di Valeria Guarniera - "Sensibilizzazione, memoria, denuncia. Perché le morti nel Mediterraneo non siano vane. E perché i vivi si muovano per rendere testimonianza e dignità". Sono 1200 i km che Gaia Ferraro – ciclista spinta da una forte passione civile – sta percorrendo per arrivare a Portopalo di Capo Passero, paesino a sud della Sicilia, in provincia di Siracusa. Partita da San Severo, nella Provincia di Foggia, in Puglia, Gaia porta con sè una storia dimenticata, da troppi sconosciuta. Per troppo tempo negata. Racconta di quando – nella notte tra il 25 e il 26 dicembre del 1996 - a poche miglia dalla località siciliana, la nave F174 affonda con quasi 300 migranti provenienti principalmente da India, Pakistan e Sri Lanka. In quel naufragio – uno dei più gravi nel Mar Mediterraneo dal secondo dopoguerra ad oggi – persero la vita 283 persone. Persone Mancanti, perché la strage non fu registrata dalle autorità e nessuno li ha mai cercati. Si parlò di "naufragio fantasma" per via delle ricerche che non davano nessuno esito. Però il paese sapeva, custodiva un terribile segreto. Nei mesi, infatti, il mare restituiva i cadaveri straziati dal mare a quei pescatori che – in una sorta di patto tacito – li rigettavano in mare, alimentando l'orrore e il mistero. A raccontare questa terribile storia fu Giovanni Maria Bellu, giornalista per Repubblica, nel suo libro-inchiesta "I fantasmi di Portopalo". Tra quelle pagine c'è la ricostruzione di una vicenda incredibile e la dimostrazione di come quel naufragio sia davvero avvenuto.
"Abbiamo issato la paranza e l'abbiamo aperta sul ponte. In mezzo al mucchio del pescato c'era il corpo ancora intatto di un uomo scuro di carnagione sui venticinque trent'anni. La pelle era in parte mangiata dai pesci – le parole di un pescatore riportate da Bellu nella sua inchiesta - Prima di ributtarlo in mare non ho potuto fare a meno di notare che quel poveretto portava a un dito un anello dorato con una piccola pietra rossa a forma di piramide. Ho tirato via quel cadavere dal mucchio - continua a raccontare il pescatore - Mi faceva pena e orrore. La vista di quell'anello mi ha fatto pensare alla sua vita, ai suoi familiari. Ti vengono in mente mille cose in momenti così. Poi ci ragioni e ti rendi conto che era un clandestino, che veniva da molto lontano, che è molto difficile, se non impossibile, rintracciare i parenti. E poi non c'è più niente da fare: è morto. E ti ricordi di quel collega che ha fatto il suo dovere, ha portato un cadavere a riva, ed è stato bloccato in porto dalla burocrazia: giorni e giorni di lavoro perduti tra verbali e interrogatori. Ho fatto un passo con quel corpo in braccio. Ho sentito un tonfo. Il collo non aveva retto il peso della testa. Forse perché era in mare già da una settimana, forse perché i divaricatori dello strascico l'avevano in parte decapitato. Ho chiuso gli occhi, l'ho scaraventato in acqua, poi, con gli occhi sempre chiusi, ho preso una pala, ho raccolto la testa e ho lanciato anche quella in mare. Era il 3 o il 4 gennaio del 1997".
Grazie a quell'inchiesta il relitto fu individuato e le immagini sottomarine documentarono il cimitero che negli abissi era custodito. Ma tutto rimase com'era. E – a quasi diciotto anni da quella terribile notte - il relitto, con i suoi morti, giace ancora nei fondali di quelle acque.
Il viaggio in bici di Gaia è iniziato il 2 agosto scorso. Terminerà il 23 a Portopalo di Capo Passero. In mezzo tante tappe – tra Puglia, Basilicata, Calabria e Sicilia. Lungo il cammino un calendario di appuntamenti per raccontare questa storia e raccogliere le firme da sottoporre all'UE per il recupero del relitto. Il progetto è realizzato dall'associazione "Viandando, Persone, luoghi, culture", in collaborazione con "Libera. Associazioni, nomi e numeri contro le mafie", che sostiene e supporta l'iniziativa. Questa mattina, presso il negozio di Tiberio Bentivoglio - perché in viaggi come questo la scelta dei luoghi in cui fermarsi non è mai casuale – Gaia ha portato il suo sorriso, nonostante la stanchezza, e la sua determinazione perché – ha sottolineato: "In questo viaggio non sono sola". Nelle parole di Mimmo Nasone e Francesco Spanò tutto il sostegno che Libera sta dando all'iniziativa, "per ricordare che anche nel nostro territorio ci sono vittime dimenticate e per fare in modo che queste cose non accadano". Nell'entusiasmo di Davide Grilletto – Presidente Arci, Comitato Territoriale di Reggio Calabria – la convinzione "che Reggio stia scrivendo una pagina estremamente positiva nella sua storia, attraverso una partecipazione per tanti inaspettata, segno di una città che sta dando il meglio di se". Nella forza di Tiberio Bentivoglio la voglia di "continuare a mandare segnali di legalità".