di Valeria Guarniera - "Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla fondazione del mondo. Perché io ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere; ero forestiero e mi avete ospitato, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, carcerato e siete venuti a trovarmi". Così, ricordando le parole della Bibbia tratte dai versetti di Matteo, l'Arcivescovo Giuseppe Morosini, ha ricordato il senso più vero e profondo dell'accoglienza. Questa mattina al porto di Reggio Calabria è stata aperta una Porta Santa molto particolare, quella della Tenda Ministeriale per l'accoglienza agli sbarchi. Lì, dove più di 40.000 persone sono passate – con il loro carico di speranze e sogni, sofferenze e dolori – la celebrazione di questo importante evento, alla presenza di Monsignor Giancarlo Perego (Direttore della Fondazione Migrantes della CEI) che si trova a Reggio per l'inaugurazione della Casa della Santissima Annunziata, progetto di accoglienza sostenuto dalla CEI attraverso la fondazione Migrantes.
Una porta simbolica per un luogo concreto e fortemente vissuto, grazie all'impegno della Diocesi di Reggio Calabria - Bova, attraverso gli uffici Pastorali di Caritas, Migrantes, Missionario e le Associazioni che aderiscono al Coordinamento Diocesano Sbarchi (di cui la Comunità Papa Giovanni XXIII fa parte). E proprio a loro – ai tanti volontari che in questi ultimi anni hanno mostrato il volto più bello di questa terra – Morosini ha rivolto un pensiero: "Un primo significato di questa celebrazione è quella di ricordare la storia di questo luogo, di ripercorrere tutti i momenti nei quali è stato protagonista, animato da coloro che concretamente insegnano cos'è la misericordia di Dio. Se noi ci amiamo vicendevolmente abbiamo la prova concreta che Dio esiste. Dietro le immagini della sofferenza soccorsa, aiutata c'è l'immagine della Sua presenza: "Ho avuto fame e mi avete dato da mangiare. Ero pellegrino e mi avete accolto" . Noi oggi rendiamo omaggio al servizio che questi nostri fratelli hanno reso ad altri. Dando così, per chi crede, l'immagine di un Dio misericordioso. Ma dando anche l'immagine di una terra ospitale, che ha saputo dire "ti accolgo". Qualcuno lo ha fatto in nome del rispetto dell'uomo, qualche altro lo ha fatto nel nome di Dio".
Ma il Giubileo – lo ha sottolineato l'Arcivescovo Morosini – non si realizza attraversando una porta o baciando un crocifisso: "Quelli sono gesti attraverso i quali noi dobbiamo predisporre il nostro animo per accogliere le intenzioni per le quali è stato celebrato questo Giubileo. La nostra cultura consumistica ci ha resi crudeli, perché ci ha educati all'egoismo, alla chiusura in noi stessi, a cercare il nostro tornaconto, dimenticandoci del bene comune e del bene degli altri. La ricerca della soddisfazione degli egoismi delle nazioni a discapito del bene comune ha portato alla distruzione del pianeta.
Il Papa è stato profeta nel raccomandarci la misericordia e nell'indire questo anno durante il quale non solo i credenti e i cattolici, ma tutti gli uomini di buona volontà, possano riflettere su questo valore, che certamente è religioso e certamente è cristiano, ma è anche un valore umano che può essere offerto come cultura di base per la crescita, sia individuale che collettiva". Di qui il valore educativo di questa celebrazione: "Dobbiamo educare alla misericordia, e lo dobbiamo gridare in un momento in cui siamo tentati tutti dalla ritorsione e dalla paura. I fatti di Parigi hanno scosso tutti. Ma la reazione non deve essere la chiusura. La fede cristiana scommette sempre sull'amore".
Canti e preghiere, in una celebrazione vissuta intensamente proprio lì, dove in tanti hanno avuto un primo assaggio di libertà, pensando anche a quelli - troppi - che in quel "mare nostrum" hanno perso la vita. Per loro, una corona di fiori: "Che il mare li culli e il cielo li accolga".