di Claudio Cordova - E' un successo schiacciante quello che i pm Roberto Di Palma e Matteo Centini ottengono sul potente clan Molè di Gioia Tauro, alla sbarra nel procedimento "Mediterraneo". La sentenza emessa dal Gup di Reggio Calabria, Cinzia Barillà, va a colpire duramente uno dei casati storici della 'ndrangheta. E' affossante il giudizio, emesso al termine del processo celebrato con rito abbreviato.
L'indagine "Mediterraneo", curata dai pm Roberto Di Palma e Matteo Centini, andrà a colpire il business della cosca Molè nel settore della droga e delle slot machine. Verranno documentate le ingerenze del clan nel Lazio. L'operazione "Mediterraneo" infatti, ha ricostruito le strategie economiche del clan a partire dal primo febbraio 2008, giorno in cui verrà freddato l'unico dei tre fratelli in libertà, Rocco Molè. Dopo l'uccisione del boss, secondo gli inquirenti, sarà proprio il capo storico del clan, Girolamo dal carcere di Secondigliano, a impartire gli ordini alla cosca: allontanarsi da Gioia Tauro verso Roma, rientrando in Calabria solo periodicamente.
Un'indagine, al pari di quella svolta sul conto dell'imprenditore Alfonso Annunziata, che cristallizza quindi le nuove dinamiche criminali della Piana di Gioia Tauro, venutesi a creare dopo le frizioni e la scissione tra i Piromalli e i Molè, appunto, che per decenni si sono spartiti ogni singola fetta di Gioia Tauro e dintorni.
L'indagine, dunque, ha svelato l'attività di narcotraffico del clan, attraverso la quale la cosca riusciva ad assicurarsi un regolare flusso di ingenti quantitativi di hashish e cocaina in entrata sulla Capitale, sfruttando tre direttrici di approvvigionamento e il ricorso a una strutturata rete di partecipi, sia italiani, che stranieri. Centinaia i chili di hashish e cocaina introdotti sul territorio nazionale: i Molè avrebbero operato anche a Roma e nel comprensorio di Civitavecchia. Personaggio chiave sarebbe stato un personaggio apparentemente non riconducibile all'organizzazione criminale e quindi più difficilmente tracciabile, il gioiese Arcangelo Furfaro. E ancora una volta sarebbe stato il boss Girolamo Molè, nonostante la detenzione al 41bis, a fornire le direttive e dettare i tempi: emblematica la lettera inviata al fratello recluso, Domenico, nell'aprile 2012. Commentando le vicissitudini sentimentali del figlio minore – anch'egli raggiunto dall'ordinanza emessa dal Gip Domenico Santoro – scriverà: "... quel faccia tosta del piccolo come saprai è insieme da 4-5 anni assieme alla figlia di non mi ricordo il nome, ma la sorella di Lino Furfaro nostro compagno di scuola". Furfaro, dunque, avrebbe rappresentato un punto fermo nello scacchiere della cosca, assicurando introiti assolutamente significativi nel traffico di droga: basti pensare al prezzo di vendita che si aggirava tra i 1400 e i 1700 euro al chilo per l'hashish e il 40mila e i 45mila euro per la cocaina.
Tra le persone coinvolte e condannate figura anche il nome nome dell'attore fiction televisive, Stefano Sammarco, accusato di associazione per delinquere finalizzata allo spaccio di droga. Centro propulsore delle attività restava comunque Gioia Tauro, dove operavano i vertici del sodalizio in stato di libertà, mentre nella Capitale veniva gestita la distribuzione, nell' ambito di due anonimi appartamenti del centralissimo quartiere di San Giovanni, distanti appena 100 metri l'uno dall'altro. Alle partite in arrivo dalla Calabria, si aggiungevano quelle regolarmente in arrivo attraverso l'asse Marocco - Spagna - Francia. Al contempo, grazie al supporto fornito da radicata componente albanese, la cosca gestiva lo stoccaggio e lo smista mento di significativi carichi di cocaina, introdotti direttamente dai Balcani sul territorio nazionale.
Ma la cosca avrebbe trafficato anche armi: l'indagine "Mediterraneo" individuerà i canali di rifornimento utilizzati dal clan, in relazione al reperimento di armi lunghe e di silenziatori artigianali per pistola, realizzati da un artigiano di Gioia Tauro, che gli inquirenti definiscono "insospettabile". Molteplici le conversazioni nell' ambito delle quali veniva manifestata chiaramente la disponibilità di un vero e proprio arsenale, attraverso la detenzione di "fucili, mitragliette, pistole e silenziatori". Con riferimento al traffico di armi, elemento di assoluta importanza sarà l'artigiano "insospettabile" di Gioia Tauro, Giuseppe Belfiore, forte della copertura fornita dall' officina meccanica della quale era titolare e nell' ambito della quale svolgeva le proprie" ordinarie" attività lavorative. L'approfondimento investigativo in direzione di Belfiore, condurrà successivamente all' emersione del traffico internazionale di armi da questi pianificato unitamente al figlio Marino ed un ristretta componente di sodali italiani e di nazionalità slovacca. Marino Belfiore, peraltro, è l'uomo arrestato alla fine del marzo scorso poiché trovato in possesso di dieci kalashnikov, due mitragliette e cinque pistole con numero di matricola punzonato, e relative munizioni.
Peraltro proprio il minore dei Molè avrebbe costituto parte attiva della compravendita delle armi che venivano acquistate in provincia di Vibo Valentia attraverso l'intermediazione di persone pure raggiunte dalla ordinanza di custodia cautelare. L'indagine, infatti, mostrerà anche i contatti con la potente cosca Mancuso, nativa di Limbadi, ma operante su tutto il territorio vibonese.
La progressione investigativa consentiva di "chiudere il cerchio" sui Molè e sulle attività di reinvestimento del denaro, soprattutto nella gestione di diversi esercizi pubblici/ sale da gioco tra Calabria e Lazio, nell'ambito della quale riuscivano - tra l'altro - ad acquisire una posizione importante nel delicato settore delle slot machines, imponendo l'installazione di decine di macchinette. Il lucroso business delle sale giochi vedeva infatti una sostanziale joint venture di più imprese.
Subito dopo gli arresti uno degli indagati, Pietro Mesiani Mazzacuva, cognato di Mico Molè, ha deciso di collaborare con la giustizia e già i suoi verbali, insieme a quelli di Arcangelo Furfaro e Marino Belfiore, sono già entrati nel processo. Dichiarazioni che il Gup Barillà ha ritenuto pienamente attendibili, concedendo ai tre le attenuanti che la legge prevede nei confronti dei collaboratori di giustizia.
Con la sentenza, il Gup Barillà ha anche disposto la confisca delle aziende Imagine System e Terni Uno.
Questo il dettaglio della sentenza:
Antonio Albanese 8 anni di reclusione
Carmelina Albanese, 8 anni di reclusione
Cosimo Amato, 6 anni e 4 mesi di reclusione
Khayi Ayoub Baba, 14 anni di reclusione
Vincenzo Bagalà, assolto (richiesti 5 anni e 6 mesi di reclusione)
Giuseppe Belfiore, 6 anni e 4 mesi di reclusione e 10 mila euro di multa
Marino Belfiore, 3 anni e 8 mesi di reclusione e 6 mila euro di multa
Antonio Bonasorta, 6 anni e 8 mesi di reclusione e 10 mila euro di multa
Giovanni Burzì, 2 anni di reclusione e 14 mila euro di multa
Fabio Cesari, 11 anni e 4 mesi di reclusione
Carmelo Cicciari, 8 anni e 8 mesi di reclusione
Gaetano Cicciari, 7 anni di reclusione e 9 mila euro
Patrizio D'Angelo, 2 anni e 4 mesi di reclusione e 16 mila euro di multa
Pietro Giovanni De Leo, 2 anni di reclusione (pena sospesa)
Patrizio Fabi, 10 anni e 8 mesi di reclusione
Eugenio Ferramo, 2 anni e 4 mesi di reclusione e 16 mila euro di multa
Arcangelo Furfaro, 12 anni e 2 di reclusione
Domenico Galati, 3 anni di reclusione e 4 mila euro di multa
Giuseppe Guardavalle, 2 anni di reclusione e 14 mila euro di multa
Girolamo Magnoli, 17 anni di reclusione
Domenico Mazzitelli, 8 anni e 8 mesi di reclusione
Ippolito Mazzitelli, 8 anni di reclusione
Pietro Mesiani Mazzacuva, 5 anni e 4 mesi di reclusione
Valeria Mesiani Mazzacuva, assolta (richiesti 9 anni di reclusione)
Francesco Modaffari, 4 anni di reclusione e 4 mila euro di multa
Antonio Molè ( classe 1989), 12 anni di reclusione
Antonio Molè (classe 1990), 9 anni di reclusione
Annunziato Pavia, 14 anni di reclusione
Fiorina Silvia Reitano, 8 anni di reclusione
Vincenzo Ritrovato, assolto ( richiesti 8 anni di reclusione)
Pasquale Saccà, 11 anni e 4 mesi di reclusione
Stefano Sammarco, 11 anni e 4 mesi di reclusione
Domenic Signoretta, 12 anni e mesi di reclusione
Manuel Alexander Signoretta, assolto ( richiesti 8 anni di reclusione)
Carmelo Stanganelli, 17 anni e 8 mesi di reclusione