di Simone Carullo - E' polemica a Campo Calabro sulla questione del "favismo", la quale procede a suon di petizioni e comunicati dividendo amministrazione e cittadini.
Ma andiamo per ordine: circa tre mesi fa il Movimento "Passione Civile" ha pubblicato un duro comunicato che accusava il sindaco Idone di aver lasciato inascoltata una petizione con la quale i cittadini chiedevano la revoca dell'ordinanza comunale, che prevede il divieto di coltivazione di fave e piselli per tutelare le persone affette da "favismo". Un'azione politica di opposizione all'attuale amministrazione campese che prende le mosse proprio da quel divieto di coltivare fave; un po' poco forse.
I portavoce di quella petizione, e della polemica che ne è conseguita, erano Francesco Santoro e Sandro Repaci (Passione Civile). E proprio quest'ultimo, essendo medico di base, dovrebbe avere tutti gli strumenti per valutare una questione così delicata soppesando adeguatamente esigenze mediche e fini politici.
Ma che cos'è il favismo? "Il favismo è una malattia genetica ereditaria che interessa i globuli rossi (cellule del sangue deputate al trasporto dell'ossigeno nell'organismo) causata dalla carenza di un enzima, glucosio-6-fosfato deidrogenasi, fondamentale per la loro sopravvivenza – scrive il dr. Domenico D'Ascola, dirigente responsabile del Centro di Microcitemie di Reggio Calabria -. Tale carenza – continua - può provocare un'emolisi acuta (distruzione dei globuli rossi) in occasione di ingestione di fave o di alcuni farmaci, quali la comune aspirina o alcuni antibiotici o antipiretici, o la inalazione di particolari sostanze quali la naftalina. Il favismo, che è il più comune deficit enzimatico umano, presente in oltre 400 milioni di portatori nel mondo, è molto diffuso in alcune regioni italiane quali la Sardegna e la Calabria (nella provincia di Reggio si è potuto evidenziare, tramite screening sulla popolazione, un'incidenza superiore al 2%). La malattia si trasmette ereditariamente con il cromosoma X: i maschi sono colpiti in forma grave mentre le donne, che generalmente sono solo portatrici sane, contraggono forme più lievi ma possono trasmettere il gene anomalo ai loro figli che saranno, dunque, ammalati. L'unica cura del favismo è la prevenzione – conclude D'Ascola - : [...] è sconsigliata inoltre l'inalazione dei pollini per cui è prassi consolidata il divieto da parte dei Sindaci di piantagioni di fave in zone limitrofe (generalmente 200 metri) all'abitazione dei cittadini con tale carenza".
Sull'argomento abbiamo ascoltato Antonio Repaci, chirurgo vascolare, anch'egli residente a Campo Calabro e sensibile all'argomento, da anni impegnato nella lotta per spezzare il velo d'ignoranza sul favismo e migliorare – anche attraverso l'informazione – la qualità della vita di coloro che ne sono affetti. La conoscenza dell'argomento è il primo passo verso un approccio più responsabile e obbiettivo, rischiarato dal "lume della ragione" - secondo il principio illuministico - e pertanto avulso da ogni pretesto ideologico o, peggio, da ogni fine politico.
"Lotto da una vita contro muri di gomma – sostiene il dr. Repaci (omonimo del Sandro di cui sopra) – costituiti di sovente da malafede ed ignoranza. La salvaguardia della salute dei soggetti affetti da favismo, passa obbligatoriamente dallo sradicamento di quel pudore, talvolta stupido ed idiota, che fa parte della forma mentis del nostro territorio e che porta tanta gente ad avvertire la malattia come una colpa, come qualcosa da tenere nascosto".
Quella di Antonio Repaci è una vera e propria guerra alla disinformazione che, suo malgrado, lo ha portato ad essere sotto il fuoco di fila dei suoi concittadini in quanto promotore/suggeritore di quell'ordinanza comunale ritenuta oggi così odiosa.
La soluzione della diatriba campese potrebbe venirci dalla legislazione vigente nella regione italiana dove è più alta la percentuale di soggetti fabici, ovvero la Sardegna (che arriva fino al 25% in certe zone della provincia di Cagliari e Oristano), e dove perciò l'attenzione è più alta. Ebbene, in Sardegna vige un'ordinanza di divieto di coltivazione di fave nel raggio di 300 mt da luoghi abitati o frequentati da soggetti affetti da favismo; inoltre l'esposizione e la vendita di fave fresche deve avvenire mediante ricorso al preconfezionamento in contenitori chiusi.
In fondo, forse, i problemi di Campo Calabro non possono essere ricondotti tutti alla coltivazione intensiva di fave.