La lunga lotta di Nino De Masi contro lo strapotere delle banche

demasi ninodi Giuseppe Incognito - La storia di Antonino De Masi, imprenditore calabrese a capo del Gruppo De Masi, operante nel porto di Gioia Tauro, inizia nel 2003. Dieci anni fa, l'imprenditore denuncia l'applicazione di tassi usurari da parte di alcuni importanti istituti di credito italiani, tra cui Antonveneta, Banca di Roma e Banca Nazionale del Lavoro. La Procura di Palmi apre un'inchiesta, che in varie tappe porta alla sbarra nomi illustri del sistema bancario nazionale, tra cui quello dell'ex presidente della Banca di Roma, Cesare Geronzi, del presidente della Bnl, Luigi Abete, dell'ex presidente di Banca Antonveneta, Dino Marchiorello.

In primo grado gli imputati sono stati assolti dal Tribunale di Palmi, che ha riconosciuto l'esistenza dell'usura ma non ha individuato negli imputati i responsabili del reato. Nel processo celebrato dinanzi la Corte d'Appello di Reggio Calabria, oltre ai tre dirigenti, altri sei imputati: funzionari ed impiegati dei tre istituti di credito.

Il Gruppo De Masi che unitamente alla Procura Generale di Reggio Calabria ha appellato la sentenza, si è costituita parte civile.
Nel febbraio del 2009, gli avvocati di De Masi presentano una documentazione in cui risulta che sarebbero stati i consigli d'amministrazione delle banche a stabilire i tassi d'interesse fissandoli a livelli superiori rispetto a quelli praticati in altre regioni. Il Procuratore generale, Francesco Neri, chiede di riaprire l'istruttoria dibattimentale per sentire gli investigatori della Guardia di finanza che hanno svolto le indagini.

Qualche settimana dopo, viene riaperta l'istruttoria dibattimentale: la Corte acquisisce i documenti prodotti dalla parte civile e dispone l'ascolto degli investigatori della Guardia di finanza che hanno svolto le indagini, disponendone un ampliamento.

Più di un anno dopo, nel luglio del 2010, la Corte d'Appello assolve Marchiorello, Geronzi e Abete perché il fatto non costituisce reato. Nell'udienza del 4 giugno 2010 il sostituto procuratore generale Francesco Neri, a conclusione della requisitoria pronunciata davanti alla Corte d'Appello di Reggio Calabria, aveva chiesto la condanna di Geronzi e di Marchiorello a 2 anni e 8 mesi e 20 mila euro di multa ciascuno, e di Abete a 2 anni e 4 mesi e 15 mila euro. Per Domenico Cunsolo, Giuseppe Falcone ed Enzo Ortolan aveva chiesto 2 anni 4 mesi e 10 mila euro di multa ciascuno. Il rappresentante dell'accusa aveva, infine, chiesto l'assoluzione per gli altri imputati, tutti direttori di filiale: Paolo Pirrotta, Bruno Martino ed Eduardo Catalano con la formula perchè il fatto non costituisce reato. I legali di De Masi avevano richiesto la condanna di tutti gli imputati.

Successivamente, i giudici di seconda istanza hanno confermato per i rappresentanti locali delle banche e parzialmente riformato per i vertici. In sostanza Geronzi, Abete e Marchiorello sono stati assolti perché il fatto non costituisce reato.

Ma le denunce non si fermano, e nell'ottobre del 2011, in un altro dei processi che seguiranno alle azioni di De Masi, il  gup del Tribunale di Palmi, Paolo Ramondino, ha rinviato a giudizio gli ex direttori generali di Banca Antonveneta e Banca nazionale del lavoro, Enrico Pernice ed Ernesto Manna, per la presunta usura di cui sarebbe rimasto vittima l'imprenditore. Analoga decisione è stata presa nei confronti dei dirigenti di Bnl Davide Croff, Mario Girotti, Ostilio Miotti e Rocco Segreti. Per un altro gruppo di indagati, Pietro Celestino Locati, Vincenzo Tagliaferro, Alessandro Maria Piozzi, Matteo Arpe e Roberto Marini, ex Direttori generali e dirigenti di Banca di Roma, il Gip ha disposto l'incompetenza territoriale del Tribunale di Palmi trasmettendo il fascicolo alla Procura di Reggio perchè i rapporti bancari erano gestiti nella sede reggina dell'istituto di credito.

Gli avvocati vanno avanti con il proprio lavoro, forti di una sentenza della Corte di Cassazione del novembre 2011, "che ha definito il primo procedimento sull'usura bancaria, fissando una serie di principi che devono essere applicati dai Giudici di merito. La Cassazione, nella sentenza emessa ha evidenziato e riconosciuto la esistenza dell'usura bancaria, l'applicazione del principio sancito dall'articolo 644 c.p. per il calcolo del TEG (tutti i costi e le spese parte integrante degli interessi, compresa la Commissione Massimo Scoperto), la non rilevanza delle istruzioni della Banca d'Italia, la possibile responsabilità penale e personale dei Presidenti e di tutti gli organi apicali, se dimostrato il dolo specifico. Una sentenza di grande evidenza per far chiarezza sulla materia che ha tanto impegnato la Magistratura del Tribunale di Palmi. In tale contesto – affermano i legali  - le parti civili, Gruppo De Masi, al quale la Corte di Cassazione ha già riconosciuto il diritto ad ottenere il risarcimento dei danni in sede civile, per l'usura bancaria subita, dopo la grande soddisfazione per il riconoscimento della fondatezza della battaglia portata avanti da oltre 8 anni, intendono dimostrare che non si è trattato di un fatto isolato, ma di un sistema nazionale che ha approfittato dello stato di debolezza delle imprese e dei cittadini, specialmente al Sud ed in Calabria. Un sistema per ottenere i maggiori ricavi da parte delle Banche che, conseguentemente, facevano lievitare incredibilmente le indennità dovute ai manager o presidenti degli Istituti, legati, spesso, ai risultati di bilancio".

De Masi, come ha più volte dichiarato in alcune interviste, ha sempre agito e agisce tuttora anche per tutelare tanti altri nella sua situazione, e per dare giustizia a chi invece non ce l'ha fatta, e si è tolto la vita. Siamo nel 2012, e i suicidi di imprenditori, grandi o piccoli che siano, aumenta in maniera impressionante. Commercianti oppressi dalla crisi, padri di famiglia che non ce la fanno a mantenere i figli: tutto questo è una motivazione in più, per Antonino De Masi, per continuare la sua battaglia.

Ad oggi, sono tredici le sentenze che gli hanno dato ragione. Tredici sentenze a suo favore sono state pronunciate da vari tribunali. "Avevo aziende modello presenti nei maggiori mercati mondiali che erano esempio di operosità, di innovazione e sinonimo di legalita' – ha detto De Masi non più di un mese fa –  Io e la mia famiglia avevamo anche un'autorevolezza imprenditoriale, sociale ed economica che non abbiamo piu' e, cosa ancor piu' grave, i miei dipendenti, che erano 280, avevano un lavoro basato sul rispetto di regole e leggi che adesso, per buona parte di essi, non esiste più. Tutto cio' a causa ai crimini delle banche". Una settimana fa, poi, De Masi ha presentato un esposto a Camera e Senato per l'istituzione di una Commissione d'inchiesta sull'operato delle banche e dei sistemi di vigilanza in materia di credito alle imprese.

Ma la storia di Antonino De Masi non è fatta solo di processi e sentenze. Fare l'imprenditore, e farlo in un territorio difficile come la Calabria, espone una persona comune a tanti rischi. E in questi anni, infatti, a De Masi non sono state risparmiate intimidazioni, minacce, tanti soprusi.

E ieri, dopo dieci anni di battaglie, un'altra ferita si aggiunge: oltre 40 colpi di kalashnikov hanno raggiunto un capannone della Global Repairs, un'azienda del gruppo De Masi che si occupa di lavori di riparazione di manutenzione di mezzi portuali compresi container, a Gioia Tauro. Lottare per la legalità, a volte, vuol dire anche questo. Un'altra intimidazione, e un'altra denuncia che si aggiunge alle tante già fatte da chi, ancora, continua a lottare per restare nella propria terra.