di Claudio Cordova - Le impedivano di uscire, la minacciavano di morte, le addossavano persino la responsabilità del suicidio del marito. La parola "prigioniera" suona quasi in maniera dolce rispetto alle violenze e ai soprusi subiti da Giuseppina Multari ad opera della famiglia Cacciola di Rosarno. Nuovamente i Cacciola a torturare – fisicamente e moralmente – una giovane donna. Già da molti anni prima, rispetto alle angherie messe in atto nei confronti di Maria Concetta Cacciola, la testimone di giustizia morta per ingestione di acido muriatico. La sofferenza di Giuseppina Multari, però, inizia ben prima del 2006, allorquando una sua lettera verrà fatta pervenire ai Carabinieri. Già prima della morte del marito, la donna subirà costanti maltrattamenti già dal coniuge e, in seguito al suicidio dello stesso, dal suocero che l'avrebbe a rispettare le sue imposizioni vessandola continuamente e attribuendole la colpa del suicidio del marito.
La giovane donna riuscirà a salvarsi dall'orrenda fine che spetterà, diversi anni dopo, a Maria Concetta Cacciola e verrà escussa diverse volte dagli inquirenti. Le prime indicazioni sull'inferno vissuto, però, arrivano già dalla lettera del 2006: "[...] mio suocero, io ero da sola con le bimbe, mi prende per le braccia mi scuote e dice se mio figlio si è ucciso per te, ammazzo te e tutta la tua famiglia, arrivo fino a quello stronzo in Germania".
Minacce di violenza fisica, per lei e per i suoi familiari all'estero, ma anche l'obbligo di sottostare alle regole di casa Cacciola: "Mi tratta sempre male, non mi fanno uscire nemmeno per la scuola, da mia madre nemmeno, e con le bimbe fanno tutto quello che vogliono loro. Un giorno li vedo strani e mi trattano peggio degli altri giorni, salgono si prendono le bimbe domando dove le portano, e mi rispondono al fidanzamento di Gregorio che giustamente non vuole tra i piedi l'assassina del fratello".
I Cacciola, infatti, addosseranno a Giuseppina Multari le colpe per il suicidio (che gli inquirenti scrivono tra virgolette, a testimonianza della oscurità del caso) del marito, Antonio Cacciola. Comportamenti che spingeranno la donna al tentativo di suicidio: "E quello maledetta sera sono andata a buttarmi a mare, ma e come se avessero messo le chiavi in mano loro. Quella sera ero stanca, disperata continuavo ad andare dentro l'acqua, quando penso alle bambine e mi rendo conto di quello che stavo facendo, e credevo di non riuscire più a tornare a casa ero come un pezzo di ghiaccio ... ... omissis ... Mi dimettono dall'ospedale sotto tutela di mia madre per quello che avevo fatto, ma i miei suoceri ci dissero che se sarei andata da mia madre potevo dimenticare le bimbe. Impaurita torno a casa con loro. Stavo male ma non salivano nemmeno per darmi una mano con le bimbe".
Feroci, privi di alcuna umana pietà, i Cacciola non si sarebbero addolciti in nessun caso: "E poi non potete nemmeno immaginare come mi trattano, ogni giorno trovano qualche cosa da rimproverarmi non mi lasciano sola un attimo se ho qualcuno vicino, e la casa, la mia casa sembra avere le orecchie. Mio padre subisce un intervento al cuore, gli dico domani vado da mio papà con mia mamma. TU VAI! Tu prima di andare da qualche parte, devi domandare ai tuoi cognati. Dopo 3 ore il star bene di un cognato. Adesso sto male di schiena, chiedo a mia suocera di poter fare degli esami e mi dice che i suoi figli non hanno tempo per portarmi in giro, gli dico che lo farà mio papà. Fatto sta che arriva il giorno che devo andare in ospedale e non mi fanno andare, litigo loro, e mi fanno la proposta di andare ad operarmi nell'ospedale che dicono loro, il dolore è troppo e accetto". Difficile curarsi, ma difficile curare anche una delle sue tre figlie: "Ora è uscito mio suocero dl carcere mio suocero e so già i progetti che ha [... o.m issis...] Tutti i numeri degli ospedali di Marty addirittura mi hanno fatto prenotare a Genova e mi hanno dato l'appuntamento per dicembre, e mia suocera si arrabbiò tantissimo perché dice che entro settembre la bambina deve fare il controllo. Tempo fa mia suocera mi chiede di quante pastiglie prende Martina, gli ho detto quanto e come le preparo, Fino ad oggi gli antiepilettici alla bambina li avevo dati solo io, adesso sanno come fare anche loro, quel giorno quando mi domandava dei farmaci sembrava un angelo mia suocera. [... .omissis...] L'altro giorno litigo con mia cognataper le bimbe, arrivate a casa lo racconta a mia suocera (BONU TANTU SIMU ALL 'ULTIMO) che significa per voi?".
Una lettera dai contenuti agghiaccianti, che la donna confermerà alcuni mesi dopo, quando sarà interrogata dagli inquirenti: "Effettivamente conducevo vita da segregata presso l'abitazione in cui ero domiciliata unitamente a mio marito e che è ubicata nello stesso stabile dove dimorano i miei suoceri, mio cognato Vincenzo coniugato con Oppedisano Jessica, mio cognato Gregorio, celibe e mia cognata Cacciola Maria coniugata con Sorbara Giuseppe [...] La mia situazione è diventata disperata a seguito del suicidio, o presunto tale, di mio marito Antonio, con il quale io mantenevo un rapporto affettivo di notevole intensità, a dispetto dei litigi che negli ultimi tempi erano diventati sempre più frequenti. Ed invero Antonio era abituato a bere e non so se facesse uso di sostanze stupefacenti; certo, se lo faceva, non aveva difficoltà a reperirle dato il contesto familiare di appartenenza. Con l'abitudine all'alcool negli ultimi tempi si era anche aggiunta una relazione extraconiugale che mio marito intratteneva con una donna polacca".
Uno stile di vita, quello del marito, che per i clichè di 'ndrangheta non sarebbe stato consono: "Anche mio suocero, Cacciola Domenico aveva modo di rimproverare mio marito sia perché dedito all'alcool, sia successivamente per la sua relazione extraconiugale. Ricordo che in una occasione gli disse: "Se questo fosse avvenuto a tua sorella, tuo cognato Peppe sarebbe ancora vivo?", alludendo ad una ovvia, in quel contesto familiare, reazione alla lesione all'onore della famiglia Cacciola. La sera in cui marito si è suicidato ed esattamente il 13.11.2005, nulla nel suo comportamento lasciava presagire quel suo gesto. Devo precisare che mio marito soffriva di depressione, cosa che i suoi familiare si ostinavano a negare, e vi sono anche diversi ricoveri di lui, a riprova di quanto io affermo. Durante i momenti di crisi, in cui egli si dava anche all'alcool, avveniva che mi picchiasse o che minacciasse che si suicidasse. In quelle circostanze io cercavo di essere vicinissima a lui e nei momenti in cui si allontanava di casa, lo perseguitavo letteralmente con il telefono, cercando di evitare che facesse sciocchezze. Voglio anche aggiungere che mio marito, nelle situazioni di normalità era una persona estremamente affettuosa, che si pentiva sinceramente di quanto aveva fatto nei momenti di ebbrezza".
Sarà proprio la morte del marito a segnare un ulteriore spartiacque nella vita di Giuseppina Multari: " Da quel momento la situazione per me è diventata assolutamente invivibile. Non potevo uscire liberamente di casa, ma solo chiedendo il permesso ai miei suoceri o ai miei cognati che mi avrebbero dovuto accompagnarmi; non mi si rivolgeva la parola; venivo impedita anche di curarmi, nel senso che erano loro a stabilire quale medico e come avrebbero dovuto visitarmi. Il giorno in cui ho tentato il suicidio, ed esattamente l'l1 febbraio 2006, ero arrivata al culmine della disperazione, in quanto mio suocera mi aveva sottratto le bambine che avrebbe dovuto portare con se alla cerimonia di fidanzamento di mio cognato Gregorio Cacciola".
Dal tentativo di suicidio verrà salvata dal fratello Angelo che, scomparirà nel nulla poche ore dopo. A raccontarlo alla polizia tedesca e l'altro fratello di Giuseppina, Antonio: "Angelo le promise di aiutarla ad uscire dallo famiglia Cacciola Quella stessa sera egli scomparse senza lasciare tracce e non è più ricomparso fino ad oggi la sua auto fu ritrovata a Rosarno tutta aperta e con la chiave infilata". E che i Multari sospettassero i Cacciola per la scomparsa del figlio Angelo è testimoniato anche da una conversazione tra Concetta Piromalli (madre di Giuseppina e di Angelo Multari) e il fratello Antonino Piromalli, in cui la donna dice che non si sente di andare dal figlio in Germania perché non vuole lasciare sola la figlia Giuseppina. Perché ha paura di non trovarla più per come è capitato al figlio Angelo. La donna ricorda che il giorno successivo sarebbe stato il compleanno di Angelo ed è disperata perchè non sa dove portargli un fiore. Nino dice che sono stati sfortunati ad incappare in quella famiglia (ndr Cacciola). La madre di Giuseppina dice che la sera in cui è scomparso Angelo ha salvato la figlia e che i colpevoli della sua sparizione sono i Cacciola. Nino le chiede se Giuseppina le ha raccontato com'è stata di preciso la storia di quella sera e la donna risponde di si, dicendo che Pina quella notte era andata ad annegarsi ed ha chiamato Angelo, il quale è andato a casa poiché gli sembrava che la sorella fosse dentro ma non avendo le chiavi ha chiamato i Cacciola affinché gli aprissero il portone e nessuno è andato. In seguito Angelo sarebbe andato dove si trovava Giuseppina e l'ha salvata portandola in ospedale e prima di andarsene ha detto che l'indomani alle otto sarebbe tornato a trovare la sorella. Ma da allora non se ne saprà più nulla.
Proprio con riferimento al tentato suicidio di Giusy Multari e alla scomparsa del fratello Angelo, i Cacciola si lasceranno andare alcuni commenti. In primis si rammaricheranno per il fatto che la donna non fosse morta e, successivamente, manifesteranno il timore di essere incolpati della scomparsa di Antonio Multari.
I Cacciola, infatti, sarebbero diventati un vero e proprio terrore per i Multari, soprattutto nel periodo in cui Giuseppina deciderà di collaborare con gli inquirenti. L'attività d'intercettazione telefonica farà emergere che la famiglia Cacciola coltiverà l'intenzione di togliere la potestà genitoriale delle tre figlie a Giuseppina Multari, eventualità temuta dalla Multari anche prima della sua collaborazione, infatti, la stessa leggeva alcuni comportamenti dei familiari, come quello di essere informati sulle medicine che deve prendere la figlia Martina. I Multari temeranno ritorsioni, per sé stessi, ma anche per i figlio Antonio residente in Germania: il padre Francesco Multari arriverà a consigliare al figlio di armarsi per prevenire eventuali azioni contro di lui. I Multari, infatti, temono anche gli appartenenti alla famiglia Curmace (residenti in Germania), e che questi possano rivelare ai Cacciola il luogo dove abita il figlio Antonio, poiché pienamente integrati al clan Cacciola. I Curmace, infatti, saranno tra i destinatari dell'ordinanza di custodia cautelare per il reato di traffico di droga. Un vero e proprio accanimento, quello messo in atto dai Cacciola. Michele Cacciola, padre di Giuseppe Cacciola e cugino di Domenico Cacciola, riuscirà a individuare Martina, una delle figlie di Giusy Multari, che in quel periodo era ricoverata, a causa di una rara patologia, presso il nosocomio "Gaslini" di Genova. Dopo avere ricevuto la notizia dell'individuazione di Martina, i membri della famiglia Cacciola si attiveranno e Francesco Cacciola, raggiungerà l'ospedale, mentre il resto della famiglia cercherà di averne conferma chiamando l'ospedale e altri ospedali per individuare altri appuntamenti eventualmente presi dalla Multari. E' la fine del 2006 e gli inquirenti riescono a monitorare le grandi manovre dei Cacciola: contatti telefonici frenetici, a stretto giro, nel tentativo di individuare la donna e la figlia. Conversazioni nella disponibilità dei Carabinieri che permettono di registrate i tentativi delle donne della famiglia Cacciola che contattano diverse cliniche in cui Martina Cacciola veniva usualmente ricoverata, al fine di individuare l'attuale luogo di degenza della bambina, anche presentandosi come mamma della piccola Martina.
Un periodo drammatico, quello tra il 2005 e il 2006, che Giusy Multari sarà chiamata a ricordare diversi anni dopo, nel 2013, venendo nuovamente interrogata: "Io ero a conoscenza del fatto che la famiglia Cacciola a Rosarno fosse una famiglia mafiosa: sono vissuta a Rosarno e queste cose si sanno. Io tentai di lasciare mio marito durante il fidanzamento ma lui mi seguì anche a Verona, dove ero andata per dei problemi di salute. Preciso che io non sono mai stata libera di uscire durante il mio matrimonio; dopo la morte di mio marito sono stata letteralmente segregata in casa e mi è stato impedito di uscire; la notte la porta veniva chiusa a chiave dai miei suoceri, le chiavi di casa erano esclusivamente nella disponibilità dei miei suoceri e dei miei cognati, questo stato di coercizione è durato quasi un anno. Non ho reagito ne denunciato l'accaduto anche per paura delle reazioni nei confronti dei miei genitori i quali sapevano tutto. Ricordo che durante l'estate di quell'anno sono stata male, mio padre ha portato la guardia medica e hanno dovuto chiamare i miei suoceri per aprire la porta, c'era anche mia madre in quell'occasione, io non potevo aprire da dentro. Non avevo la forza di reagire a questa situazione. ... I miei suoceri mi hanno, altresì, impedito, dopo le dimissioni dal ospedale all'esito del tentativo di suicido, di stabilirmi dai miei genitori, nonostante fossi stata affidata a loro".
Dichiarazioni lucide, anche a distanza di molti anni, che indurranno la Dda a nuova attività istruttoria. Dal racconto della madre, Concetta Piromalli: "Mia figlia si è fidanzata con Cacciola Antonio quando aveva 16 anni e lui era più grande di qualche anno. Mia figlia si è sposata che aveva 20 anni. Sapevamo, per sentito dire in paese, a che tipo di famiglia apparteneva il marito di mia figlia; non erano lavoratori come noi, sapevamo che era una famiglia di delinquenti, cosa facevano nello specifico non lo sapevamo. Io non so dire cosa è la mafia, ne ho sentito parlare ma non so se i Cacciola sono mafiosi. I ragazzi si sono innamorati e non potevamo fare diversamente, però, io non ero molto contenta di questa unione; ho avvisato mia figlia ma lei non mi ha ascoltato. I rapporti con i consuoceri erano normali, si trascorrevano le festività insieme, spesso mio genero diceva di trascorrere il Natale a casa di suo padre; più che un invito sembrava un ordine, ma noi andavamo". Anche la madre riuscirà a ricordare con grande chiarezza quel periodo buio della propria esistenza: "Premetto che mia figlia non si è confidata inizialmente con me però avvertivo in lei sofferenza, non da subito ma dopo circa uno o due anni dal matrimonio. Mia figlia, solo dopo qualche tempo, ha iniziato a confidarmi i suoi problemi: diceva che il marito si ubriacava e che andava con altre donne, ma non so dire se faceva uso di droghe. Qualche giorno, prima della sua morte, negli occhi di mio genero, ho visto qualcosa di strano però non so spiegare cosa gli accadeva. Mi sembrava stordita. Mia figlia veniva picchiata dal marito quando litigavano, non l'ho visto con i miei occhi però me lo ha raccontato mia figlia. In particolare una volta ero a casa di mia figlia lei si era recata a prendere qualcosa nel camion del marito e al ritorno lui l 'ha aggredita e lei è salita sopra e mi ha detto "mamma mi ha ammazzata". Una sera lui ha portato mia figlia e le bambine a casa mia, dove sono rimaste per qualche giorno, e lui a volto basso non mi ha proprio guardato, questo è accaduto un anno prima che lui morisse. In quei giorni a casa mia è venuta la sorella del marito (Maria) a casa mia per convincere mia figlia di scusarlo e tornare a casa sua, mia figlia si è rifiutata. Il suocero di mia figlia in quel periodo era in carcere e probabilmente aveva dato ordine di riprendere mia figlia, difatti, una sera sono venuti a casa mia quattro uomini, tra cui suo cognato Gregorio, gli altri non ricordo il nome. Quella sera mia figlia, dopo essere stata portata dai quattro uomini a parlare con i Cacciola, è tornata sconvolta, ha preso i bambini ed è tornata a casa dei Cacciola con quegli uomini. Io, in quella circostanza, invitavo mia figlia ad attendere il rientro di mio marito e Gregorio mi diceva "voi fatevi i fatti vostri". Mio genero era aggressivo verbalmente ma davanti a me non ha mai picchiato mia figlia".
Concetta Piromalli ricorderà anche dei periodo immediatamente successivo alla morte di Antonio Cacciola: "Giusy dopo la morte di Antonio andava tutte le mattine al cimitero, ma sempre accompagnata o dalla suocera o dalla cognata e io le guardavo i bambini. Giusy non poteva andare da sola al cimitero, dal medico, a casa mia e mia figlia non era in possesso delle chiavi di casa. Mia figlia non aveva le chiavi di casa vuol dire che non aveva le chiavi del portone perché erano nella disponibilità dei suoceri. Ricordo, nel periodo successivo alla morte di Antonio, Giusi non poteva più uscire di casa. Lei non aveva le chiavi del portone di accesso all 'abitazione. Quando Giusy stava male io dovevo andare via ad un certo orario in quanto chiudevano il portone d'ingresso, spesso mandavano la nipote a chiedere se doveva intrattenermi ancora tanto per invitarmi ad andare via. Il portone lo chiudeva Gregorio, che normalmente rientrava per ultimo. "Lei non poteva andare a fare la spesa: la spesa la facevo io per mia figlia; non poteva prendere a scuola le figlie: le bambine a scuola le andavano a prendere loro a scuola. Ricordo che Maria, la seconda3glia di Giusy, voleva che fosse la mamma a prenderla a scuola; per questo motivo, la famiglia di Antonio ha chiuso la bambina in cantina, tutto questo mi è stato raccontato mia figlia, però non ricordo con precisione chi ha chiuso la bambina in cantina, mi sembra si trattava di Giuseppe".
Un racconto agghiacciante che rimanda a usanze ancestrali, che sembrano incompatibili con gli anni 2000, ma che, in determinate zone della Calabria sono evidentemente la norma: "Mia figlia dopo sposata non ha mai avuto un'amica, né mai nessuno è andata a trovarla. " . . .OMISSIS . . ."Lei non poteva uscire per acquistare vestiti per sé o per le bambine. Provvedevo io per lei; per le bambine ci pensavano loro". E il dramma nel dramma sarà la difficoltà, anzi, l'impossibilità di ribellarsi, per la paura di perdere le proprie bambine. Ancora dal racconto di Concetta Piromalli: "Giusy non si poteva ribellare, aveva paura dei suoceri perché la minacciavano. La sera che è morto Antonio, il suocero ha scosso fisicamente Giusy, dicendo che se il figlio era morto per colpa sua avrebbe ammazzato tutti, mi è stato confermato dalla mia nipotina Martina, che aveva due anni. Giusy aveva paura di queste persone perché loro potevano farle del male; una volta Giusy mi ha chiamato e mi ha detto "mamma stasera mi succederà qualcosa di brutto", e mi ha spiegato che qualcuno della famiglia di Antonio le aveva detto di andare in posta per trasferire le somme di denaro che teneva in un conto a nome della bambina alla cognata Maria. In quella occasione, Giusy non ha fatto come volevano loro ma ha effettuato buoni fruttiferi a nome dei suoi figli. A seguito di ciò, aveva paura di essere uccisa dai suoceri. Avevo paura anche per me. Anche io avevo paura di essere ammazzata".
Un racconto che – in tutta la sua durezza e drammaticità – verrà confermato anche da Francesco Multari, padre di Giusy: "Mia figlia Giusy, dopo la morte del marito Cacciola Antonio, viveva a casa con i suoceri come una prigioniera: non poteva fare la spesa da sola, non poteva andare dal dottore con le bambine, non poteva andare al cimitero da sola, poteva uscire solamente accompagnata da uno dei famigliari del marito tra cui il suocero Domenico, Gregorio, Vincenzo, la suocera, la cognata, a seconda di chi fosse disponibile. Tutto ciò mi è stato raccontato da mia figlia. Giusi non aveva le chiavi del portone d'ingresso, doveva sempre chiedere il permesso ai componenti della famiglia Cacciola per aprire il portone. Non poteva uscire da casa da sola. Io le cose purtroppo le ho sapute dopo, però mia figlia non ha mai detto nulla per paura di essere uccisa". La vita nelle grinfie dei Cacciola diventerà dunque un inferno, persino le relazioni extraconiugali del marito verranno giustificate dalle donne di casa Cacciola: "Si cerca fuori ciò che non trova in casa" diranno. Ma, del resto, anche il padre di Giusy dirà agli inquirenti: "Quando mia figlia si è fidanzata con Cacciola Antonio io già sapevo che apparteneva a famiglie di delinquenti ... OMISSIS ... . Li temevamo perché sapevamo che erano capaci di tutto".
Ed è significativo della prostrazione cui verrà portata la giovane Giusy un suo racconto fornito agli inquirenti in cui dirà che l'unico posto in cu poteva andare era "un pezzettino di terra appartato là dove non c'era nessuno all'infuori degli animali, e andavano spesso, punto uno perché le bambine uscivano di casa, anche per andare in quell'angolino con la loro mamma; punto numero due perché C 'era un animale, C'era un cavallo, e quella cavalla era come se fosse l'unico essere vivente, l'unica persona, meglio di una persona, per essere animale, però l'unico a capirmi, parlavo solo con Margherita, la cavalla, perché le altre parole era meglio tenersele dove stavano, perché se una volta azzardavo una parola [. . .] succedeva [. . .] il finimondo [. . .] da là si aprivano accuse allucinanti nei miei confronti".