di Claudio Cordova - Ricordo con dolore e infinita vergogna di me stesso la mattina dell'1 agosto 2007. Svolgevo già da qualche anno l'attività giornalistica e, da qualche mese, potevo dire di aver iniziato a "fare sul serio". A luglio i primi blitz antimafia, le prime conferenze stampa, i primi pezzi di "nera" e giudiziaria: le tre operazioni, una dietro l'altra, "Gebbione", "Testamento" e "Bless". Toccò a me quindi seguire per la televisione per cui lavoravo quanto accadeva, già nelle prime ore di quella calda giornata estiva, in via Ecce Homo, a pochi metri dallo stadio "Oreste Granillo", periferia sud di Reggio Calabria. Un assalto al portavalori della Sicurtransport da parte di un commando armato fino ai denti: la reazione dei vigilantes, il conflitto a fuoco e quel corpo che resta immobile dopo la scarica di piombo.
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Muore così Luigi Rende, guardia giurata della ditta che svolge servizio di custodia ai portavalori. Muore svolgendo il proprio lavoro, in un periodo che per tanti significa ferie. Lui le ferie le ha terminate: è tornato in servizio proprio quella mattina. Muore cercando di svolgere fino in fondo il proprio compito: difendere, cioè, il carico di denaro preso di mira dal variegato commando. Variegato perché ci sono uomini originari della fascia jonica reggina (i fratelli Santo e Giovanni Battista Familiari), dell'area tirrenica (il sinopolese Carmine Macrì) e giovani vicini alle cosche di 'ndrangheta, come il giovane Marco Marino, che da manovalanza del clan Serraino diventerà collaboratore di giustizia. Il silenzio di quella mattina estiva viene spezzato ben presto: attaccano in sei, vogliono i soldi e pensano di ottenerli senza alcun problema. Si sbagliano. Luigi Rende apre il fuoco, il suo compito è quello di difendere il portavalori e ha tutta l'intenzione di portarlo avanti fino in fondo. Tre banditi vengono feriti, ma la lotta è impari: ad aiutare Luigi c'è solo il collega Nino Siclari. Nonostante ciò il commando, decimato, è costretto alla fuga, ma uno dei banditi, nel conflitto a fuoco, colpisce a morte Luigi che si accascia sul sedile del furgone: la rapina fallisce, ma il prezzo che paga la famiglia è altissimo.
Da quell'assalto nasce un processo difficile, pieno di colpi di scena e di qualche punto oscuro. Quel processo, infatti, si lega a vicende che per anni hanno tenuto banco in città, con l'avocazione del caso, il trasferimento di qualche magistrato e – per un certo periodo – il sospetto di un legame con le bombe contro la magistratura reggina, a cominciare da quella fatta esplodere davanti alla Procura Generale, all'inizio del 2010. Le dichiarazioni di Marino, inoltre, parlano di un basista a disposizione del commando, individuandolo proprio nel collega di Rende, Siclari: una circostanza che, però, non verrà verificata. A pagare, con il carcere a vita, sono tutti i componenti della banda.
Il sacrificio di Luigi Rende segna la città e alcuni giorni dopo, ai funerali, c'è una folla sterminata a salutarlo. Anche chi non conosceva Luigi non può perdere l'occasione di essere vicino alla famiglia, straziata dal dolore, di salutare un ragazzo, un uomo, che ha sacrificato il proprio, splendido, futuro nel nome del coraggio, dando un calcio al lassismo e alla collusione a Reggio Calabria, proprio qui dove "non arrivano gli angeli".
Dolore e vergogna.
Il dolore per una giovane vita spezzata: quando muore, Luigi Rende ha 31 anni e lascia la moglie e una bimba. La vergogna per la mia reazione da 21enne davanti al mio direttore del tempo: "Ma chi gliel'ha fatta fare?" dissi, in pieno stile reggino, commentando la scelta di Rende di opporsi ai rapinatori. Fui rimproverato duramente e giustamente: in una città che, da sempre, volta le spalle davanti le ingiustizie, in una città in cui quasi nessuno fa, fino in fondo, propria parte, l'insegnamento di Luigi Rende è fortissimo, ancor di più oggi, a dieci anni da quella tragica mattina. Se adesso, fortunatamente, penso e agisco assai diversamente, lo devo anche a quelle dure parole.
Perciò, per quello che la figura di Luigi Rende può rappresentare per una città che, spesso e volentieri, calpesta il proprio orgoglio e la propria dignità, Reggio Calabria deve onorarlo come merita. Come si onorano i figli migliori di questa terra: non disperdendo il ricordo, ma, anzi, intitolando una via o una piazza tra le più importanti a un martire della giustizia. Già nell'immediatezza, il Consiglio Comunale di Reggio Calabria approvò una proposta del consigliere Pasquale Morisani: tutto ciò, però, è rimasto lettera morta. Adesso che sono anche trascorsi gli anni necessari sotto il profilo burocratico (anche se, per esempio, per intitolare il lungomare al sindaco Italo Falcomatà si fece un enorme strappo alle regole), il Comune di Reggio Calabria non può più indugiare: le comunità si risollevano, si ricompattano, se non perdono le speranze che credere fino in fondo nel bene. E questo può accadere grazie ai simboli e agli esempi.
Luigi Rende è entrambe le cose.