L'ormai ex giudice Vincenzo Giglio, condannato definitivamente in Cassazione in un'inchiesta sul clan Lampada di Milano, è stato arrestato in esecuzione della condanna definitiva rimediata alcuni giorni fa. L'ex magistrato, già detenuto per diversi mesi in regime di custodia cautelare, è stato ora nuovamente tratto in arresto. La Corte di Cassazione ha confermato la condanna per l'ex Presidente della Corte d'Assise di Reggio Calabria, Vincenzo Giuseppe Giglio, e per l'ex consigliere regionale calabrese Francesco Morelli. La Suprema Corte ha dunque confermato quanto disposto dalla corte d'Appello di Milano che alcuni mesi fa aveva inflitto 4 anni e 5 mesi al primo e 8 anni e 3 mesi a Morelli nel processo milanese sulla cosiddetta 'zona grigia' della 'ndrangheta.
Sentenza definitiva nel procedimento che coinvolse l'ex consigliere regionale, Franco Morelli e il giudice Enzo Giglio. Entrambi vengono puniti per i propri rapporti con la cosca Lampada, operante nel milanese con un vero e proprio impero economico. Il coinvolgimento dei due creò grande scalpore: Giglio, in particolare, era visto come un insospettabile, esponente di Magistratura Democratica e presidente della Corte d'Assise di Reggio Calabria. Giglio venne ammanettato con delle accuse gravissime: nel corso di alcuni incontri, almeno cinque, avvenuti all'interno della propria centralissima abitazione a Reggio Calabria avrebbe fornito delle soffiate agli elementi di spicco del clan Lampada circa l'esistenza o meno di indagini giudiziarie sul conto degli affiliati. Discorso analogo per la presunta corruzione con Franco Morelli, cui Giglio avrebbe rivelato l'assenza di indagini sul conto del politico, preoccupato di possibili vicende giudiziarie che ne potessero frenare l'ascesa politica. Un'amicizia, quella tra Morelli e Giglio, che sarebbe stata premiata dagli incarichi regionali ottenuti dalla moglie del magistrato, Alessandra Sarlo. Per la nomina della Sarlo, peraltro, è pendente un processo separato che si celebra a Catanzaro.
Incontri, quelli tra Giglio e i Lampada nella centralissima abitazione reggina del magistrato, che gli inquirenti riusciranno a documentare "in diretta", incrociando poi con le captazioni telefoniche acquisite. Per questo, dunque, la Corte d'Appello, analizzando le intercettazioni di Giulio Lampada parla nelle motivazioni della sentenza di secondo grado di "frequentazione intensa della casa del giudice Giglio" da parte del presunto boss calabro-milanese.
La sentenza parla inoltre di rapporto "assolutamente amichevole e confidenziale che intercorre tra Giulio Lampada e il giudice". Lampada si sarebbe anche rivolto al magistrato chiamandolo "Enzuccio bello". Un rapporto che si inquadrerebbe, dunque, nei vari tentativi fatti dai Lampada di ottenere informazioni riservate sullo stato delle indagini. Insomma, i Lampada sentivano il fiato della giustizia sul collo e si sarebbero attivati per capire cosa stesse accadendo: "Deve ritenersi accertato che i fratelli Lampada abbiano attivato una pluralità di canali informativi e fra questi anche il giudice Giglio. [...] Non può che apprezzarsi la qualità dell'informazione fornita dal magistrato che di fatto "anticipa" ai fratelli Lampada quello che sarà per loro l'esito dell'indagine "Meta", vale a dire l'archiviazione dell'accusa per associazione di stampo mafioso e la trasmissione a Milano della terza parte dell'informativa "Meta", quella cioè che in buona sostanza ipotizzava che i Lampada riciclassero per conto della famiglia Condello".
Informazioni che, a detta dei giudici milanesi, sarebbero arrivati proprio da Enzo Giglio: "Il giudice Giglio, presidente della sezione Misure di Prevenzione del Tribunale di Reggio Calabria, violando il tal caso un segreto proprio, ha rivelato ai Lampada che presso il suo ufficio non erano pendenti procedimenti a loro carico per l'applicazione di misure di prevenzione, specie quelle di carattere patrimoniale (confisca) cui i germani erano particolarmente sensibili". E sarebbero stati proprio i molteplici incontri nella casa reggina del magistrato i momenti in cui Giglio avrebbe spifferato notizie coperte dal segreto ai Lampada: "Emerge che il magistrato fornì ai Lampada, in occasione dei documentati incontri, la notizia che non vi era iscrizione per 416 bis presso la Procura di Reggio Calabria (informazione che, a prescindere dalla sua veridicità, era comunque illecita), che erano in corso accertamenti su eventuali condotte di riciclaggio poste in essere con "famiglie" calabresi (corrispondente alla terza parte dell'informativa "Meta") e che non vi erano proposte di misure di prevenzione presso la Sezione da lui presieduta. E' altresì certo che il magistrato fosse pienamente consapevole di offrire aiuto informativo ad appartenenti a un sodalizio mafioso e dunque, per la natura delle informazioni fornite, al sodalizio stesso".