di Pasquale Cotroneo - Ci sono giorni in cui le ombre soffocano la luce e la verità fino ad oscurarle completamente, o quasi. Il 4 marzo del 2005 può essere annoverato come uno di questi. A Baghdad moriva Nicola Calipari, italiano, reggino, uno dei più importanti esponenti del Sismi.
Una morte che ancora oggi non ha avuto giustizia e che addensa molti dubbi sulla condotta americana e su quella del Governo Italiano in quella torbida serata.
Nicola Calipari, era sbarcato in Iraq, insieme ad altri 6 uomini, per occuparsi della liberazione della giornalista Giuliana Sgrena, che era stata rapita da un gruppo fondamentalista. Quella sera, dopo il rilascio della giornalista, a conclusione di una lunga trattativa condotta da Calipari in prima persona coi rapitori, l'autovettura dei servizi segreti italiani con a bordo i due si dirigeva verso l'aeroporto della capitale irachena, quando, giunta proprio nei pressi dell'aeroporto, veniva bersagliata da colpi di mitraglia esplosi da un controllo statunitense. Il funzionario reggino moriva portando con sé, molto probabilmente, anche la verità.
Il caso veniva subito bollato dagli Americani come un incidente. Uno dei militari, Mario Luis Lozano (nome scoperto in seguito e per puro caso) aveva rispettato le regole d'ingaggio, segnalato il posto di blocco e solo dopo aveva sparato all'auto perché non si era fermata.
Evidentemente anche il Governo italiano credette a questa versione, o forse le sembrò quella più opportuna, tale da accettare il risultato della Commissione d'inchiesta americana, nonostante i due rappresentanti italiani che facevano parte di quella Commissione avessero addensato molti dubbi sull'ipotesi dell'incidente, giungendo ad ipotizzare che a sparare quella sera non era stato solo Lozano, ma anche qualcun altro. Viene accettata quella verità, che accoglie "il difetto di giurisdizione" per cui l'Italia non poteva processare un cittadino americano per l'uccisione di un italiano in terra straniera, se non in caso di omicidio volontario.
Ed è su questo punto che si notano molte zone d'ombra: i dubbi della stessa Sgrena, uniti alle indagini dei due componenti italiani della Commissione d'inchiesta, e alla "fretta" degli Usa di chiudere il caso fecero aumentare quella sensazione di qualcosa "nascosto sotto la sabbia irachena".
Un ex agente segreto Americano, Wayne Madsen, aveva affermato all'interno di un documentario come gli Usa fossero a conoscenza della presenza di Calipari in Iraq, essendo stato localizzato dal sistema Nsa, e che il suo segnale era stato intercettato: in breve sapevano della liberazione della Sgrena. Gli Stati Uniti invece sostennero sin dall'inizio di non essere a conoscenza della presenza del funzionario reggino in terra irachena, né dell'operazione che avrebbe poi portato alla liberazione della giornalista.
Il rapporto di Wikileaks del 2010 toccava una ferita aperta: quella di una "verità indotta" che la famiglia del funzionario, l'Italia e gli italiani erano stati "costretti" ad accettare. I files dei cablogrammi rilasciati da Vikileaks raccontavano la versione dell'ambasciatore Usa a Roma, Mel Sembler, il 3 maggio del 2005, secondo cui il rapporto italiano sul "Caso Calipari" veniva definito, almeno nella parte che definiva l'uccisione non intenzionale, costruito "specificatamente ed artificialmente ad evitare ulteriori inchieste della magistratura italiana, e per tentare di bloccare possibili indagini delle commissioni parlamentari".
Inoltre, sempre secondo il cable, il governo Berlusconi voleva "lasciarsi alle spalle" la vicenda, che comunque non avrebbe "danneggiato" i rapporti bilaterali con Washington.
Volontà che sarebbe emersa nell'incontro del 2 maggio del 2005, quando Sembler incontrò a Palazzo Chigi, Gianfranco Fini (all'epoca ministro degli Esteri), il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Gianni Letta, il Ministro della difesa Antonio Martino, l'ambasciatore negli Usa Gianni Castellaneta, il capo del Sismi Niccolò Pollari, alcuni dei loro consiglieri, e due commissari, il diplomatico Cesare Ragaglini e il generale del Sismi Pierluigi Campregher (Berlusconi non era presente in prima persona) per discutere del rapporto italiano sulla vicenda.
"I nostri contatti – affermava Sembler riferendosi agli uomini incontrati quel giorno - ci hanno messo in guardia che i magistrati italiani sono famigerati per forzare queste leggi ai loro scopi, quindi resta da verificare se la tattica del governo italiano avrà successo, e che sarebbe meglio che il presidente George W. Bush chiamasse il premier, in modo che Berlusconi possa dire in Parlamento di aver discusso la questione con il presidente americano".
L'ambasciatore americano raccomandò poi al Dipartimento di Stato anche la telefonata del segretario di Stato, Condolezza Rice, al vicepresidente Fini per "confermare che Washington condivide il desiderio italiano di lasciarsi alle spalle l'incidente". O che nel suo discorso al Parlamento, pochi giorni dopo Berlusconi avrebbe riaffermato "l'incidente non è stato intenzionale, le relazioni bilaterali restano forti, Roma conferma il suo impegno in Iraq".
Palazzo Chigi ovviamente smentì tutto: "Ancora una volta i resoconti di Wikileaks attribuiti all'ambasciatore americano in Italia corrono il rischio di accreditare posizioni, non solo mai assunte dal governo italiano, ma esattamente contrarie alla verità. Evidentemente, in quei resoconti si sono scambiati i desideri con la realtà, le domande con le risposte. E le valutazioni personali di diplomatici americani a Roma si sono trasformate in presunte posizioni ufficiali"che il governo italiano non ha invece mai assunto, i fatti e i documenti provano, del resto, il contrario di quanto afferma Wikileaks".
Al netto delle ipotesi, delle rivelazioni, e delle smentite di rito quello che ci rimane oggi è ben poco. Emerge sicuramente la volontà Italiana a non inimicarsi il forte alleato transoceanico, soprattutto in un momento assai delicato come quello della guerra in Iraq, da parte di un Paese che, dal secondo dopoguerra ha sentito proprio l'obbligo di "obbedienza" agli Americani, senza riuscire mai ad ottenere con questi un rapporto paritario. Bisogna capire come e quanto questo abbia influito sulla vicenda.
La verità, per questo, così come per altri casi forse non verrà mai a galla. Rimarrà sempre sotterrata in favor di una determinata ragion di Stato che sembra sfuggirci.
Nicola Calipari è un uomo che non ha trovato pace e giustizia, è un eroe reggino che forse si è voluti dimenticare troppo in fretta, perché non basta intitolare una sala per ripagare una vita.
L'istituzione di una Commissione Parlamentare che faccia definitiva chiarezza su quanto accadde quella sera è quantomeno doverosa: per lui, per la sua famiglia, per la verità.