di Claudio Cordova e Alessia Candito - Urla, lacrime e gesti di stizza per il folto gruppo di parenti assiepati, per diverse ore, fuori dal'aula 2 del Cedir di Reggio Calabria. La mannaia del Gup Tommasina Cotroneo si abbatte sulla cosca Serraino. Nonostante la scelta del rito abbreviato, infatti, sono durissime le condanne comminate nei confronti di dodici dei quattordici imputati del procedimento "Epilogo". Il Gup Cotroneo, al termine di una camera di consiglio protrattasi per alcune ore ha infatti comminato oltre cento anni di carcere complessivi. "A Oppedisano avete dato dieci anni" gridano in aula i parenti, contestando la decisione del Gup, ritenuta evidentemente troppo dura.
La pena più alta viene comminata a Francesco Russo, classe 1973, condannato a 12 anni di reclusione; 11 anni e 8 mesi vengono inflitti ad Antonino Barbaro, 10 anni e 8 mesi per Francesco Russo, classe 1963, 10 anni e 4 mesi per Ivan Valentino Nava, 9 anni e 8 mesi per Nicola Pitasi, 8 anni e 8 mesi ciascuno per Domenico Daniele Caccamo, Francesco Sgrò e Antonino Pirrello, 8 anni ciascuno per Giovanni Morabito, Sebastiano Pitasi e Domenico Russo, se la cava con 4 anni di carcere, invece, Felice Lavena. Due le assoluzioni disposte dal Gup Cotroneo, nei confronti di Salvatore Scopelliti e Maria Teresa Adamo.
Una sentenza che, dunque, ha scatenato l'ira dei parenti, tantissimi nel piazzale del Cedir, accorsi in sostegno dei propri congiunti con bambini, anche neonati, al seguito, ma anche degli imputati stessi che, dall'interno delle gabbie, hanno contestato duramente la decisione del Gup Cotroneo: "Non abbiamo ammazzato nessuno" hanno gridato in coro.
"Una monarchia ereditaria". Così il sostituto procuratore della Dda, Giuseppe Lombardo, aveva definito la cosca Serraino nella propria breve requisitoria il 9 gennaio scorso. Un processo abbreviato che solo adesso arriva alla sentenza di primo grado per il tentativo estremo di alcuni difensori, proprio in una delle ultime udienze dedicate alle arringhe difensive, di chiedere la rimessione del processo a Catanzaro, dove alcuni dei picciotti dei Serraino erano indagati per l'attentato alla Procura Generale di Reggio Calabria del 3 gennaio 2010. Un tentativo estremo che, però, non ha sortito alcun effetto, vista la decisione della Cassazione che, appena alcuni giorni fa, ha stabilito che il procedimento dovesse restare a Reggio Calabria.
Il procedimento "Epilogo" scaturisce da un'operazione dei Carabinieri del settembre 2010, allorquando i militari dell'Arma andarono a colpire, con ventidue ordinanze di custodia cautelare, uno dei casati storici della 'ndrangheta reggina, la cosca Serraino, operante nei territori di San Sperato e Cardeto. Le indagini dei Carabinieri avrebbero dimostrato la capacità della cosca di infiltrarsi in gran parte delle attività economiche della zona, tramite richieste estorsive nei confronti di commercianti o piccoli imprenditori, ma anche con il diretto controllo delle aziende. Sul tavolo dell'accusa, oltre a una serie molto ampia di intercettazioni telefoniche e ambientali e di riscontri, frutto di attività di investigazione, vi sono anche le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia. Antonino Lo Giudice, Consolato Villani, Roberto Moio e Vittorio Fregona hanno infatti tracciato un quadro preciso e concordante delle attività illecite che il clan avrebbe messo in atto negli ultimi anni.
Sulla cosca, dunque, sono piovute condanne molto dure, a cominciare da quella rimediata da quell'Ivan Valentino Nava, ritenuto responsabile dell'incendio dell'auto del giornalista Antonino Monteleone, costituitosi parte civile nel processo. Il reporter verrà risarcito con ventimila euro per il danno, materiale e morale, causato dal gesto di Nava e dei suoi sodali. Un evento, registrato "in diretta" dalle cimici dei Carabinieri, messo in atto per "punire" un articolo apparso sul blog del reporter: "Quello che accade a Monteleone – disse il pm Lombardo nel proprio breve intervento di gennaio – è l'esempio più lampante della debolezza umana. Nava e i suoi complici colpiscono il giornalista perché non riescono ad accettare che venga detta e scritta la verità".
Cinquecentomila euro ciascuno sono state liquidate, invece, agli Enti costituiti come parti civili. Condanne dure, quelle disposte dal Gup Cotroneo, soprattutto se si considera che i veri boss, Alessandro Serraino, Demetrio Serraino e Fabio Giardiniere, hanno scelto di essere giudicati con il rito ordinario, in un dibattimento complesso e infuocato.
Nella propria requisitoria il pm Lombardo aveva richiamato, come già avvenuto nell'intervento effettuato nel processo "Meta", al concetto di "regginità", essenziale per chi, come il Gup Cotroneo, viene chiamato a decidere su fatti così gravi: "Solo chi è nato e cresciuto in questi luoghi – disse Lombardo - può comprendere parole, gesti e sguardi: i simboli di cui la 'ndrangheta si nutre e si serve ogni giorno. Chi è fuori da quest'aula attende delle risposte e attende che queste risposte arrivino il più velocemente possibile".
E le risposte, a distanza di alcuni mesi sono arrivate in maniera cristallina.