di Valeria Guarniera - "La voglio raccontare ancora meglio questa storia perché c'è tanta confusione. E' una prescrizione: il reato è stato commesso ma è stato prescritto, e chi di dovere lo spiegherà nei prossimi giorni meglio di me. Approfitto di questo microfono per specificare che don Nuccio non si è trovato coinvolto in questo processo per me. E' lì perché è stato intercettato ed è lì perché avrebbe reso false dichiarazioni: è la Procura che l'ha chiamato, io sono semplicemente un teste in questo processo. Un teste martoriato, un teste posato subito su una graticola. Sono amareggiato per come sono stato trattato dalla difesa ma a testa alta continuo a lottare: ho voglia di gridare fino all'ultimo giorno della mia vita". Parla così Tiberio Bentivoglio in seguito alla decisione del tribunale di Reggio Calabria che ha dichiarato prescritto il reato per il parroco di Condera, don Nuccio Cannizzaro, accusato dalla Dda per false dichiarazioni al difensore rese diversi anni fa, nell'ambito del processo "Pietrastorta": troppo il tempo trascorso tra il momento in cui il prete avrebbe commesso il reato e il processo. In sintesi, a conclusione del processo "Raccordo-Sistema" crolla l'accusa di associazione a delinquere di stampo mafioso, con le conseguenti assoluzioni per gran parte degli imputati. Da qui la prescrizione del reato per il parroco di Condera, definito dal pm Stefano Musolino come "un centro di potere, in virtù delle relazioni che è capace i intrattenere".
"Cadendo" l'aggravante mafiosa, infatti, si è ridotto notevolmente il tempo per la maturazione della prescrizione. I fatti riguardano il periodo in cui Bentivoglio, con altri soci, decide di voler dar vita a un'associazione no-profit per l'organizzazione di eventi a Condera e Pietrastorta, la "Harmos". Bentivoglio avrebbe cercato di coinvolgere nel progetto anche don Nuccio, parroco della chiesa di Condera, ricevendo, però, un diniego. Si sarebbe rivolto poi a Consolato Marcianò per avere i locali che avrebbero dovuto ospitare la sede dell'associazione. Ma Marcianò, imputato del medesimo reato di don Nuccio Cannizzaro, sarebbe stato avvicinato dal boss di Condera-Pietrastorta, Santo Crucitti, che avrebbe posto il proprio veto all'iniziativa.
Grande festa a Condera. Forte e per tanti assolutamente fuori luogo la reazione che l'intero quartiere ha avuto in seguito alla prescrizione dell'amato parroco: campane a festa, caroselli di auto, fuochi d'artificio e brindisi a volontà. Con la frase "il reato è prescritto" il giudice Andrea Esposito ha provocato – inconsapevolmente – un'incontenibile gioia tra i fedeli del quartiere della periferia Nord di Reggio Calabria, dando il via ai festeggiamenti: l'accusa rivolta a don Nuccio (avrebbe dichiarato il falso a favore del presunto boss Santo Crucitti) è prescritta. Festa. Con tanto di fuochi d'artificio.
"Me l'aspettavo". Corrado Alvaro diceva che "la disperazione più grave che possa impadronirsi di una città è il dubbio che vivere onestamente sia inutile". Tiberio non è arrivato a questo punto, troppo forte la sua determinazione a restare con la schiena dritta e la sua voglia di continuare a guardare negli occhi i suoi figli dicendogli che la decisione di denunciare i suoi estorsori è stata quella giusta. Non tornerebbe indietro. La sua è una storia di coraggio e di dolore, in cui la certezza di aver fatto la cosa giusta, si scontra con l'amarezza per essere diventato – agli occhi di altri che, come lui, devono decidere se denunciare – un esempio di coraggio ma allo stesso tempo di abbandono da parte dello Stato. "Sono dei fuochi che lasciano dei segni profondi dentro chi sta soffrendo da molto tempo. Che buttano sale su una ferita ancora aperta. Me l'aspettavo francamente. Me l'aspettavo perché continuo a sentirmi solo e continuo a essere non capito. Quei festeggiamenti hanno devastato ancora di più il sistema psicologico mio e della mia famiglia. Quando abbiamo sentito lo schiamazzo in piazza, abbiamo visto le persone festeggiare, brindare, non ci volevamo credere. Cosa c'è da festeggiare?".
E' un fiume in piena Tiberio, e la stanchezza per le continue delusioni rende il suo tono pacato, sommesso, quasi intimidito. Come se parlare, ancora, fosse inutile. Eppure la forza che lo ha spinto a combattere per tutti questi anni, la fierezza con cui ha affrontato tutti gli ostacoli che si è trovato davanti, viene fuori dai suoi occhi. E' determinato a non mollare. Ha deciso tanto tempo fa che questa è la strada giusta e intende proseguirla. Nonostante tutto. Nonostante l'impressione che a lottare – a voler lottare davvero – siano in pochi. "Io mi sono affiancato all'associazione Libera per non rimanere solo perché senza di loro mi avrebbero già ammazzato". Una frase che risulta come un accusa – l'ennesima richiesta di aiuto - specie se pronunciata in risposta ad una domanda precisa: Lo Stato c'è? "Questa è una città che vive di contraddizioni: oggi ci riuniamo per questo evento importantissimo, per piantare quest'albero alla memoria dei vigili urbani Macheda e Marino. E ieri i festeggiamenti per una sentenza di prescrizione, l'ennesimo schiaffo. Noi non vogliamo le targhe o le strade intestate: noi vogliamo essere aiutati in vita. Spesso ho temuto per la mia vita e soprattutto per quella dei miei figli. L'ho denunciato. Abbiamo bisogno di un cambiamento. Questa città ha fatto tanto ma evidentemente non è bastato: deve fare di più. Il mio è un appello e mi rivolgo soprattutto ai commercianti che devono smettere di pagare,devono smettere di non ribellarsi. Soprattutto, devono smettere di inchinarsi. A Reggio manca la presa di posizione".