Paolo Borsellino, Vincenzo Consolo e lo Spasimo di Palermo

borsellinopaolobisdi Gianni Carteri* - "Veniva giù da via Redentore un uomo piccolo e bruno, di trentatré anni, capelli lisci sopra l'alta fronte. Camminava pensoso, gli occhi neri e acuti che esploravano la strada, con guizzi d'attenzione,illuminazioni di brio, adombramenti , a seconda dello spettacolo della vita di quelle prime ore del mattino."
E' l'incipit del ritratto che Vincenzo Consolo ha dedicato al suo maestro Leonardo Sciascia nelle pagine   della raccolta di racconti  Le pietre di Pantalica. Dal suo conterraneo siciliano Consolo aveva mutuato  la tendenza ad affidarsi spesso ad un quadro( basti pensare al suo capolavoro Il sorriso dell'ignoto marinaio) per trarre motivi  per il suo entrare tra le pieghe e le viscere tormentate  di un'antica  civiltà, regalandoci sempre pagine che trasudano  storia antica e recente . Il titolo di un suo intenso e ultimo romanzo Lo Spasimo di Palermo è dato da un dipinto di Raffaello La caduta di Cristo sul cammino del Calvario che  trovasi nella Chiesa  palermitana di Santa Maria dello Spasimo, la chiesa costruita alla Kalsa dai padri Olivetani e chiamato dai siciliani Lo Spasimo di Sicilia.
"E' raffigurato Cristo, scrive Consolo , riprendendo una pagina del Vasari, Signor Nostro, caduto a terra portando la croce nella salita, e la Vergine, andata incontro che rimane attonita nel vedere il suo preziosissimo Figlio; e questa scena è così viva e perfetta,che il suo Artefice le diede il nome di sgomento della Vergine e Spasimo del Mondo. "
Il quadro era servito  a Consolo ad introdurre nelle ultime venti pagine del suo romanzo  la drammatica vicenda umana del giudice Paolo Borsellino.
Lo scrittore di Sant'Agata di Militello  in una bella intervista concessa all'editore calabrese Carmine Donzelli, trasfusa poi nel libretto Fuga dall'Etna, confessava che compito della letteratura  fosse quello di memorare. E aggiungeva  come ciò  si trasformasse in una lotta contro il potere che" cerca sempre di cancellare la nostra memoria, per non farci avere consapevolezza del presente e non farci immaginare il futuro . "La letteratura , quindi , e il romanzo devono affrontare questi mostri, altrimenti   tutto diventa fuga e colpevole assenza, alienazione e complicità."
Ed uscendo proprio  dalla Chiesa dello Spasimo che   nel romanzo lo scrittore Gioacchino Martinez , alter ego  di Consolo , incontra in farmacia questo giudice  che, su sollecitazione della farmacista sua sorella ,  dà un passaggio allo scrittore ,conosciuto solo leggendo  i suoi romanzi e che ora  soggiorna  dirimpetto  alla casa materna per alcuni giorni .In macchina il giudice " sciolse un poco l'espressione rigida, sorrise appena sotto i baffi brizzolati." Ho letto i suoi libri...difficili , dicono. Di uno mi sono rimaste impresse frasi su Palermo"socchiuse gli occhi, recitò :"Palermo è fetida, infetta. In questo luglio fervido esala odore dolciastro di sangue e gelsomino..."
Pur consapevole di ciò , Paolo Borsellino diceva sempre a tutti  che amava la Sicilia, anzi amava apposta la Sicilia perché non gli piaceva. Ed era questo che lo aveva spinto a non abbandonare mai la sua terra.Come disse la figlia Fiammetta dopo la morte del padre " amare non per ricevere, ma per dare ."
Lo scrittore e il giudice sono sulla stessa  lunghezza d'onda . Leggiamo nello Spasimo : " Guardò il mare, azzurro , fermo e la città distesa che si svelava. L'amata sua , l'odiata. Intrigo d' ogni storia, teatro di storture , iniquità, divano di potenti, spasimo della cancrena, loggia della setta, casaprofessa della tenebra, Monreale del mantello bianco. Congiura, contagio e peste in ogni tempo ."
Quel pomeriggio del 19 luglio 1992  lo scrittore Gioacchino nella sua stanza d'albergo cerca  rifugio per sottrarsi al sole fermo che folgorava la strada, le facciate dei palazzi e arroventava le lamiere di quella utilitaria bianca lasciata proprio davanti alla casa della madre del giudice. Lei era sempre lì ad aspettare il figlio , nella penombra della stanza cercava ristoro col ventaglio. Quasi presagendo  quanto le stava per accadere , Gioacchino aprendo   un libro vide riprodotte  le prime note dello Stabat  Mater. Chiuse il libro , prese la penna e sentì la necessità di scrivere al figlio Mauro , lontano . Gli parla della sua città  ,di una Palermo diventata campo di battaglia , macello quotidiano ." E' una furia bestiale, uno sterminio. Si ammazzano tra di loro , i mafiosi , ma il principale loro obiettivo sono i giudici, questi uomini diversi da quelli d'appena ieri o ancora attivi, giudici di nuova cultura, di salda etica e di totale impegno costretti  a combattere su due fronti , quello interno delle istituzioni , del corpo loro stesso giudiziario , asservito al potere o nostalgico del  boia, dei governanti complici e sostenitori dei mafiosi, da questi sostenuti, e quello esterno delle cosche, che qui hanno la loro prima linea, ma la cui guerra è contro lo Stato , gli Stati per il dominio dell'illegalità, il comando dei più immondi traffici.(...) Ho conosciuto un giudice , procuratore aggiunto, che lavorava già con l'altro ucciso, un uomo che sembra aver celato la sua natura affabile , sentimentale dietro la corazza del rigore, dell'asprezza. Lo vedo sempre più pallido, teso , l'eterna sigaretta fra le dita. Sono persone che vogliono ripristinare , contro quello criminale , il potere dello Stato, il rispetto delle sue leggi. Sembrano figli , loro , di un disfatto padre , minato da misterioso male, che si ostinano a far vivere , restituirgli autorità e comando."
La conclusione di Consolo rispecchia la  capacità  di indignarsi ancora in questa Italia di anime morte , in questo paese  diventato "un'accozzaglia di famiglie, materno confessionale d'assolvenza, dove lo Stato è occupato da cosche o  segrete sette...dove tutti ci impegniamo , governanti e cittadini,  ad eludere le leggi, a delinquere."  E dove un giudice come Paolo  Borsellino , vero martire della giustizia ,  ci appare come un " giustiziere insopportabile , da escludere, rimuovere . O da uccidere."
Mentre finiva di scrivere , una telefonata lo invitava a scappare subito , lontano .Guardò dalla finestra e vide che arrivava il giudice con la sua  scorta . Capì tutto e corse giù ,cercando di fermarlo, ma fu bloccato dalla sua scorta . La scrittura di Consolo a conclusione del  suo romanzo  è cruda  ma intensamente vera :"Il giudice si volse appena, non lo riconobbe. Davanti al portone, premette il campanello. E fu in quell'istante il gran  boato, il ferro e il fuoco, lo squarcio d'ogni cosa , la rovina, lo strazio , il ludibrio delle carni , la morte  che galoppa  trionfante . "    Il fioraio poco distante si sollevò, coperto di calcinacci e vetri, sanguinante, alzando le braccia e gli occhi verso il cielo , sempre più fosco .
" Cercò di dire , ma dalle secche  labbra non venne suono . Implorò muto
O gran manu di Diu , ca tantu pisi
Cala , manu di Diu , fatti palisi ! "

*Scrittore, saggista e critico letterario, Gianni Carteri è un profondo conoscitore della Calabria e dei letterati calabresi - di nascita o d'adozione - che l'hanno scelta come patria. I suoi testi su Corrado Alvaro e Cesare Pavese sono considerati un riferimento imprescindibile dalla critica letteraria nazionale. Vincitore del premio "Pavese" per la critica letteraria e del premio "Amantea", per la saggistica, Carteri ha di recente dato alle stampe la sua ultima fatica " Come  nasce uno scrittore" (Città del Sole Edizioni), un sentito omaggio a Mario La Cava.