di Alessia Candito - A disposizione del clan c'erano uomini della jonica, come della tirrenica e della città, picciotti e gregari ma anche insospettabili "tecnici" chiamati a bonificare auto e appartamenti, uomini e donne pronti a mettersi al servizio del boss e a fornire una casa sicura, un passaggio in Piemonte, una macchina pulita, un'informazione preziosa. Quella smantellata nella notte dagli uomini del Ros di Reggio Calabria è l'intera rete dei fiancheggiatori che ha permesso e gestito la latitanza del boss Antonio Pelle, Ntoni Gambazza, arrestato nel 2009 e morto pochi mesi dopo. In manette sono finite 26 persone, fra le quali non ci sono solo i familiari più stretti dell'anziano boss come la moglie, Giuseppa Giampaolo, e i nipoti – uno dei quali, insieme ai figli di Gambazza, ha ricevuto una nuova occ in carcere – ma anche personaggi del mandamento tirrenico, come Giasone Italiano, del locale di Delianuova o di quello della città. Tutti – secondo gli investigatori – hanno partecipato in misura minore o maggiore alla latitanza del vecchio boss.
Una struttura ricostruita minuziosamente dal sostituto procuratore della Dda di Reggio Calabria, Nicola Gratteri, che con l'ausilio del pm Francesco Tedesco, ha rintracciato l'esercito di persone coinvolte nella prolungata fuga del boss che solo fra il 2007 al 2009, è stato ospite in almeno quattro diverse località: tre in Calabria e una in Piemonte.
A spingere l'organizzazione a spostare il boss dal proprio territorio dopo quasi un decennio di latitanza "serena" è stata – ha spiegato il pm Gratteri "- "la perquisizione fatta a casa Pelle nel 2008. Quella volta, a contrada Riccioli, i carabinieri sono rimasti a casa di Pelle per tre giorni, fino a quando non hanno finito di perquisire centimetro per centimetro tutto lo stabile e il giardino". Una perquisizione accurata che ha permesso agli uomini dell'Arma di scovare tre bunker e "una stanza 8 metri per 5, con una statua della Madonna di Polsi e una di San Michele Arcangelo, era una stanza usata per le affiliazioni", ha detto Gratteri. Quella volta, l'antico patriarca era stato mancato per un soffio. Ma quell'operazione e la determinazione con cui è stata portata a termine ha scatenato il panico fra i familiari di Pelle. "Dopo dieci anni – ha spiegato Gratteri – ha iniziato a sentirsi braccato".
Da qui gli spostamenti: Natile di Careri, Santo Stefano, addirittura Cuneo, in Piemonte. Tutti trasferimenti gestiti da un'organizzazione militare che ha fallito nel 2009 soltanto perché il padrino era stato male ed era stato necessario un ricovero urgente in ospedale, dove in seguito era stato scovato e arrestato dagli uomini del Ros che da tempo tenevano sotto controllo la figlia del patriarca, Maria Pelle. Una rete imponente e intricata che vede intrecciarsi uomini di ogni mandamento, tutti pronti a mettersi a disposizione di quel padrino interpellato – ha rivelato l'unica microspia sopravvissuta alle regolari operazioni di bonifica messe in atto dai "tecnici" del clan – come un'eminenza grigia cui chiedere consiglio e fare rapporto su intrecci e affari che andavano ben oltre il mandamento jonico di cui Pelle era a capo. Una rete sopravvissuta anche alla morte dello stesso patriarca. La microspia dei Ros ha permesso infatti di scoprire che - come prima con il padre Ntoni Gambazza – alla corte di Peppe Pelle tutti chiedevano udienza. La casa di Bovalino che il boss aveva eletto a residenza era divenuta crocevia di uomini di peso di tutti e tre mandamenti, che al figlio del vecchio patriarca esponevano vicende e questioni che interessavano l'intera Calabria. Una casa divenuta una corte retta da un monarca cui tutti mostravano rispetto: "Noi siamo stati sempre una famiglia... a compare Antonio e a tutta la famiglia, ad uno per uno... dal più piccolo al più grande... mi sono sentito che siamo un'unica famiglia", si ascolta in una delle tante conversazioni intercettate.
A casa di Pelle c'erano abitualmente i rappresentanti delle cosche del versante jonico che chiedevano al boss consiglio su come affrontare i dissidi interni ai "locali" di loro appartenenza, ma anche i portavoce dell'allora Capo Crimine Domenico Oppedisano- carica ereditata proprio da Gambazza - che dalla Piana di Gioia Tauro si spostavano a Bovalino per chiedere favori o per aggiornare i compari del mandamento jonico sui "problemi" della città - "hanno trovato due microspie a due persone di Reggio, dentro la macchina" - o dell'intera organizzazione : "hanno fatto nomi, i nomi... di tutte le persone... praticamente del responsabile provinciale... ci hanno consumato con un'associazione!... un'associazione di 'ndrangheta!".
"Una prova ulteriore, se mai ce ne fosse stato bisogno – ha detto il generale Pasquale Angelosanto - di quella struttura unitaria già emersa nelle più recenti indagini. Una struttura che serve anche per la gestione dei latitanti di primo piano". Una rete che gli investigatori sono riusciti a ricostruire proprio grazie alle conversazioni registrate a casa Pelle. Un luogo – che gli inquirenti definiscono "una università della 'ndrangheta, dove di 'ndrangheta si parlava per 18 ore al giorno" – gli uomini dei clan si sentivano ragionevolmente sicuri. Tutti i locali venivano sottoposti a periodica bonifica da tecnici che prontamente si mettevano a disposizione del clan - Francesco Albanesi, Vincenzo Brognano, Giuseppe Codispoti e Roberto Crisafi – eppure i Pelle vivano con il terrore di essere intercettati. Ognuno di essi aveva maturato una tecnica tutta propria alla quale faceva ricorso ogniqualvolta si trovava in macchina o comunque in un ambiente chiuso: dialogare a voce molto bassa, inquinare le voci alzando il volume della radio o della televisione o, in ultimo, addirittura, non parlare. Ogni rumore, fruscio o malfunzionamento elettrico veniva interpretato come segnale di una possibile microspia. Un'ossessione quasi paranoica, ma che non ha permesso al clan di rintracciare quell'unica cimice che ha dato agli inquirenti materiale sufficiente per cinque diverse indagini, seguite da altrettante operazioni, che hanno mandato dietro le sbarre diverse decine di uomini dei clan.