di Claudio Cordova - E' un peccato che Nino Fiume non abbia potuto ascoltare le dichiarazioni spontanee rilasciate, al termine dell'udienza del procedimento "Meta", da parte del suo ex cognato, quel Peppe De Stefano che, nelle affermazioni del pentito è più che presente: "Fiume è un falso e un buffone, un pupo ammaestrato e so pure da chi – tuona De Stefano in collegamento dal supercarcere di Tolmezzo - ancora oggi mettono Fiume in carcere insieme a collaboratori che mi accusano come Foschini, Schettini e Lauro. Fiume è il figlio di Giacomo Lauro e Paolo De Stefano aveva dato ordine di menare a Lauro mattina, mezzogiorno e sera. A Fiume dovevano metterlo con Michele Misseri, quello di Avetrana". E' già lontano Nino Fiume, quando l'ex cognato, l'ex amico, lo apostrofa pesantemente per le dichiarazioni rese nell'ambito del maxiprocesso "Meta".
Peppe De Stefano parla in perfetto italiano e non alza il tono della voce, ma è evidentemente furibondo: "Non mi sento di poter affrontare con serenità questo processo – afferma De Stefano – le dichiarazioni di Fiume vengono pubblicate dai giornali il giorno stesso e inficiano le dichiarazioni dei successivi pentiti". Per il presunto "Capo Crimine", che, nei primi anni 2000, sarebbe diventato il capo indiscusso della 'ndrangheta cittadina, non ci sarebbero i presupposti per un sereno processo: "Sono stato oggetto di pressioni da parte del pubblico ministero Giuseppe Lombardo e del Colonnello Giardina, per non lasciarmi sereno nelle deposizioni di Fiume". Peppe De Stefano sa bene di giocarsi una partita fondamentale della propria vita nel processo "Meta" e punta su una nuova strategia: quella di chiedere lo spostamento del procedimento, per legittima suspicione a causa della "pressione psicologica del clima di sospetto, che intimorisce imputati e avvocati".
Era inevitabile che Nino Fiume, per anni fidanzato di Giorgia, sorella di Peppe De Stefano, con le sue dichiarazioni suscitasse il nervosismo del boss: "Sento mezze frasi su politica, massoneria, magistrati. Fiume è il figlio di Giacomo Lauro, è lui che gli ha detto chi sono i killer del giudice Scopelliti, non io, che faccia i nomi. Non si può vietare ai miei legali di controesaminare Giardina sul sequestro di tre neonati (il riferimento e alla procedura per la perdita della patria potestà, ndi) e sulla cattura di Orazio De Stefano. Sfido tutte le Procure d'Italia, tutte le caserme a dimostrare le mie responsabilità sulla cattura di mio zio Orazio o sui rapporti con i magistrati".
Dichiarazioni choc del boss che conclude il proprio intervento dichiarandosi un Folle innamorato di giustizia, verità e libertà".
Insomma, Peppe De Stefano ha preso tutt'altro che bene le lunghe dichiarazioni di Nino Fiume che, appena pochi minuti prima aveva concluso, con la lunga serie di domande degli avvocati difensori, la propria partecipazione al processo "Meta". Tra fatti specifici, gradi di 'ndrangheta e riferimenti continui alla "Reggio Bene", Nino Fiume ha portato il proprio patrimonio conoscitivo nel procedimento "Meta". Proprio lui che, nel processo, ha avuto il compito fondamentale di indicare in Peppe De Stefano il vertice del "direttorio" composto anche dalle famiglie Condello, Tegano e Libri, che governerebbe la città.
I DE STEFANO E LA POLITICA
Difficile dire se le dichiarazioni di Fiume innervosiscano De Stefano perché considerate false o se, invece, siano temute perché, a distanza di anni, avrebbero nuovamente scoperchiato il "pentolone" in cui cuoce l'immenso mondo dei De Stefano. Nino Fiume, infatti, pur omettendo, su preciso ordine del pm Lombardo, di fare i nomi dei politici, punta la propria attenzione sulle presunte complicità che la famiglia De Stefano avrebbe avuto con il mondo delle istituzioni: "Si guardavano bene dal fare politica, erano rimasti scottati dalla vicenda di Giorgio De Stefano e la Democrazia Cristiana. Ci furono anche degli attriti sulla politica, perché la gente con cui mi rapportavo sapeva che ero vicino ai De Stefano". Peppe De Stefano, infatti, non avrebbe affatto gradito il modo di comportarsi di Fiume, giudicandolo troppo poco discreto: "Ho conosciuto persone della politica e del mondo dello sport. Ricordo quando Pasquale Condello che aveva sempre votato Forza Italia, disse di votare a sinistra. Ma Peppe mi disse che sbagliavo a fare politica, diceva che avremmo dovuto mettere in casa i bigliettini elettorali di qualcuno e poi appoggiare qualcun altro, per sviare la Polizia, qualora avessimo subito una perquisizione". E' una mente così furba, come quella del figlio di don Paolino De Stefano, non poteva non essere in contatto con il mondo dei colletti bianchi. Nino Fiume ne è sicuro: "Ho organizzato personalmente gli incontri tra Peppe De Stefano e i politici" dice.
E se il nervosismo di De Stefano può, evidentemente, scaturire anche da tali dichiarazioni, saranno le indagini attualmente sul tavolo del pm Lombardo a chiarire se, come e quando, la cosca di Archi abbia potuto avere un ruolo sull'ascesa anche di importanti politici calabresi.
ORA PRO NOBIS
Ma la politica non è di certo l'unico degli argomenti trattati da Nino Fiume che, a volte, si atteggia quasi come un'asceta: "Ero contrario alla strategia delle estorsioni, per questo mi allontanai dai fratelli De Stefano". A proposito di Carmine e Peppe, quando parla di loro Fiume, da asceta si trasforma in missionario: "Mi ero illuso di poter tirare fuori i fratelli De Stefano da determinate cose – dice Fiume con un filo di amarezza – e con Carmine ce l'avevo quasi fatta, poi Peppe si arrabbiò".
E' poi lo stesso collaboratore a rendere palese la propria fede e il proprio proposito, poi accantonato, di prendere i voti e diventare prete: "Sono stato sempre credente – dice - sono stato anche in monastero, volevo diventare prete, poi mi sono accontentato del diaconato. La fede mi ha aiutato molto. Con collaboratori ho anche letto più volte la Bibbia".
INCONTRI RAVVICINATI
L'apostolo Fiume, però, non può dimenticare il proprio passato criminale. Un passato in cui, peraltro, avrebbe stretto contatti con il mondo di quella "Reggio Bene" che, nel corso delle sue tre deposizioni il collaboratore ha citato più volte. Anche di ritorno a Reggio, negli anni della collaborazione, Fiume avrebbe incontrato, casualmente, tanta gente: "Ho incontrato la moglie dell'allenatore della Reggina, Franco Colomba, ho volato con Peppe Rodà un giovane della "Reggio Bene", ho incontrato anche Luigi Fedele (noto politico di centrodestra) in aereo. Conoscevo anche la Fallara, ricordo quando mi arrivò un conto dell'acqua con la sua firma. Quando sono tornato a Reggio ho incontrato anche Pino Rechichi (ex direttore operativo della Multiservizi, oggi in carcere, ndi), ci siamo salutati".
Il mondo delle professioni. Quello su cui la cosca De Stefano avrebbe sempre puntato. Nel racconto di Nino Fiume, infatti, c'è spazio anche per la "talpa" Giovanni Zumbo, che da giovane avrebbe frequentato assiduamente casa De Stefano: "Ricordo che era fissato con storie di 'ndrangheta e di rituali" aveva detto Fiume nelle precedenti udienze. Oggi, invece, il pentito, oltre a Zumbo, tira in ballo anche il giudice Enzo Giglio, attualmente in carcere per collusione con la cosca Lampada di Milano: "Sistemammo la vicenda di un bene confiscato tramite Mario Giglio e Gianni Zumbo, che poteva accedere agli studi dei giudici Foti e Giglio".
ROMANZO CRIMINALE
Il fulcro della deposizione di Nino Fiume, però, si incentra, soprattutto, sulla nomina di Peppe De Stefano, che, in ragione del proprio carisma e dell'essere figlio di don Paolino De Stefano, sarebbe diventato il "Capo Crimine" di Reggio Calabria, in posizione sovraordinata anche a boss storici come Pasquale Condello, il "Supremo". Rispondendo alle domande degli avvocati, Fiume ha infatti ricordato di aver appreso della cerimonia con cui Peppe De Stefano sarebbe diventato il "capo dei capi". Una celebrazione avvenuta in carcere, con il placet dei maggiori boss della città e della provincia: "I capi sapevano del nuovo ruolo di Peppe" dice il pentito.
Il racconto di Fiume è un vero e proprio Zibaldone di fatti criminali, che oggi il pentito si permette di ricordare con tutt'altro spirito: "Io non potevo più uccidere persone che avevano partecipato alla guerra di mafia solo per ostacolare un eventuale pentimento" dice. Nei suoi anni al fianco di Peppe De Stefano, Fiume avrà modo di conoscere tutti, compreso quel Mario Audino, astro in ascesa della 'ndrangheta reggina, trucidato proprio per la propria intraprendenza: "Seppi che aveva puntato la pistola alla testa del dottor Eduardo Lamberti Castronuovo per una vicenda di cento milioni di lire. Ma non si fanno certe cose a gente che dà lavoro a tante persone". Tanti i riferimenti a Mario Audino, soprattutto quando Fiume parla di quel Nino Malara, commerciante attivo nel settore della macellazione, che sarebbe stato molto vicino al boss di San Giovannello ucciso alla fine del 2003: "Nino Malara era rispettato da tutti, la testa di vitello per Lillo Foti la prendemmo da lui e tagliammo le orecchie per nascondere la provenienza. Da lui Peppe De Stefano mi mandò anche a installare una caldaia e mi disse di non pagarmi".
E' solo uno dei tanti fatti che Fiume ha riferito, negli anni, sul conto di Peppe De Stefano. Fatti che, in parte, sono confluiti nel procedimento "Meta". Sugli altri, saranno le indagini a stabilire se un giorno diventeranno più o meno di pubblico dominio, spezzando la rete di alleanze del clan di Archi.
Forse proprio per questo Peppe De Stefano è così nervoso...