sua sapienza .Scrive in una delle sue pagine più belle e intense:"Spesso lo faccio ridere; e quando ride chiude gli occhi ed è bello come un intaglio cinese."
La descrizione delle ultime ore di vita dello scrittore di San Luca sono di una forza impressionante, un documento unico nella letteratura italiana del Novecento :
" Di Alvaro mi è' sempre più difficile dire .Tento appena di decifrare questa storia , che mi ha travolta in 2 mesi fino al limite di una vita.(...) Fu una notte molto lunga.Ho ancora negli orecchi il brusio della pioggia e il tuono del suo respiro., fino alle 4,50. (...) Non so dirle " se se n'è andato sereno" . Dalle 8,30 non era più cosciente. Se n'è andato ad occhi chiusi, dopo una lotta che appariva una suprema concentrazione. (...) Aveva, quando è spirato , la febbre a 41,7. Lo tenevo tra le mie braccia, già esanime, mentre la donna che ci aiutava gli infilava il pigiama azzurro; e ancora bruciava, bruciava tutto- come i bambini che dormono con la febbre...
All'alba tutto era in ordine. La signora ha potuto vederlo nella sua bellezza, giovane come ai tempi del loro matrimonio.Lo ricopriva una coperta bianca, iol sole giocava fra le rose sul comodino. I ragazzini già si rincorrevano sui gradini della Trinità dei Monti."
L'epistolario della Campo è di una straordinaria qualità letteraria , inferiore forse solo a quello di Giacomo Leopardi , l'unico- a suo avviso- in grado di saper leggere compiutamente un testo su piani diversi . Ci fa capire dal di dentro come uno spirito si muova, del come lei visse i suoi sentimenti, quali furono i suoi libri o autori amati o rinnegati , le lacerazioni vissute con la riforma della liturgia che considerava la sola sua fonte di forza , dopo il Vaticano II.
Confida a Mita: "Le scrivo dinanzi alla finestra aperta e ho dinanzi la montagna coperta di lance d'abete, su cui corrono , nere e oro ,le ombre delle grandi nuvole leggere .Sotto l'abbazia di un rosa-grigio prezioso, con il suo campanile quadrato ,la sua torre di vedetta .Tra poco suoneranno per la benedizione serale .Dal tempo dei miei, non ero stata più in un luogo come questo, un luogo dove si potrebbe anche restare .Sotto un'abbazia mi sento come il passerotto sotto l'ala dell'aquila."
Va letto con molta attenzione perchè traspare la vera Cristina Campo " in costante contraddizione –come ha scritto di recente Elisabetta Rasy –tra un lato eroico, indomabile, acceso di perfezione, e un lato oscuro di debolezze-fisiche in primo luogo, essendo cardiopatica fin dalla nascita ,e paure che lei stessa non esita a confessare."
Sempre pronta a comandare i suoi pensieri talora sulfurei e irritanti " come una ciurma di galeotti in un mare di balene bianche:" Di questo aspetto ne ho parlato di recente con l'amico Cesare Cavalleri , che pur evidenziandomi la purezza dello stile, mi ha dipanato con dovizia di argomenti il significato di" tradizione "per Cristina Campo e la sua adesione al pensiero di Guenon e Bernhard .ai quali la nostra si avvicina tramite il compagno di vita Elemire Zolla.
Sempre con la sua consueta distaccata passione il direttore di " Studi Cattolici " apre spazi di seria riflessione critica in un percorso che evapora pieghe di ricerca talvolta inquietanti .
Ma io continuo a perdonarle tutto o quasi , specialmente quando mi sussurra con "musicale testimonianza" che è la preghiera " a impadronirsi lentamente dell'uomo , non l'uomo della preghiera, è lei a bere l'uomo e dissetarsene .(...) E' la preghiera ( opus Dei ) a voler essere pregata , cioè nutrita da noi ."
Cristina Campo ha saputo mischiare con intensità quasi straziante l'acqua dolce all'acqua salata attraverso sguardi veloci, imbevuti di sapienza antichissima e in compagnia della memoria che rende la vita così strana , così unica.
Alla ricerca continua del linguaggio dei simboli e delle corrispondenze celesti, in compagnia della memoria, del sogno , del paesaggio, della tradizione, "le sfingi sorelle" di cui si nutre la vera poesia e la aiutano nei momenti difficili a ripetere ad intervalli regolari cinque parole che contengono tutto il senso e il miracolo della nostra vita:" Domine,Pater et Deus vitae meae."
Una preghiera recitata spesso con quella sua immemorabile" sprezzatura " che per lei rimane saggezza temeraria ,prudenza ardimentosa, ritmo morale.
In un mondo screanzato e sempre slabbrato dal mostro della onnivora modernità , talora incurante dello sguardo del "Re sublime," leggere Cristina Campo è come sedersi su un tappeto annodato minuziosamente e regalmente da un tessitore esperto e ascoltare la musica lenta , salmodiante , ammaliante del suo flauto che continua a ripetere :" La grande enigme de la vie humaine ce n'est pas la souffrance , c'est le malher."
Finiremo così per ricominciare ad amare una civiltà che ormai scompare e che l'uomo distrugge fabbricando ogni giorno nuovi mostri tra la quasi indifferenza dei più.
Inseguiremo la bellezza in fuga e a rischio della vita cercheremo di ritrovare la rosa di Belinda per ricreare una perenne , ardente immobilità di grazia interiore .
Toglieremo così al tempo la sua reale misura , abbagliati , forse,da sprazzi di luce in compagnia , anche sotto falso nome,di Cristina Campo .
*Scrittore, saggista e critico letterario, Gianni Carteri è un profondo conoscitore della Calabria e dei letterati calabresi - di nascita o d'adozione - che l'hanno scelta come patria. I suoi testi su Corrado Alvaro e Cesare Pavese sono considerati un riferimento imprescindibile dalla critica letteraria nazionale. Vincitore del premio "Pavese" per la critica letteraria e del premio "Amantea", per la saggistica, Carteri ha di recente dato alle stampe la sua ultima fatica " Come nasce uno scrittore" (Città del Sole Edizioni), un sentito omaggio a Mario La Cava.