- di Alessia Candito - C'è la longa manus di Mimmo Roffini e dei fratelli Luigi e Alfredo Molinetti dietro l'omicidio di Francesco e Alessandro Serraino, che stravolse gli equilibri nel corso della seconda guerra di 'ndrangheta, catapultando il clan della montagna nel conflitto al fianco del cartello condelliano. Un dettaglio inedito per un omicidio che è sempre stato attribuito ai De Stefano e che è stato rivelato oggi da Roberto Moio, genero di Giovanni Tegano e ex uomo di punta della famiglia, dal 2010 divenuto collaboratore di giustizia. Parlando nascosto dietro al paravento bianco che cela i pentiti che depongono in pubblica udienza, Moio - chiamato oggi a testimoniare dal sostituto procuratore della Dda di Reggio Calabria, Giuseppe Lombardo, al processo Epilogo, che sul bando degli imputati vede i pezzi da novanta della cosca Serraino- ha rivelato che dietro quell'omicidio non ci sarebbe stata la volontà del cartello destefaniano di far pagare ai Serraino la vicinanza al clan degli Imerti, ma una mera aspirazione di espansione territoriale: i Tegano, federati ai De Stefano, puntavano ad allungare le mani sul locale di San Sperato e i suoi territori.
Ma questo non è che uno dei dettagli che Roberto Moio ha svelato agli inquirenti da quando nel 2010 ha iniziato a collaborare. E i segreti che l'ex killer -divenuto uomo dei Tegano negli appalti delle ferrovie - ha svelato hanno permesso agli inquirenti di tracciare i nuovi assetti venuti fuori dalla seconda guerra di ndrangheta. Quella che dall'85 al 91 ha visto i cartelli dei De Stefano- Tegano e dei Condello, trasformare Reggio Calabria in un far west che ha lasciato sul terreno oltre settecento morti ammazzati. Come Alessandro e Francesco Serraino, il "re della montagna e suo figlio", braccati dai killer fin dentro il reparto di diabetologia degli Ospedali riuniti, dove il boss era detenuto agli arresti domiciliari. Un agguato andato a buon fine nonostante il "re" - che estendeva in suo dominio sulle zone di San sperato, parte di Modena, Cardeto,fino alle pendici dell'Aspromonte – da tempo stesse in allerta. Nonostante la cosca fosse ufficialmente in posizione neutrale, Serraino aveva da tempo fiutato il pericolo, tanto da barricarsi nel reparto in cui era ricoverato e concedere libero accesso solo a parenti, amici e personale ospedaliero. Attenzioni che non basteranno a salvare la vita né al "re" né all'erede designato. "Un errore – l'ha definito oggi Roberto Moio – a causa del quale il cartello dei Tegano De Stefano ha guadagnato dei nemici acerrimi e molto ben armati. "Avevano anche dei bazooka", ha sottolineato Moio. E non ci hanno messo molto – ha ricordato il pentito – a reagire a quel duplice omicidio con cui i Tegano puntavano a decapitare il clan. Poco tempo dopo, a cadere è infatti lo stesso Mimmo Roffini, cui sarà fatale un caffè al bar. I killer della cosca Serraino lo freddano appena sceso dalla macchina blindata. Il comando della cosca era passato rapidamente in mano ai fratelli del re assassinato, che avevano nel giro di pochissimo tempo stretto una salda alleanza con lo schieramento condelliano, nel ferreo proposito di vendicare l'affronto subito.
Ma con la pace del '91, anche le vendette sono state sepolte in nome dei nuovi affari. L'incontro avvenuto nella notte sulle colline dietro Archi fra Pasquale e Domenico Condello, Giovanni e Pasquale Tegano, Orazio e Giuseppe De Stefano, con tutti i rispettivi luogotenenti al seguito, era stato il segnale visibile e concreto della pace conclusa fra i padroni di Reggio. "I rapporti si dovevano normalizzare e così è avvenuto", ha raccontato oggi Roberto Moio, che quella stagione l'ha vissuta da protagonista e conosce profondamente la galassia delle ndrine reggine, tanto da poter tracciare con precisione le zone di competenza di ciascun clan. Incluso quello dei Serraino, che come prima della guerra, hanno continuato a dettare legge a San Sperato, Modena, Cardeto, allargando il proprio dominio fino alle propaggini dell'Aspromonte. Alla testa del clan i fratelli del "re della Montagna", hanno lasciato il posto ad Alessandro Serraino, che del monarca è il nipote, alla cui ombra – ha raccontato Moio – è rapidamente cresciuto Fabio Giardiniere, prima fidanzato poi marito della figlia del boss e conoscenza di vecchia data del pentito. "Alessandro è il vertice riconosciuto, anche perchè porta il cognome Serraino, Giardiniere è la nuova generazione, la nuova ndrangheta, è "uscito da poco", ha affermato Moio, ascoltato dai due, oggi entrambi imputati al processo Epilogo. " Giardiniere era originario del Gebbione, prima gestiva con il fratello la pizzeria White&Blue, dopo il fidanzamento era stato assunto al'Omeca grazie ai Serraino. Ci conoscevamo da tempo, io ho sempre parlato bene di lui , è più tranquillo di suo fratello Isidoro". Solo una volta fra i due ci sarebbe stato un dissapore. "Due anni fa Giardiniere mi aveva fatto chiamare perchè un tale Giovanni Siclari – condannato in primo grado per associazione mafiosa nel filone del processo Epilogo che si è già celebrato in abbreviato - lavorava per noi ed era stato licenziato. Giardiniere mi ha fatto sapere che era un loro "giovanotto", un affiliato alla cosca. Anche il padre di Siclari, mi è stato riferito, è uno della vecchia guardia del clan Serraino e il figlio attualmente è attivo nella famiglia". A quella sollecitazione, Moio – schermandosi dietro accordi sindacali volti a garantire il monte ore delle maestranze – non risponderà come sollecitato a fare. Ma questo non basterà per incrinare i rapporti con Giardiniere. Una conoscenza maturata nel corso del tempo e di una frequentazione che il pentito afferma regolare, tanto da poter descrivere in dettaglio interessi e sfere di influenza. E non perchè qualcuno gliel'abbia detto o riferito. "Nipote acquisito dei Tegano, ho partecipato a decine di omicidi, ho fatto traffici di tutti i tipi – ha rivendicato quasi con orgoglio, rispondendo alle domande dei legali che oggi lo incalzavano con le loro domande – io non ho bisogno che qualcuno me lo dica o di andare a scuola. La storia della ndrangheta di Reggio è questa".
La ndrangheta nuova
Una storia che Moio ha vissuto da protagonista fin dalla sua affiliazione. "Sono stato battezzato da Mico e Pasquale Libri, Pino Rechichi della Multiservizi, Barbaro e dal figliastro di Mico Libri, quello ucciso in carcere con una carabina", ha ricordato Moio andando indietro con la memoria fino a oltre trent'anni fa, quando è iniziata la sua carriera criminale. All'epoca – ha affermato il collaboratore – gli era stato assegnato il grado di picciotto/malandrino. Una carica che non è mai cambiata perchè "cariche, gradi, etc queste cose a Reggio non si fanno più" - ha spiegato oggi Moio - " Ci sono paesi – come Sinopoli, Platì, San Luca, ma anche città Torino - .che fanno queste cose. A Reggio non si usa più perchè non interessa più. Prima dell'85, per affiliare qualcuno si guardava la famiglia , se madre e sorella erano persone per bene, se c'erano parenti tra le forze dell'ordine prima di affiliare qualcuno. Dopo la guerra di mafia, si è pensato più all'economia e agli affari. Non ho mai avuto avanzamenti di grado dopo il battesimo, ma non mi interessava. Nipote ero – ha voluto sottolineare Moio - potevo fare quello che volevo".
E anche l'importanza di riunioni come quella di Polsi è cambiata. Una volta era lì – ha riferito il collaboratore di aver appreso da Giovanni Tegano- che una volta si riunivano tutte le famiglie della Provincia di Reggio. Era un incontro che si faceva ogni anno, durante il quale si incontravano tutti i personaggi del reggino". Ma con il nuovo corso della ndrangheta anche questo è cambiato e il summit di Polsi, come le cariche, ha progressivamente perso la sua importanza. E quel conflitto che ha modificato così profondamente la natura stessa della ndrangheta reggina, avrebbe fatto sedimentare nell'ex killer la volontà di "cambiare vita, mollare tutto e andarmene da Reggio. Ho perso amici con cui sono cresciuto, fratelli".
Il pentimento di Moio e la latitanza di Giovanni Tegano
Una determinazione che ci avrebbe messo, a detta del collaboratore, circa dieci anni a maturare, ma che lo avrebbe spinto già dal 2004 a mettere gli inquirenti sulle tracce del boss Giovanni Tegano, all'epoca latitante. Di Moio è infatti la soffiata che porta gli investigatori a perquisire la casa di Paolo Siciliano, "che lavorava con me e a cui i Tegano avevano fatto mettere mille euro in più in busta paga" per ripagarlo dei servigi offerti coprendo la latitanza del boss. Ma quando Moio li mette sulle sue tracce, lo mancano di un soffio. " Già da allora, quando nel 2004 sono stato arrestato, avevo detto al dirigente della Mobile Arena che volevo parlare con Mollace, ma mi rimandavano sempre. Ho avuto un incontro anche con l'ispettore Giacomo Astuto, sono andato fin sotto casa sua per chiedergli di parlare con Mollace, ma niente", ha ricordato Moio, ipotizzando che per gli uomini della Mobile fosse prioritario avere una fonte attendibile che li mettesse sulle tracce del boss di Archi. Ma quella perquisizione andata a vuoto, inizia a far sospettare il clan di avere una talpa al proprio interno. Moio è uomo di fiducia del clan. È stato lui ad accompagnare il boss 'Ntoni Nirta a casa degli Alvaro, garanti della pace del 1991, ed è stato sempre lui, su incarico di Pasquale Tegano, a riferire a tutte le cosche legate ai De Stefano che la guerra era finita, che "le cose si erano aggiustate e non bisognava sparare più". Ma a guerra finita ed equilibri cambiati, tutti diventano sacrificabili, quindi deve stare attento. Non può più chiedere di far visita allo zio, senza destare sospetto. "Allora, nello stesso periodo mi sono dato da fare per cercare di sapere qualcosa sulla bomba del 2004 in Comune – ha confessato il collaboratore - Arena, Nicolosi e Astuto, mi dissero che era necessario trovare il colpevole". Indagini, a quanto pare, concluse con un nulla di fatto. Così come per la collaborazione di Moio, divenuta realtà solo nel 201