Melina, vita da boss: il clan Zindato nelle mani di una donna

navacarmeladi Claudio Cordova - I soldi da utilizzare per il sostentamento dei detenuti non era un obolo, una "donazione" generosa fatta di tanto in tanto. Ma un obbligo vincolante per tutti i partecipi delle cosche di San Giorgio Extra, Modena e Ciccarello, quartieri nella zona sud di Reggio Calabria, caratterizzati dall'opprimente controllo delle famiglie Caridi, Borghetto e Zindato, federate al potente clan Libri.

L'indagine, inoltre, non solo fornisce inequivocabili elementi di reato nei confronti di coloro che si adoperavano per dare concreta attuazione ai compiti di recupero e distribuzione delle risorse economiche a favore dei soda li detenuti, ma rivela anche preziose informazioni in ordine all'origine di tali emolumenti. Sarebbe Domenico Laurendi il personaggio principale dell'indagine, la persona cui sarebbe stato affidato il precipuo compito di badare al sostentamento economico dei detenuti.

Sarebbe stato il traffico di droga uno dei canali principali per reperire le risorse necessarie ai clan per mantenere i detenuti. Droga – cocaina – che sarebbe arrivata dall'area jonica della provincia di Reggio Calabria: Platì, Roccaforte del Greco e San Lorenzo. Soldi che poi sarebbero arrivati per mantenere la detenzione dei soggetti più in vista delle famiglie di quel territorio: da Domenico Ventura, condannato in primo grado per l'omicidio di Marco Puntorieri, ai fratelli Francesco "Checco" Zindato e Gaetano Andrea Zindato.

Proprio il ruolo della madre degli Zindato, Carmela Nava, è uno dei tratti caratteristici dell'indagine coordinata dal pm Stefano Musolino. Il nome della donna viene effettuato per la prima volta allorché si parla della consegna del denaro necessario per la detenzione di Ventura: "Ciò si spiega in base al fatto che alla donna, in assenza dei figli. è affidata la gestione della cosca" è scritto nell'ordinanza firmata dal Gip Adriana Trapani.

La donna non solo avrebbe rappresentato gli occhi e le orecchie sul territorio dei figli detenuti, ma avrebbe anche svolto un ruolo di primo piano, tanto che, in varie conversazioni, gli stessi presunti affiliati faranno riferimento ai modi in cui "Melina" avesse accolto determinati accadimenti: "Melina pure si è infastidita, perché lo ha saputo pure lei, non so chi glielo, si è infuriata, ha detto, guarda è giusto che fanno così". Numerose le conversazioni in cui si percepisce come la Nava fosse la massima autorità del gruppo criminale deputato al controllo del territorio. Dalle intercettazioni, infatti, emerge come Melina ed i suoi figli fossero a conoscenza di ogni fano relativo ai sodali ed al territorio di loro pertinenza criminale.

La stessa Nava si sarebbe presa la briga anche di redarguire l'avvocato del clan, reo, a suo dire, di un comportamento non consono: "No, ha detto Melina che va e glielo dice che si si è comportalo male, no. non mi ha detto. non si doveva permettere" dicono i conversanti in una delle tante intercettazioni captate.

E anche quando sorgeranno i contrasti, i membri del "gruppo Laurendi" riterranno opportuno informare la signora "Melina" degli accadimenti. La Nava, in particolare aveva invitato presso la propria abitazione Domenico Varano, uno degli indagati, che aveva avuto una discussione con un altro sodale, non meglio identificato, facendo in modo che i due ricomponessero il dissidio alla presenza di Francesco Laurendi, fratello di Domenico.

Le conversazioni intercettate infatti, farebbero chiaramente emergere la presenza dì almeno due sotto-gruppi criminali capeggiati, l'uno, da Domenico Laurendi (che impartiva le direttive dal carcere tramite i suoi familiari) e. l'altro, da Domenico Barbaro, detto "il ricchione" parzialmente antagonisti tra di loro, ma entrambi organici all'associazione criminale di San Giorgio Extra, Modena e Ciccarello. I dissidi con Varano, infatti, nasceranno anche perché questi verrà sospettato da Laurendi di essersi avvicinato a Barbaro, soggetti ritenuto in grande ascesa sul territorio.

Ma il ruolo dominante dei fratelli Zindato sarebbe una costante relazionale che si co glie a piene mani dal contenuto dei colloqui intercettati, al pari del costante zelo con cui Laurendi indagava presso i suoi familiari circa la dinamica evolutiva del loro rapporto con Maria Carmela Nava, "Melina", nonché circa le parole che questa spendeva per lui, al fine di comprendere quale considerazione e quale attenzione gli fosse riservata dai vertici associativi. Sarebbe emerso, infatti, come, a causa della detenzione dei figli, fosse proprio la Melina Nava ad essersi assuma l'onere di gestire concretamente sul territorio le dinamiche dell'omonima cosca. ricomponendo ì dissidi insorti tra i sodali direttamente riferibili al gruppo governato dai figli Checco e Andrea Zindato nonché gestendo le contrapposizioni e le frizioni con gli altri gruppi dì 'ndrangheta federali con quello Zindato, nella più ampia cosca Libri.