Aggressione pm Musarò: “Pensai di morire, negligenza da parte degli agenti”

toghe new"Ho pensato: mi sta ammazzando". Il pm Giovanni Musarò ha raccontato alla Commissione parlamentare antimafia che lo ha ricevuto in audizione, l'aggressione subita da parte del superboss della 'ndrangheta Domenico Gallico nel carcere di Viterbo il 7 novembre 2012. "Sono stati secondi infernali, un'esperienza che non auguro a nessuno mi avrà dato una cinquantina di pugni e sessanta calci. Mi ha massacrato, ho avuto paura" ha detto il pm.

Ai componenti della Commissione Antimafia, presieduta da Rosy Bindi, il pm ha spiegato quale sarebbe stato il risentimento covato dal boss nei suoi confronti. Il sequestro della villa dei Gallico "una sorta di santuario della 'ndrangheta", i numerosi arresti, compresa la madre ottantenne, e un fratello che aveva tentato il suicidio in carcere, ed era stato salvato in extremis (era il giugno del 2010), tutte circostanze che - secondo il pm - sarebbero state le cause scatenanti dell'aggressione subìta. 

Quando Musarò, dopo la richiesta di Gallico di essere interrogato, decise di andare al carcere di Mammagialla, a Viterbo, dove Gallico era detenuto, per ascoltarlo, "scrissi alla Casa Circondariale chiedendo di essere assistito da due agenti di polizia penitenziaria: temevo di subire un'aggressione". Ma quando il superboss fu fatto entrare nella saletta per il colloquio ("una saletta troppo piccola", pensai subito, ha precisato Musarò) entrò solo, senza manette e nessuna scorta. Il detenuto si avvicinò al magistrato: "venne verso di me e mi disse: dottore, che piacere, finalmente ci conosciamo dal vivo. Posso avere l'onore di darle la mano?". Mentre Musarò si stava alzando per porgergli la mano, il boss ha finto di voler ricambiare il gesto ma lo ha colpito con violenza, rompendogli il naso e poi massacrandolo con calci e pugni. "Poco dopo, ha raccontato il magistrato, un agente mi disse: è stato un attimo, ci ha preso alla sprovvista... Io risposti: una leggerezza può capitare, ma non vi sognate di scrivere nel rapporto che qui c'era qualcuno di voi: nella saletta c'eravamo solo io, Gallico e l'avvocato". Le telecamere hanno testimoniato la versione del magistrato. "La mia impressione - ha concluso Musarò rispondendo ai parlamentari - è che sia trattato di una negligenza, ma non ci sia stato un atto preordinato. Io credo che Musarò abbia chiesto agli agenti di parlare un attimo solo come me e poichè è visto come un personaggio leggendario, di grande carisma, gli è stato concesso. Io mi sono fatto negli anni questa convinzione".

A salvare il pm era stato il giovane avvocato che era stato chiamato per assistere Gallico, "prima ha provato inutilmente a fermarlo, poi, non riuscendoci, ha chiesto aiuto agli agenti di polizia penitenziaria. A lui devo la vita. Quattro agenti lo hanno tirato via mentre mi picchiava. Quando ho trovato la forza di guardarlo era steso supino a terra, con un agente della penitenziaria seduto sul suo sterno e diceva 'soffoco'". Ai componenti della Commissione Antimafia, che gli hanno chiesto se secondo lui il boss volesse ucciderlo, il magistrato ha poi risposto: "non credo mi volesse fare un massaggio. È un uomo che ha compiuto numerosi omicidi: se ti mette le mani addosso ci mette un secondo a spezzarti il collo". Era stato Gallico a chiedere di essere interrogato in carcere. "A me - ha raccontato Musarò che all'epoca era in servizio alla Dda di Reggio Calabria e con altri magistrati aveva inferto colpi durissimi alle famiglie della Piana di Gioia Tauro - sembrò subito una richiesta molto strana".

Musarò poi ha racconta alla Commissione la vicenda della testimone di giustizia di Maria Concetta Cacciola: "E' tornata a Rosarno consapevole di ciò che le sarebbe successo: pur non avendo mai compiuto reati, era intrisa di cultura 'ndranghetista e capiva la fine che avrebbe fatto. Ad un'amica disse: 'mi fanno ritornare e mi fanno ritrattare, poi mi ammazzano. Ma devo tornare per i miei figli' ha detto il pm.

Era figlia di Michele Cacciola, cognato di Gregorio Bellocco, capo storico di quella famiglia di boss. "Questa ragazza, di 31 anni - ha raccontato Musarò - si è presentata per la prima volta alla stazione carabinieri l'11 maggio 2011 e in quell'occasione si lasciò andare con i militari dicendo di avere paura per la sua incolumità: era sposata da quando aveva 16 anni, aveva tre figli, il marito era detenuto ed aveva una relazione extraconiugale. I familiari lo avevano saputo e lei aveva giustamente paura. I carabinieri le dissero che l'avrebbero riconvocata. In particolare temeva il fratello Giuseppe e di diventare vittima di un episodio di lupara bianca". La donna fu quindi ascoltata dal capitano e dal tenente della stazione dei carabinieri di Gioia Tauro e fece capire che aveva una serie di cose da dire sul clan dei Bellocco. "Io e la collega Alessandra Cerreti - ha raccontato il pm - la andammo a sentire. Ricordo che nel primo verbale parlò di una serie di omicidi e mi resi conto che era attendibile. Lei era terrorizzata. Venne messa sotto protezione nel maggio 2011. Le sue dichiarazioni furono importanti e consentirono di trovare bunker". Ma i familiari si rimisero in contatto con lei, la costrinsero a tornare a Rosarno (Reggio Calabria), dove erano rimasti i tre figli minori, e a registrare una ritrattazione davanti a due avvocati. "Le intercettazioni della Cacciola poco prima di tornare a Rosarno e appena tornata - ha raccontato Musarò - sono terribili: è materia per una tragedia greca. La donna chiede di tornare nel programma, ma quando sembra tutto pronto la trovano morta per aver ingerito acido muriatico, fine riservata a chi parla troppo". Il 13 luglio 2013 i familiari sono stati condannati solo per maltrattamenti e non è stata riconosciuta l'aggravante per aver provocato il suicidio. L'indagine per omicidio è tutt'ora in corso. I due avvocati sono stati arrestati: uno è stato condannato, per l'altro è stata chiesta condanna.