di Claudio Cordova - Un po' insofferente, talvolta altezzoso ma in termini generali piuttosto preciso. Il collaboratore di giustizia Carlo Mesiano parla per ore all'interno dell'aula bunker di Reggio Calabria accusando la cosca Serraino nell'ambito del procedimento "Epilogo". Rispondendo alle domande del pubblico ministero Giuseppe Lombardo, Mesiano ha infatti ricostruito i vertici della storica cosca, egemone nei territori di San Sperato e Cardeto.
Il pentito ha indicato Alessandro Serraino, detto "Lisciandro", come il capo della cosca: "So che aveva preso il posto del padre" dice Mesiano in aula. "Lisciandro", dunque, sarebbe succeduto, nelle leadership, al vecchio patriarca don Mico Serraino, morto nel marzo 2010. Al cospetto del Collegio presieduto da Silvana Grasso, Mesiano afferma di aver appreso la circostanza da Fabio Giardiniere, cognato proprio di Alessandro Serraino e suoi occhi sul territorio. Una circostanza che il pentito ribadirà anche alle contestazioni dell'avvocato Carlo Morace (difensore di "Lisciandro") che farà notare come il pentito, nei precedenti interrogatori, resi in fase di indagine, non aveva mai riferito cose del genere sul conto di Alessandro Serraino. Proprio Serraino e Giardiniere, comunque, sarebbero i due soggetti più importanti della "nuova" cosca, capace di rigenerarsi, dopo anni di morti e di arresti, grazie alla "nascita" di nuove leve criminali.
Leve criminali che rispondono al nome di Maurizio Cortese (sempre intemperante all'interno della gabbia) e Ivan Nava, già condannato, in primo grado, per associazione mafiosa e tutta una serie di reati, tra cui l'incendio dell'auto del giornalista Antonino Monteleone: "Ivan Nava si dedicava a truffe e frequentava Franco Giordano, vicino ai Rosmini, Gigi D'Agostino, che ha un negozio sul Corso Garibaldi, ma anche Ciccio Sergi, figlio dell'ex sindaco di Fiumara di Muro e Giorgetto De Stefano". E l'attenzione del pm Lombardo si concentra proprio su quest'ultimo soggetto, giovane fratellastro di Peppe De Stefano, ma anche di Carmine e Dimitri, tutti figli del boss Paolo De Stefano, ucciso agli albori della seconda guerra di mafia: "E' un affiliato alla cosca De Stefano – dice Mesiano – fu lui a chiedere e ricevere l'estorsione per i lavori via Del Torrione" dice ricordando una vicenda centrale nel procedimento "Meta".
Esame e controesame serrato, quello tra l'accusa e le difese, con il presidente Grasso che ha il suo bel da fare per arginare le intemperanze tra alcuni avvocati e le ormai solite scaramucce tra il pm Lombardo e l'avvocato Giacomo Iaria, difensore di Maurizio Cortese. E se l'atteggiamento di Mesiano talvolta non aiuta, il pentito riesce comunque a individuare la zona di "competenza" della cosca Serraino che, soprattutto nel territorio di San Sperato, avrebbe messo in atto un controllo capillare e oppressivo su ogni attività imprenditoriale e commerciale. Un atteggiamento continuativo, quello del clan, come testimoniato dalle indagini dei Carabinieri che, coadiuvate anche dalle dichiarazioni di un altro collaboratore, Vittorio Fregona, ex affiliato alla cosca, arriveranno a mettere a segno il blitz dell'operazione "Epilogo".
Il pentito Mesiano, invece, individuerà altri personaggi che avrebbero ruotato nell'orbita del clan: dal giovane Marco Marino, oggi collaboratore di giustizia, ai fratelli Tomasello. Tutti impegnati, a dire di Mesiano, nella preparazione e nell'attuazione di numerose rapine. Un personaggio chiave sarebbe stato proprio Fabio Giardiniere, vero e proprio coordinatore delle nuove leve in nome e per conto di Alessandro Serraino. Un soggetto, Giardiniere, con cui Mesiano racconta anche di aver avuto un abboccamento per una partita di droga: "Mi contattò per un affare di cocaina sulla Jonica – ricorda Mesiano – e andammo insieme a Totò Candido della cosca Labate a Palizzi. Ricordo anche che Totò aveva un tesserino della Polizia Penitenziaria, in caso ci avessero fermato a un posto di blocco".