di Claudio Cordova (foto di Franco Cufari) - La Corte d'Appello di Reggio Calabria, presieduta da Tommasina Cotroneo, ha nominato due consulenti, che avranno il compito di scandagliare la sua vita. Una vita di sofferenza e di ingiustizia. Una vita che per un periodo lungo, infinitamente lungo, ha avuto i contorni di un incubo. Ventidue anni in carcere da innocente. La condanna e poi il proscioglimento, dopo un lungo e difficile processo di revisione. Ma la battaglia di Giuseppe Gulotta, intrapresa per ottenere dallo Stato verità e giustizia prosegue. Il manovale siciliano verrà arrestato perché ritenuto responsabile della strage di Alcamo, la notte di sangue in cui verranno uccisi, all'interno della caserma del luogo, il diciannovenne Carmine Apuzzo e l'appuntato Salvatore Falcetta.
Gulotta - come pure Vincenzo Ferrantelli, Gaetano Santangelo e Giovanni Mandalà - confessarono, è stato appurato nei processi di revisione, perché sottoposti a torture. Solo nel 2008 arriverà un barlume di verità e di speranza per Gulotta, in seguito alle dichiarazioni rese dall'ex brigadiere Renato Olino ad un periodico trapanese: Gulotta avrebbe confessato un duplice delitto mai commesso, in seguito alle violenze subite.
Un caso lungo, difficile, e caratterizzato dai depistaggi.
Un caso lungo 36 anni, di cui 22 passati da Gulotta in carcere. Da innocente. Gulotta, infatti, verrà condannato all'ergastolo per la strage di Alcamo. E solo il processo di revisione, celebrato davanti alla Corte d'Appello di Reggio Calabria, registrerà il verdetto assolutorio: Gulotta non è un assassino e la confessione con cui si accusava della terribile strage fu estorta con torture e sevizie.
Ma la lotta di Gulotta continua. L'uomo, infatti, ha chiesto allo Stato italiano un risarcimento di 56 milioni di euro per l'errore giudiziario subito e l'ingiusta detenzione patita. Una detenzione che gli ha rubato gli anni migliori, quelli della gioventù.
Ma è lo Stato, ora, a opporsi, con una memoria difensiva presentata proprio ai giudici reggini. Quasi come non volesse riconoscere l'enorme, drammatico, errore commesso. L'Avvocatura dello Stato, infatti, sta facendo opposizione alla richiesta di risarcimento.
Quattordici pagine con cui il Ministero dell'Economia e delle Finanze si oppone alla richiesta di Gulotta. Argomentazioni, quelle rivolte alla Corte d'Appello di Reggio Calabria, chiamata a valutare il danno subito, con cui l'Avvocatura dello Stato sembra quasi non tenere conto della sentenza definitiva (e assolutoria) nei confronti di Gulotta: "Verificherà codesta Corte, ai fini dell'accertamento del "se" della riparazione, se nel processo di revisione sia stata effettivamente acquisita la prova di violenze usate nei confronti del Gulotta al fine di estorcergli la confessione". L'Avvocatura dello Stato, infatti, sottolinea come "la stessa Corte d'Appello nella sentenza di revisione non dà atto nei confronti del Gulotta di patite "torture", ma piuttosto di un clima di tensione (clima anomalo), che l'ha indotta a risottoporre a un vaglio rigorosissimo la genuinità della confessione dello stesso resa".
Insomma, sostanzialmente l'Avvocatura dello Stato "incolpa" Gulotta della falsa autoaccusa formulata: "Ammesso che possa ritenersi acquisita nel giudizio di revisione la prova dell'uso anche sul Gulotta di mezzi coercitivi dell'autonomia del soggetto, si chiede che codesta Corte valuti l'idoneità dei mezzi di cui nel processo di revisione possa ritenersi effettivamente acquisita la prova a comprimere concretamente, fino ad annullarla, la capacità di autodeterminazione del prevenuto o se, di contro, la confessione possa ritenersi comunque a lui imputabile come condotta cosciente e volontaria (come già ritenuto dai primi giudici) e quindi, se non dolosa, comunque gravemente colposa e determinante dell'errore giudiziario".
Insomma, per lo Stato italiano, 36 anni di calvario giudiziario, 22 anni di galera da innocente, non "valgono" la cifra richiesta da Gulotta, 56 milioni di euro: "L'inusitata richiesta, che non trova precedenti nei pur non esigui casi di riparazione dell'errore giudiziario [...] si fonda su un presupposto erroneo sul piano generale e sulla allegazione di danni e quantificazioni basate su perizie di parte che, come è noto, non costituiscono prova".
Pagine, quelle dell'Avvocatura dello Stato, su cui è messa nero su bianco un'ulteriore beffa ai danni di Gulotta. Dal Ministero dell'Economia e delle Finanze, dunque, c'è ferma opposizione a risarcire l'uomo derubato della propria vita. L'Avvocatura dello Stato arriva a parlare anche di una "tendenza del Gulotta ad enfatizzare il proprio vissuto", con riferimento alla depressione patita e ai propositi di arrivare al suicidio.
Così lo Stato resiste alla richiesta di un uomo di ottenere un risarcimento per il "furto" della propria esistenza.
La Corte d'Appello ha comunque "superato" le eccezioni dell'Avvocatura: toccherà ora ai due consulenti nominati ripercorrere la vita di sofferenza di Gulotta e scriverne una ulteriore tappa.