Davide Scagliola, tra fotografia e informazione: “Noi fotoreporter figure più importanti per testimonianza e diffusione della notizia”

scagliolamarcodi Lavinia Romeo - In oltre 20 anni di carriera ha visitato più di 130 paesi. Davide Scagliola, fotografo e giornalista, è prima di tutto un globe-trotter, che ha raccontato attraverso la fotografia, i luoghi più sperduti del pianeta.

Classe 1967, inizia da giovanissimo a scrivere di musica e di cronaca, ma è la passione per la fotografia a segnare la collaborazione di Scagliola con i più importanti mensili e riviste specializzate nei reportage di viaggio.

Scagliola è oggi uno dei migliori fotoreporter italiani. Girare i continenti e raccontare la natura selvaggia e i panorama spettacolari è stato l'obiettivo unico dei servizi che il fotoreporter ha realizzato in tutto il mondo, specializzandosi principalmente nella fotografia aerea.

scagliolamarcolocandinaSocio fondatore dell'agenzia internazionale "ParalleloZero", ideata insieme ai fotogiornalisti Alessandro Gandolfi, Sergio Ramazzotti e Bruno Zanzottera, il fotoreporter sarà a Reggio Calabria dal 2 al 4 maggio, per partecipare al workshop "Obiettivo reporter. Metti a fuoco il tuo talento", corso di formazione in fotogiornalismo prodotto dalla Bluocean e patrocinato da National Geographic Italia.

Scagliola dirigerà il primo modulo dal titolo "Preludio alle immagini. La costruzione di un reportage", in cui illustrerà ai partecipanti il modus operandi che si cela dietro un reportage fotografico.

Cosa vuol dire per lei la fotografia di reportage?

La fotografia è stata la mia vita negli ultimi 25 anni. E' cominciato tutto facendo il giornalista a Torino, occupandomi prima di musica e poi d'attualità, e poi la fotografia è diventata l'altro mezzo espressivo per raccontare le storie che raccoglievo in giro per il mondo. Quindi prima sono stato un giornalista, poi un fotografo, e negli anni ho affinato le tecniche di storytelling e di fotogiornalismo, che sono diventate la mia passione. La comunicazione attraverso le immagini è stato un modo per continuare a raccontare le storie che trovavo nel migliore dei modi.

Come si individua una storia o un posto da raccontare e quali sono le storie e i luoghi degni di notiziabilità?

Ultimamente sta diventando molto importante il tipo di storia, quindi lo spunto giornalistico rispetto a dove si svolge la storia. Io ho viaggiato per molti anni in posti sperduti, alla ricerca di paesi, di persone, di storie lontane, alla fine ho capito che le belle storie si trovano anche dietro l'angolo, l'importante è trovare uno spunto forte, una storia interessante, un gruppo di persone o una persona che voglia condividere le proprie emozioni. La cosa più importante è partire da uno spunto giornalistico forte, che può essere una storia drammatica, inaspettata o emozionante, anche slegata completamente dal luogo dove si svolge.

In quali casi è meglio non usare la fotocamera?

Ritengo che per un professionista sia lecito e soprattutto doveroso raccontare delle storie nel bene e nel male, essere testimoni di fatti drammatici, di cose anche difficili da giudicare, da condividere, ma se si è dei professionisti e si fa questo mestiere, credo sia sempre doveroso usare la fotocamera, nei limiti della capacità di essere onesti ed equilibrati nel raccontare i fatti.

scagliolamarcofotobisE' sempre valido l'assioma fotografia uguale realtà /verità? Come si fa a far passare il messaggio pur mantenendo alti i livelli estetici?

Che l'assioma sia sempre valido è un'affermazione difficile da sostenere... io ritengo che quando i fatti sono interessanti, essere obiettivi ed onesti sia più che sufficiente. E'chiaro, nella fotografia siamo abituati ad una interpretazione della realtà, quindi la sensibilità del fotografo passa anche attraverso la possibile drammatizzazione scenica, l'utilizzo delle luci o delle inquadrature, che è differente dalla semplice visione o testimonianza del fatto che sta accadendo. Quindi un filtro artistico viene sempre posto in essere dal fotografo, ma non per questo la realtà viene distorta o vissuta in maniera non veritiera, c'è un'interpretazione, come avviene nella scrittura, anche nella fotografia.

Sergio Ramazzotti ha detto che: "Chiunque voglia raccontare una evento, deve impersonificarsi, provare pietas per ciò che sta osservando". Nel suo lavoro di reporter, quale spazio trova la partecipazione emotiva?

Ognuno risponde secondo le proprie modalità emozionali. La stessa situazione può essere fotografata in modo freddo o compassionevole, da una persona disinvolta o coinvolta riguardo la sofferenza umana.

Come si colloca il ruolo del fotogiornalista nel mercato editoriale italiano?

Da qualche tempo mi occupo del dietro le quinte dell'agenzia "ParalleloZero", quindi sono a contatto quotidianamente con quello che è il ruolo più spicciolo del fotogiornalismo, come i contratti, gli accordi e le produzioni con i giornali. Oggi il fotogiornalismo sta vivendo un periodo molto fortunato, sia dal punto di vista delle capacità e delle possibilità di racconto, che di produzione e di diffusione, anche se continuano le grandi difficoltà a livello economico. Sussistono delle problematiche a livello mondiale dal punto di vista dei compensi, che portano alcuni fotogiornalisti ad avere delle difficoltà a continuare questo mestiere. Ma in generale, se si hanno delle ottime idee, se si continua a viaggiare ed a raccontare delle storie interessanti, il mercato le recepisce, le compra e le distribuisce, e questo permette di far circolare l'economia. Il fotogiornalista, continua ad essere la figura più importante che esista dal punto di vista della testimonianza e della diffusione delle notizie di prima mano.

scagliolamarcofotoHa viaggiato in quasi tutto il mondo, può raccontarci un aneddoto, un soggetto fotografato che le ha lasciato il segno?

La cosa più importante e drammatica che ha lasciato il segno sulla mia carriera di fotogiornalista sono stati gli attentati di Mumbai, a cui ho preso involontariamente parte... ero li per fare dei servizi per il gruppo Repubblica, e sono rimasto coinvolto negli attentati. Oltre ad aver vissuto l'esplosione al caffè "Leopold", ho passato la notte a scappare dai terroristi, in una città assediata da bombe e raffiche di mitra. Non ero preparato psicologicamente, perché non mi trovavo a fare un reportage di guerra, doveva essere una situazione avulsa da problematiche di questo genere.